22 marzo 2007

ARAF, Associazione della rete di aziende formatrici del Cantone Ticino


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - alla Conferenza stampa ARAF, Associazione della rete di aziende formatrici del Cantone Ticino, di giovedì 22 marzo 2007 a Bellinzona)


Signor Presidente Rinaldo Gobbi della neocostituita associazione,
Signori collaboratori dell’associazione, in particolare la signora Sabrina Guidotti, capoprogetto, e della sic ticino,
Signore e signori corrispondenti dei media,

il tema del collocamento a tirocinio, una realtà positiva consolidata nel nostro Cantone, si arricchisce di anno in anno di nuovi capitoli. Uno di questi è certamente il progetto dell’Associazione delle reti d’aziende formatrici.

In effetti, non si può certo riposare sugli allori, se si vogliono mantenere i risultati positivi delle campagne di collocamento a tirocinio, che, grazie alla disponibilità delle aziende formatrici ma anche dei servizi del Cantone, consentono di chiudere ogni anno a zero, ossia in pratica senza più giovani da collocare alla fine del mese di settembre. Occorre, ogni anno, sfruttare nuove potenzialità del tessuto aziendale ticinese. Queste potenzialità ci sono certamente, poiché – è un dato di fatto che da un lato può preoccupare ma dall’altro è incoraggiante per chi vuole fare qualcosa – la quota di aziende formatrici, poco più di 2700, rispetto al totale delle aziende elencate nel registro federale delle aziende, più di 19'000, è una delle più basse della Svizzera. Siamo seguiti, secondo i dati del 2005, solo da Basilea e da Ginevra. Dunque ci sono spazi di miglioramento.

Questi spazi di miglioramento devono essere visti, oltre che nell’ancor più accurato e capillare monitoraggio corrente, giorno per giorno durante l’intera estate, della situazione collocamento, nell’allargamento degli effettivi delle aziende formatrici. In proposito devo dire che gli sforzi che vengono fatti sono già intensi. Difatti, i servizi del DECS registrano già ogni anno alcune centinaia – lo scorso anno erano 237– di nuove aziende che sono reclutate grazie all’azione dei promotori di posti, gli ispettori del tirocinio.

Tuttavia gli sforzi devono essere sviluppati non solo sul piano quantitativo, ossia semplicemente aggiungendo nuove aziende a quelle già autorizzate. Occorre diversificare anche sul piano qualitativo, essere propositivi. E’ quanto credo di poter dire si voglia fare con il progetto ARAF.

Infatti ARAF coglie uno degli aspetti che ostacolano la partecipazione di un maggior numero di aziende all’impegno formativo.

Da un lato vi sono i limiti operativi che può avere un’azienda, nel senso che il tessuto aziendale ticinese è caratterizzato da non poche microaziende, le quali fanno fatica a garantire un programma completo di formazione per un eventuale apprendista assunto. Completezza che può essere trovata solo ricorrendo a un’azienda partner, ciò che non sempre è ovvio, vista anche un certo individualismo dell’imprenditoria ticinese.

Dall’altro lato ci sono anche i limiti di natura didattico-amministrativa che può presentare un’azienda, nel senso che non sempre sono disponibili, pensando sempre alle microimprese, ma non solo, ticinesi, persone in grado di assumere gli impegni di natura didattica e amministrativa per seguire un giovane in formazione. Si tratta pur sempre di allestire un programma di formazione per l’apprendista, di seguirne lo sviluppo, di valutare i risultati raggiunti, di comunicare e discutere i risultati con l’apprendista, di fissare i nuovi obiettivi, ecc. Tutte attività che richiedono competenze e, se non vi sono le competenze, la formazione per acquisirle.

E’ dunque senz’altro da condividere l’obiettivo che si pone ARAF di farsi carico di questi limiti di varia natura e di proporre soluzioni per superarli, soprattutto soluzioni di qualità, nell’ambito della formazione classica duale, fatta in azienda e a scuola.

D’altra parte c’è un altro aspetto che sta a cuore al Dipartimento. Per quanto possibile è il tirocinio in azienda che si vuole promuovere, rispetto alla formazione in scuole a tempo pieno, come le scuole medie di commercio per il settore del commercio e dei servizi. Ci sono almeno due ragioni per questa scelta.

Prima ragione: sembra, ma i dati non sono consolidati, che la formazione in azienda dia più chance di collocamento al termine della stessa rispetto alla formazione in una scuola a tempo pieno. Lo si rileva, anche se queste indicazioni devono essere prese con prudenza, dall’indagine sulle prospettive di collocamento fatta verso la fine dell’anno scolastico presso le persone che nel 2006 stavano per concludere la loro formazione. Addirittura le prospettive di occupazione di chi stava svolgendo un tirocinio in azienda erano doppie rispetto alle persone in formazione nelle scuole medie di commercio.

Seconda ragione: è certo che la formazione duale classica, con la formazione pratica in azienda, quella teorica a scuola e complementi dell’una e dell’altra nei corsi interaziendali, costa meno allo Stato di quella acquisita nelle scuole a tempo pieno, in ragione circa della metà. Ossia, secondo i costi standard rilevati dalla Confederazione, 8'800 franchi l’anno per apprendista rispetto a 16'800 franchi l’anno per la persona in formazione nelle scuole a tempo pieno.

Se a minori costi per lo Stato si può addirittura abbinare – sia pure con un giudizio prudente – migliori vantaggi per il collocamento, è evidente che le preferenze dello Stato devono andare a questo tipo di formazione, che è nell’interesse della popolazione giovanile.

Per queste ragioni ben vengano iniziative come quelle dell’ARAF e dell’azienda guida, la sic ticino, con cui tra l’altro il Governo cantonale ha recentemente rinnovato la convenzione di collaborazione, che tendono – questo tipo di formazione - a allargarlo e a consolidarlo.

Campagna 2007 di sensibilizzazione dei giovani a Scienza e Tecnica


(Intervento di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione del Lancio delle iniziative di giovedì 14 marzo 2007 a Mezzovico per la Campagna 2007 di sensibilizzazione dei giovani a Scienza e Tecnica)


Gentili Signore e Signori,

prima di tutto un sentito ringraziamento alla ditta Hydac di Mezzovico che ci ospita: è una delle aziende che collabora con la SUPSI in progetti di tecnologie innovative e ci è sembrato giusto collocare la nostra iniziativa in un contesto significativo.

Infatti, parlare di scienza e di tecnica esige una visione globale del problema, dalla formazione di base, alla ricerca di punta, alle applicazioni aziendali, fino alle condizioni quadro politiche necessarie perché tutto questo complesso circolo virtuoso possa prosperare.

In tutta Europa serpeggia una preoccupazione relativa alla diminuzione di interesse da parte dei giovani e delle giovani per le formazioni e le professioni scientifiche e tecniche: il fenomeno è ancora poco visibile, perchè in numeri assoluti non assistiamo a crolli importanti (salvo, stranamente, in informatica) ma se confrontiamo l’aumento importante in altre discipline ci rendiamo conto della perdita di velocità delle discipline scientifiche. Fenomeno ancor più preoccupante se esaminiamo la situazione della formazione dottorale: rimane una formazione di alta qualità, ma pochi svizzeri in proporzione vi accedono.

Questa preoccupazione del mondo politico e della formazione si è tradotta in tutta la Svizzera in una serie di iniziative per sensibilizzare la popolazione e sostenere i giovani e le giovani nella scelta di una formazione impegnativa e non priva di ostacoli.

In nessun modo si tratta di creare una inesistente concorrenza o confronto tra le discipline tecnico-scientifiche e quelle umanistiche: entrambe sono parte integrante della nostra cultura. Ogni progresso scientifico e le relative applicazioni tecniche hanno sempre richiesto un approfondimento sul piano umanistico, filosofico, etico. Basti pensare allo sviluppo della biomedicina, campo in cui anche il Ticino ha istituti di alto prestigio, e alle implicazioni etiche, filosofiche, politiche.

Negli ultimi anni il DECS ha messo l’accento sullo sport, sulla formazione professionale, sulla lettura. Ricordo le campagne di sensibilizzazione dei giovani realizzate in collaborazione con il Centro scolastico per le industrie artistiche – il CSIA di Lugano – "Dopo scuola… faccio sport" (2003), "Coltivo il mio carattere senza le dipendenze" (2004), "Effetto lettura" (2005), "Apprendista apprendi e sorprendi" (2006).

La campagna di quest’anno vuole, se possibile, contribuire a compensare uno squilibrio, evitare l'impoverimento del settore scientifico, apparentemente meno attrattivo.

Il progetto “Ticino della scienza e della tecnica” vuole creare occasioni di incontro e di esperienze dirette: non riteniamo efficace vendere la scienza come si vende un gelato o una canzone, ma creare concrete occasioni per conoscere persone appassionate del loro mestiere, capaci di trasmettere questa passione e anche la forza per sostenere gli sforzi necessari.

Queste esperienze dirette vogliamo offrirle a tutte le età e in contesti diversi: la scuola rimane il luogo privilegiato dove si sviluppa il piacere della conoscenza, ma non è il solo.

Per questo nelle iniziative raggruppate sotto il progetto “Ticino della scienza e della tecnica” troviamo campi di vacanza e di scoperte, abbinamenti tra sport e scienza, attività di tempo libero, speriamo capaci di affascinare e di creare interessi durevoli. Evidentemente non abbiamo dimenticato i luoghi della ricerca e della produzione tecnologica, come l’azienda che ci ospita.

Il Ticino è entrato tardi nel mondo dell’alta tecnologia e della ricerca: abbiamo oggi premesse impensabili ancora pochi anni fa. Il Cantone dispone di strutture di formazione universitaria, USI, SUPSI, ASP, Istituto universitario federale per la formazione professionale. Operano sul nostro territorio prestigiosi e riconosciuti istituti di ricerca scientifica (pensiamo all'IRB o allo IOSI o al CSCS), di transfert tecnologico.
Ma sul nostro territorio sono pure presenti importanti aziende innovative. Si tratta di una base di partenza favorevole per un ulteriore passo avanti.

Settimana prossima il Gran Consiglio voterà, se non ci saranno sorprese dell'ultimo minuto, il messaggio sugli investimenti resi possibili dai proventi dell'oro della Banca nazionale: 15 milioni di franchi sono previsti per investimenti nella ricerca, 10 per il sostegno alle imprese innovative.

Ma le premesse strutturali e i finanziamenti non servono se non ci sono le donne e gli uomini competenti e capaci di assumere gli impegni necessari.

Il progetto non vuole lanciare proclami o parole d’ordine, vuole permettere alle giovani e ai giovani di questo Cantone di scegliere con lucidità il loro futuro, di trovare i necessari sostegni per professioni, studi, carriere impegnative e molto esigenti.

In una società che sembra premiare il tutto e subito, il facile e il piacevole dire con convinzione che anche le scelte impegnative pagano, che il futuro – il loro e il nostro – passa anche dalla coltivazione di una passione non è facile.

Gli attori dei progetti vi illustreranno alcune iniziative: il denominatore comune è dato dall’incontro diretto con uomini e donne che fanno scienza, che usano la tecnica, con intelligenza e ne sono soddisfatti. Sono convinto che questi incontri con le persone e le emozioni che sapranno suscitare potranno essere il miglior strumento per avvicinare le giovani e giovani alla scienza e alla tecnica.

Il progetto è un cantiere aperto: le iniziative presentate sono quelle conosciute in questo momento e che si sono inserite nel progetto, altre iniziative saranno evidentemente ben accolte. Sappiamo che il tema è molto sentito e che si sta lavorando in molti contesti. L’unificazione degli sforzi permetterà di aumentarne l’efficacia.

Dieci anni fa il nostro Cantone era in grado di attrarre progetti nella ricerca scientifica per meno di 1 milione di franchi: quest’anno siamo sui 10 milioni, evidentemente ancora pochi se ci confrontiamo con Zurigo o Ginevra, ma l'aumento è stato imponente.

Lo stesso processo dobbiamo poterlo provocare nella creazione di posti di lavoro per personale qualificato: il Ticino rimane un esportatore di cervelli. È un fenomeno non facile da misurare, ma semplificando al massimo se il Ticino produce 100 diplomati, poi può offrire solo 80 posti di lavoro qualificati: il Canton Zurigo forma 100 diplomati e offre 150 posti di lavoro. Se non riusciamo a invertire anche questa tendenza, tutti i nostri sforzi saranno inutili.

Io mi auguro che tra dieci anni il mio successore possa affermare che il processo iniziato nel 1996 con la creazione dell’USI e della SUPSI ha dato i suoi frutti e che da esportatori di cervelli siamo diventati attrattori, capaci di mantenere il circolo virtuoso tra formazione, ricerca, occupazione. Insisto su questa visione globale, che vede una collaborazione trasversale tra vari settori dell’amministrazione pubblica, tra vari ordini di scuole, tra formazione e azienda, tra tecnica e umanesimo.

Se avremo successo, magari un piccolo riconoscimento verrà dato anche a questo progetto, perché senza donne e uomini competenti e impegnati nessun progresso è possibile.

Vi ringrazio dell’attenzione.

Consegna diplomi tecnici SSS edilizia e impiantistica

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - alla Consegna diplomi ai tecnici diplomati SSS dell’edilizia e ai tecnici diplomati SSS dell’impiantistica di giovedì 15 marzo 2007 a Lugano-Trevano)


Signori rappresentanti delle organizzazioni del mondo del lavoro,
Signori Direttore, vicedirettori e docenti,
Signori invitati e
Signori neodiplomati,

è con estremo piacere che passo brevemente da voi per la cerimonia di consegna dei diplomi di scuola specializzata superiore di tecnica.

Il piacere deriva dalla possibilità di partecipare a un evento che ha sempre un carattere positivo. Infatti che cosa c’è di meglio che poter festeggiare la fine di un ciclo di studio e il conseguimento di un diploma? Un diploma che da un lato testimonia il raggiungimento di competenze tecniche e trasversali elevate e dall’altro costituisce sicuramente un elemento per il consolidamento o lo sviluppo di una carriera professionale e, conseguentemente, anche di una carriera retributiva.

Penso che siano un po’ questi i sentimenti soprattutto dei neo diplomati, sentimenti di orgoglio per il risultato raggiunto e di attesa per le prospettive che si aprono sul piano personale e professionale. Questi sentimenti servono anche a cancellare qualche impressione non sempre positiva recepita lungo il corso. Cominciando dalle difficoltà incontrate da chi ha ricominciato uno studio dopo avere magari svolto per vari anni un’attività lavorativa. In questi casi il ritorno sui banchi di scuola è sempre un passaggio problematico, anche se è oggi è difficile immaginare che ci sia un professionista che nel corso di un anno non si trovi più di una volta dietro un banco, non più della scuola ma della formazione continua, ad aggiornarsi o a perfezionarsi.

Un’altra difficoltà incontrata, soprattutto per chi ha frequentato il corso dell’impiantistica parallelo all’attività professionale, è sicuramente quella della difficile conciliazione tra lavoro, vita personale e magari familiare, frequenza scolastica e studio. E’ un difficile alternarsi tra situazioni diverse, talvolta come persona attiva nel lavoro e nel resto, talaltra come persona fruitrice più passiva di un insegnamento.

In questo giorno però, nel momento in cui si riceve il diploma, tutti questi problemi, tutte queste difficoltà sono superati è resta solo la soddisfazione per avercela fatta.

* * *

C’è un secondo motivo per il mio compiacimento nel partecipare alla consegna dei diplomi.

Infatti, in queste occasioni vedo da vicino come si concretizzano le iniziative del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport che dirigo - e in particolare della Divisione della formazione professionale. Spesso la percezione di queste iniziative è del tutto immateriale, nel senso che ci sono le informazioni che arrivano dai servizi, ci sono le decisioni prese sulla scorta delle indicazioni degli stessi servizi, c’è magari anche qualche meno bella notizia, magari ribaltata sui giornali, di qualche problema insorto qua e là nel sistema scolastico e formativo ticinese.

Ma è solo partecipando a cerimonie come queste, o visitando le scuole come spesso faccio, e guardando in faccia le persone che traggono benefici delle decisioni politiche e amministrative in materia scolastica e formativa prese dal Dipartimento o dal Consiglio di Stato o talvolta dal Parlamento, che si ha la percezione precisa di come e dove arrivino a destinazione gli sforzi rilevanti che il nostro Cantone compie per elevare il grado della conoscenza dei suoi abitanti di ogni età, dall’infanzia fino alle persone adulte e già attive professionalmente.

* * *

Certo è che se vogliamo, come lo vuole il Consiglio di Stato nelle sue linee direttive, come sembra lo vogliano buona parte delle formazioni politiche che si contendono i posti nell’Esecutivo cantonale e nel Legislativo, se vogliamo il Ticino della conoscenza, occorre anche ricordare che questo Ticino della conoscenza ha bisogno di non poche risorse finanziarie.

Sono risorse finanziarie che finora il Cantone è stato in grado di mettere a disposizione. E quando si dice Cantone, per essere chiari a tal proposito, si intendono tutti i soggetti ticinesi, persone fisiche e giuridiche, che contribuiscono all’introito fiscale. Una mano ce la dà anche la Confederazione, ma anche lì in ultima analisi i finanziatori sono ancora cittadini ed enti stavolta di tutto la nazione.

La disponibilità finanziaria per iniziative come quella della Scuola specializzata superiore di tecnica dell’edilizia e dell’impiantistica, arricchita da quest’anno anche di una sezione della chimica e biologia, è data però anche da misure di razionalizzazione all’interno del sistema, come quelle della creazione di centri di competenza in cui concentrare l’insegnamento professionale degli apprendisti. Non si può solo chiedere cose in più, occorre anche saper razionalizzare quello che già si ha per trovare gli spazi per il progresso.

* * *

Questo progresso nel sistema formativo ticinese lo vogliamo fermamente, per dare risposte a persone come voi, che hanno sentito il bisogno di migliorare il loro grado di conoscenze e oggi siete qui, con grande soddisfazione vostra ma anche nostra, mia e certamente anche dei docenti che hanno contribuito alla vostra formazione, a ricevere il diploma di scuola specializzata superiore, peraltro riconosciuto, non vorrei dimenticarlo, dalla Confederazione.

Per questo risultato vi faccio i miei complimenti e i migliori auguri di poterlo sfruttare in futuro, sia per magari nuovi passi formativi, sia soprattutto nella carriera professionale e di riflesso nella vostra vita di cittadini attivamente partecipi alle sorti di questo Cantone.

Assemblea Coiffure Suisse - Sezione Ticino

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - durante l'Assemblea Coiffure suisse - SezioneTicino di lunedì 12 marzo 2007 a Giubiasco)


Signora Presidente,
Signore e signori membri di coiffure suisse e ospiti,

non sono qui, l’avete sicuramente capito, per parlare degli aspetti tecnici o normativi della vostra professione, che evidentemente mi sfuggono, essendo anche un assai limitato fruitore dei vostri servizi.

* * *

Tra l’altro, fra questi servizi, ne aggiungerei uno che spesso si tralascia e che in fondo riprende in chiave moderna i contenuti antichi del vostro mestiere, che comprendeva anche interventi di natura medica, di chirurgia o di flebotomia.

Sto parlando di quel servizio - compreso nelle vostre tariffe, che in questa prospettiva potrebbero essere anche maggiori - di quel servizio integrato che si configura un po’ nel ruolo di ascoltatore, di confidente, di consolatore, di suggeritore, di stimolatore nei confronti del cliente durante la mezz’ora o le ore (parlo adesso al femminile) in cui è sottoposto alle vostre attenzioni.

Credo proprio che il vostro ruolo dovrebbe essere rivalutato anche in quest’ottica, poiché facendo qualche conto ho l’impressione che il vostro intervento, che vorrei quasi chiamare di natura psicosociale - forse esagerando un po’ ma nemmeno troppo – si sostituisce spesso ai servizi privati o pubblici dello Stato chiamati a svolgere questo compito, con un bel risparmio diretto o indiretto per le casse pubbliche.

* * *

Chiusa questa parentesi sul ruolo della parrucchiera e del parrucchiere nella società moderna, che spesso concede alle persone un momento di tranquillità – e di conseguenza di dialogo aperto o perlomeno di ascolto - solo quando usufruiscono dei vostri servizi, dirò allora la ragione della mia presenza.

Con la mia partecipazione all’assemblea voglio rendere omaggio oltre che alla vostra professione all’impegno che l’associazione – oggi bisognerebbe dire organizzazione del mondo del lavoro – mette nella formazione professionale di base e continua. Impegno dell’associazione che è poi l’impegno di tutti i membri.

Questo impegno è del resto percepibile anche fisicamente, perché per svolgere questa assemblea ci troviamo proprio nei locali che coiffure suisse impiega per la formazione professionale di base e continua; e devo dire – da quel che vedo firmando le risoluzioni che finanziano le attività – che impiega in maniera intensa e ottimale.

Non c’è però solo questa manifestazione fisica dell’impegno dell’associazione e dei suoi membri. Ci sono aspetti dell’impegno che hanno carattere più immateriale e si configurano nella collaborazione continua data in questi anni nel collocamento a tirocinio. Il settore professionale delle cure del corpo, in cui vi sono in prima fila le parrucchiere e i parrucchieri, è un settore sempre critico per quel che riguarda i posti di tirocinio. Tante sono infatti le giovani – bisogna riconoscere che è una professione molto "al femminile", almeno a livello della formazione – che hanno ancora, penso giustamente, un’immagine assai positiva della professione e aspirano a un tirocinio in essa. Ogni anno il numero delle domande di un posto di tirocinio di queste giovani si avvicina – quando non lo supera – al numero delle offerte segnalate dalle aziende di tirocinio, i vostri saloni.

In queste circostanze – perché alla fin dei conti occorre esserci quando conta - scatta però quasi sempre un’eccellente collaborazione tra i nostri servizi, la nostra Divisione della formazione professionale, e la vostra associazione e naturalmente le aziende associate e no per risolvere quella mezza dozzina di casi di giovani che fanno fatica a trovare un posto di tirocinio e ne hanno però anche le attitudini. Soluzione un po’ complicata in questi anni dalla nuova ordinanza in materia di formazione di base che chiama spesso i saloni da donna e da uomo a collaborare in rete per assicurare la formazione completa.

In questa circostanza ho pertanto l’occasione di ringraziare l’associazione e soprattutto le aziende per questo impegno messo alla formazione dei giovani. Ho parlato di un impegno di carattere immateriale, perché in effetti, formando un giovane, si attivano compiti di natura sociopolitica ed economica generali e particolari. Generali, perché si assume una responsabilità istituzionale, quella dell’educazione e della formazione, si contribuisce a garantire la continuità della manodopera qualificata e se ne assicura il ricambio. Particolari poiché si collabora in maniera importante nella costruzione, oltre che delle competenze pratiche e teoriche di natura professionale, della personalità di un giovane fino a farne una persona in grado di entrare nella vita economica, sociale, politica, insomma a farne una cittadina o un cittadino completo.

Evidentemente l’impegno non è solo immateriale, poiché perlomeno il tempo – lasciamo pur stare le attrezzature – messo a disposizione costa, e non sempre il ritorno dell’investimento – che mediamente, in tutti tirocini, c’è – è tale da compensare con grandi margini questo costo.

* * *

Devo anche sottolineare che l’Associazione non si limita allo stretto necessario nel campo della formazione di base e continua. Basterebbe citare al riguardo uno gli eventi più appariscenti che è legato alla formazione professionale, il Ricciolo d’oro, competizione fra apprendiste e apprendisti parrucchieri o fra persone già formate, cui ho avuto l’occasione già di partecipare più di una volta negli anni passati.

Ci voglio però aggiungere anche l’intenso impegno nella preparazione dei formatori, sia attraverso i corsi per l’attestato professionale, sia attraverso quelli per la maestria o più semplicemente attraverso il modulo minimo richiesto in aggiunta al corso per maestri di tirocinio. E vi aggiungo pure la vivace attività nella formazione dei periti d’esame.

* * *

Dunque, in conclusione, un’associazione che oso dire esemplare per quel che fa, assieme alle aziende di tirocinio, a favore della formazione professionale, che voglio ringraziare in modo particolare e stimolare a continuare su questa strada.

Auguro, per la parte restante dell’assemblea, lavori proficui di risultati positivi e faccio i migliori auguri ai presenti sul piano professionale e su quello personale.

Non stop PLRT a Lugano

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della Non stop PLRT di sabato 10 marzo 2007 a Lugano)

[fa stato il testo parlato]

Amiche e amici liberali radicali,

Prima riflessione: cogliamo le opportunità!
In questi tempi di campagna elettorale frequento sale da Airolo a Chiasso. Questa sera mi rivolgo a Lugano e ai luganesi, alla Città e alla regione che più di ogni altra hanno saputo cogliere le opportunità di crescita e di sviluppo, non solo economico, ma anche politico e istituzionale. E questo non tanto perché sono forti finanziariamente, ma perché hanno dimostrato di avere idee e progetti chiari e persone illuminate, determinate e capaci di costruire il consenso.

I soldi non sono necessariamente garanzia di successo, ma senza dubbio servono. Il risanamento finanziario dei conti dello Stato deve dunque rimanere l'obiettivo prioritario per tornare a fare più politica e meno contabilità, per ritagliarsi lo spazio e così rispondere ai problemi e alle ambizioni delle componenti sociali, economiche del Paese.

Seconda riflessione: parliamo di progetti e di programmi!
Il Ticino della conoscenza ha avuto un riguardo particolare per Lugano e per la regione: esempi sono l'estensione delle attività di USI e SUPSI (nuove facoltà di scienze informatiche Dipartimento di sanità alla SUPSI); la ristrutturazione della biblioteca cantonale; il nuovo istituto di studi italiani, l'impegno per mantenere il CSCS.

Sono attività che danno un enorme valore aggiunto alla realtà culturale e scientifica di un'intera regione e, di riflesso, di un intero Cantone. Ne ha approfittato anche la realtà economica: pensiamo alla relazione formazione professionale - aziende, alle collaborazioni USI e SUPSI nel campo della ricerca con il mondo imprenditoriale e finanziario.

Ci sono fatti più discreti, ma non meno importanti: pensiamo alle migliaia di giovani luganesi ai quali siamo riusciti a garantire un posto di apprendistato oppure agli aiuti che diamo agli studenti perché possano frequentare gli studi superiori.

E per il futuro? Un solo esempio: nel mio cassetto c'è già il nuovo Campus USI-SUPSI di Lugano, un'ottantina di mio di investimenti per la scienza e la cultura.

Terza riflessione: ribadiamo i valori liberali radicali!
Il PLRT è sinonimo di stabilità, progresso, valori. Oggi si parla di scheda senza intestazione come espressione di disagio e di sfiducia nella classe politica. E la fiducia nel sistema è fondamento della democrazia.

Noi chiediamo nuovamente la fiducia alle elettrici e agli elettori, perché abbiamo idee chiare e progetti forti; perché abbiamo lavorato sodo e i fatti sono lì a dimostrarlo; perché ci assumiamo sempre e fino in fondo le nostre responsabilità; perché crediamo nell'iniziativa e responsabilità individuale e nel ruolo di uno Stato laico, forte ma non invadente, capace di dettare alcune regole del gioco e di assicurare condizioni quadro per uno sviluppo economico che genera ricchezza e opportunità di lavoro; perché crediamo nella solidarietà, nella giustizia, nella tolleranza.

Vogliamo una squadra disposta a lavorare unita e senza cedimenti, con tenacia, passione e anche un po' di umiltà che ci permette di imparare dagli errori commessi nel passato.

Concludo: apprezziamo di più questo Ticino. Il Ticino della conoscenza; il Ticino della cultura e di un territorio ricco di storia che garantiscono qualità di vita; il Ticino della gente e delle aziende che lavorano; il Ticino fiero delle sue radici; il Ticino dello sport, del turismo e dello svago; il Ticino curioso e aperto al nuovo; il Ticino solidale.

Da sempre il Ticino e i ticinesi hanno dato il meglio nei momenti più difficili, facendo uso della ragione, della determinazione, della forza di volontà e di lavoro.

Coltiviamo un po' più di ottimismo e di entusiasmo. Tocca a noi imprimere questa spinta, con coraggio e determinazione. È questo che il paese si aspetta oggi da noi liberali radicali.

14 marzo 2007

Osservatorio culturale del Cantone Ticino


(Intervento di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione del "lancio" e della presentazione ufficiale del progetto web "Osservatorio culturale del Cantone Ticino" di venerdì 9 marzo 2007 a Bellinzona)


Gentili Signore e Signori,

è con grande piacere che intervengo qui oggi alla presentazione dell’”Osservatorio culturale” del Cantone Ticino.

Una piattaforma digitale, come vi verrà spiegato più avanti dai responsabili tecnici e operativi del progetto, che dota il Cantone di un nuovo strumento autonomo:
- per informare su quanto si fa in campo culturale negli uffici e negli istituti del Dipartimento che dirigo, fin qui rimasti forse troppo in ombra da una massa di informazioni che investe i cittadini per quanto concerne soprattutto altri settori dell’attività dello Stato;
- per informare altresì delle iniziative e degli eventi che vengono organizzati sul territorio cantonale;
- per infine valorizzare un lavoro imponente per quantità e spesso rilevante per qualità, che distingue le iniziative culturali presenti ormai tutto l’anno sul territorio cantonale.

Non nascondo che la ricchezza di questa offerta, in campo artistico, museale, teatrale, musicale, cinematografico, a volte può anche dare un senso di vertigine. Il territorio è limitato, e da tempo sono stati limitati anche in questi settori gli investimenti e le risorse. Tuttavia non sembra arrestarsi una tendenza che potremmo chiamare di crescita a proliferazione corallina. Una crescita che non è di oggi né che è peculiare al Ticino.

Come leggere questo fenomeno per certi versi ambiguo?
Da un lato, come segno positivo di vitalità, di fermento, di capacità culturale e imprenditoriale; in più di un caso di slancio generoso e disinteressato, spesso legato all’energia di singole personalità dalle capacità artistiche o di studio non comuni. Dall’altro, però, come un segno preoccupante di frammentazione, di disordine, di discordanza, alimentata da una limitata capacità di pianificazione e di collaborazione.

La situazione è ben conosciuta dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport ed è ingeneroso chi sostiene che esso, fino ad ora, è stato essenzialmente a guardare. Basti dire che già negli anni Ottanta, il Dipartimento aveva incaricato il prof. Franco Zambelloni di tracciare delle Indicazioni per una politica culturale cantonale (l’articolato rapporto venne consegnato nel 1988). Numerose tendenze che oggi vediamo pienamente in atto erano già state individuate in quel lavoro.

Il Dipartimento incentrò tuttavia la sua azione essenzialmente su una direttiva: dotare il Cantone di istituti culturali attrezzati ed efficienti, il che parve, e a giusta ragione, il primo passo da compiere per realizzare una serie di infrastrutture che potessero dare con certezza e in modo moderno strumenti indispensabili per assicurare un futuro duraturo e fuori dalle secche del precariato (di spazi, di strumenti, di formazione) per affrontare il lavoro nei diversi settori culturali.
Penso alla creazione di una Sezione culturale, prima inesistente, alla modernizzazione e alla informatizzazione delle biblioteche cantonali e alla creazione del sistema bibliotecario cantonale, all’edificazione del Centro Stefano Franscini, in cui ci troviamo, che raduna l'Archivio di Stato, la Biblioteca cantonale, il Centro di dialettologia e etnografia del DECS e l'Ufficio dei beni culturali del Dipartimento del Territorio con un innegabile rafforzamento delle collaborazioni e delle sinergie, ma anche della razionalizzazione. Lo sforzo è stato notevole, i risultati apprezzabili. Affermare che non sia visibile una politica culturale del Dipartimento significa perlomeno difettare in miopia.

Ciò non vuol dire evidentemente che tutti i problemi siano ormai risolti, che non siano avvertibili margini di miglioramento, di azioni più incisive, magari di impegno più profilato. Alcune situazioni nel frattempo sono anche mutate, alcuni elementi di criticità si sono fatti più acuti, le trasformazioni economiche, sociali, culturali, formative e del territorio, sono evolute con una notevole accelerazione.

Il ruolo dello Stato
Vogliamo tuttavia sbarazzare subito il campo da una pregiudiziale, che concerne il ruolo dello Stato, nel settore della cultura, come in altri campi. Allo Stato incombe come compito primario quello di creare, come si dice oggi, le condizioni quadro affinché in modo libero e fuori da condizionamenti, i diversi operatori culturali e i diversi artisti possano trovare la loro via per esercitare liberamente la loro arte, la loro missione culturale, la loro creatività.
A noi interessa offrire gli strumenti che garantiscano pari opportunità per saper promuovere e valorizzare progetti di segno anche opposto, se portatori di serietà, di professionalità, di qualità.

Crediamo che l’offerta di strumenti di base efficienti e gratuiti (biblioteche, archivi, pubblicazioni specialistiche, ecc.), la garanzia della libertà e la valorizzazione della pluralità di voci sia il migliore viatico per una cultura capace di esprimere tutta la complessità della nostra società.

L’”Osservatorio culturale” del Cantone Ticino vuole essere un nuovo strumento per migliorare l’informazione inerente a offerte, progetti, formazione, legislazione in campo culturale e per facilitare un approccio al coordinamento, alla collaborazione, alle sinergie. Essenzialmente tramite una miglior conoscenza di quanto già si fa e si farà, monitorando i settori d’attività e consegnando ai responsabili politici e agli operatori culturali una serie di dati e informazioni utili per meglio indirizzare i propri interventi e per riflettere criticamente sul loro operato.

Un servizio in vista di una politica culturale di Stato? Assolutamente no. Piuttosto l’Osservatorio dovrà essere e diventare in breve tempo un organismo, un dispositivo autonomo in grado di misurare e monitorare i numeri della cultura, e soprattutto in grado di suggerire delle strategie di politica culturale che ci consentano di migliorare l’efficace e l’efficienza della nostra azione.

Si celebrano quest’anno i 150° della morte di Stefano Franscini. Il grande statista leventinese ci ha insegnato, con i suoi studi statistici, come sia necessaria, per un’azione dello Stato razionale, affidarci a studi preventivi improntati alla scientificità, piuttosto che alle impressioni a volte ingannevoli, tanto meno alla vuota retorica.

Crediamo che anche per la cultura – vitale settore della qualità della nostra vita – l’insegnamento rimanga valido.

Concludo: in sintonia con le Linee direttive, l'Osservatorio culturale che presentiamo oggi vuole essere uno strumento di primaria importanza in grado di favorire una politica culturale coerente e coordinata e di suggerire delle strategie per la miglior valorizzazione possibile delle risorse disponibili.

Grazie per l’attenzione.

12 marzo 2007

Campagna collocamento a tirocinio 2007


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della conferenza stampa per il "lancio" della Campagna di collocamento a tirocinio 2007 del 28 febbraio 2007 a Bellinzona)


Signore e signori corrispondenti dei media ticinesi,

la conferenza stampa di avvio della campagna di collocamento segna un momento importante nelle attività del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport.

E’ pur vero che si tratta di un avvenimento che fa parte ormai delle consuetudini consolidate degli incontri del DECS con i media. Si può dire che si svolge secondo gli stessi schemi, con gli stessi contenuti e con le stesse sollecitazioni ai media da più di vent’anni, anzi dovremmo già essere al quarto di secolo da quando la stessa avviene sulla scorta del programma informatizzato che fa da supporto all’intero processo. Anche i responsabili del DECS che se ne occupano sono gli stessi sin da allora o quasi.

Questa continuità può anche rendere banale l’incontro per voi rappresentanti dei media, ma d’altro canto costituisce una sicurezza per chi dipende da questa campagna di collocamento per il suo futuro formativo. Sto parlando delle migliaia di giovani adolescenti ma anche di meno giovani, saranno oltre 2500, forse addirittura 2700, che stanno vivendo questo processo non come ripetizione di cose già ampiamente collaudate, ma per la prima e forse unica volta nella loro vita.

A viverlo con loro ci sono ovviamente le famiglie, coinvolte dapprima nel delicato processo di scelta del futuro formativo dei propri figli. Un processo che non sempre si risolve rapidamente a seguito di un’informazione raccolta nelle tante occasioni informative organizzate negli ultimi anni di scuola media, oppure nelle discussioni giornaliere con i docenti di scuola media, oppure ancora nei colloqui professionali con l’orientatore a studi, professione e carriera, come vuole oggi chiamarsi l’orientatore scolastico e professionale. Spesso il processo è lungo e travagliato, fatto di incertezze di dubbi, magari eliminati con scelte improvvise poi subito ripudiate per ricominciare da capo nella messa a fuoco delle proprie aspettative, con l’aiuto appunto dei genitori, dei docenti e degli orientatori.

Fatta la scelta professionale occorre poi trovare l’adeguata corrispondenza in un posto di tirocinio messo a disposizione dall’economia, dalle aziende ticinesi, le oltre 6500 che sono autorizzate a formare apprendisti, che però si riducono a 2700 circa che effettivamente assumono apprendisti.

E’ qui che intervengono, in funzione mediatrice, i servizi del Cantone, con questa indagine sul collocamento a tirocinio, indirizzata alle aziende ticinesi, che è partita lunedì e che si sviluppa secondo schemi consolidati – come già detto – da più di trent’anni ed è informatizzata da un quarto di secolo. Si tratta appunto di far incontrare l’offerta di posti di tirocinio delle aziende, che sarà rilevata per mezzo dell’indagine, con la domanda dei giovani ticinesi che vogliono intraprendere una formazione professionale, sia di quelli stanno per uscire dalla scuola media – la cui domanda sarà pure rilevata individualmente a fine maggio nelle scuole medie – sia di quelli che sono già impegnati – magari con eccessive difficoltà per loro – in altre esperienze formative, per esempio nelle scuole medie superiori,.

Un primo aspetto che conviene sottolineare è appunto la grande eterogeneità della domanda, ossia di coloro che cercano un posto di tirocinio e che nel corso dell’estate stipuleranno un nuovo contratto di tirocinio. Accanto alle quindicenni e ai quindicenni in uscita direttamente dalla scuola media, poco più di mille, che entreranno in uno degli oltre cento tirocini che è possibile svolgere nel Cantone Ticino, ve ne sono altrettanti che arrivano alla formazione professionale dopo aver già raccolto altre esperienze formative postobbligatorie. Questo dato inasprisce evidentemente la concorrenza per i posti disponibili. Infatti, le aziende di tirocinio possono scegliere tra la quindicenne o il quindicenne ancora adolescente, con un certo bagaglio culturale e interamente da plasmare sotto il profilo professionale, e la giovane o il giovane sedicenne o diciassettenne o ancor più, certamente dotato di un maggior bagaglio culturale, forse anche più maturo e magari anche con una certa esperienza professionale.

Un primo messaggio che si può dare, per il vostro tramite, alle aziende, è appunto di non voler porre criteri troppo elevati ai giovani che si presentano per assumere un posto di tirocinio. Pur avendo la massima comprensione per le esigenze crescenti dell’economia, Il livello che può essere
richiesto è quello di allievi in uscita dalla scuola media.

Ma il messaggio più importante che si vuol dare oggi alle aziende, soprattutto a quelle autorizzate e che non formano, oppure alle aziende magari di recente costituzione, che non si sono ancora poste il quesito sull’opportunità di assumere un giovane a tirocinio, è evidentemente l’invito a voler partecipare anche quest’anno all’impegno nella formazione professionale. D’altra parte, si tratta di un impegno che è richiamato nel primo articolo della legge federale sulla formazione professionale, che chiama appunto pubblico e privato a collaborare nel compito formativo.

Come avete sentito, i nuovi contratti di tirocinio potrebbero arrivare a 2'700. Per poter dare una risposta a tutte le aspettative occorre che, da ora fino a fine estate siano disponibili all’incirca 2900 posti di tirocinio. Di posti disponibili ne occorrono di più dei contratti, poiché non sempre domanda e offerta possono corrispondere, a dipendenza di condizionamenti vari, tra cui anche la distribuzione regionale. Tuttavia, a questo riguardo, e bisogna dirlo alle famiglie ticinesi, si deve ormai poter chiedere a un giovane del Sopraceneri che si sposti nel Sottoceneri e viceversa, per seguire una formazione professionale che gli aprirà poi le porte della vita. E questo tanto più che l’economia chiede sempre più flessibilità, attitudine al cambiamento, disponibilità a spostarsi. Meglio dunque abituarsi al più presto.

Vi chiederete che cosa, al di là di questo appello, possiamo offrire – come Cantone – in contropartita alle aziende ticinesi per il loro impegno nella formazione professionale.

Intanto, si può dire che il Cantone fa la sua parte come azienda di tirocinio. Ha circa un centinaio di giovani in formazione e ogni anno ne assume una trentina in varie professioni, principalmente nel commercio, ma anche in professioni tecniche o dell’artigianato, per esempio cuochi, o della sanità.

Ma l’esempio, pur importante, può essere di scarso conforto alle aziende sempre più chiamate a subire le pressioni della concorrenza, che rubano disponibilità per impegnarsi nella formazione. Deve esserci qualcosa in più. E allora ricordo alle aziende le campagne pubblicitarie – come quello del marchio di azienda formatrice - che tendono a rivalutare il ruolo di quest’ultime agli occhi dei potenziali clienti. Il messaggio del marchio di azienda formatrice vuole essere di privilegiare queste aziende nelle relazioni commerciali perché si tratta di aziende che danno qualcosa in più della semplice prestazione contrattuale.

C’è però ancora qualcosa in più, che il Cantone fa ed è nelle sue competenze. Il Consiglio di Stato ha rinnovato ieri la risoluzione governativa con cui si premia, con il peso del 5% nelle commesse pubbliche gli offerenti che hanno avuto o hanno in formazione apprendisti negli ultimi cinque anni. Dunque un incentivo diretto che ha dato impulso alle assunzioni di apprendisti soprattutto nel campo dell’artigianato edile.

Delle ulteriori azioni – qui ne sono state citate solo alcune, le più significative – per risolvere anche quest’anno l’equazione del collocamento, diranno nel dettaglio i miei collaboratori. L’obiettivo della campagna è presto detto: “tolleranza zero”, ossia a ottobre non devono più esseri giovani alla ricerca di un posto di tirocinio. L’obiettivo è ambizioso, ben al di sopra di quel che riescono a fare parecchi altri Cantoni del resto della Svizzera. Però in questi ultimi anni ci si è in pratica quasi sempre riusciti: 5 giovani ancora alla ricerca nel 2006, tant’è che a uno verrebbe da chiedersi come mai avendone collocati così tanti non si è riusciti a farlo anche per questi pochi. Ma anche a questi cinque sono state offerte soluzioni.

Pertanto, concludendo, sono sicuro che anche quest’anno, con il decisivo aiuto delle aziende e dell’economia ticinese, la “tolleranza zero” sarà nuovamente raggiunta.

Vi ringrazio, a nome dei giovani ticinesi e delle loro famiglie, del contributo mediatico che darete per ottenere questo risultato.

05 marzo 2007

HarmoS: Il Cantone ascoltato


(Contributo di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - pubblicato su il "Giornale del Popolo" di sabato 3 marzo 2007)

Il Cantone ascoltato

Da quando si è cominciato a parlare di un accordo intercantonale sull’armonizzazione scolastica abbiamo sempre sostenuto che armonizzare non vuol dire uniformare. Lo spazio formativo svizzero è un insieme di sistemi cantonali, specchio non solo di tradizioni locali e della diversità delle culture e delle lingue che compongono il nostro Paese, ma anche di decisioni politiche a livello cantonale che hanno reso possibile l’implementazione, per esempio nel nostro cantone, di strutture scolastiche innovatrici, come quelle prescolastiche a orario continuato. Sono decisioni d’importanza non solo pedadogico-didattica, ma anche sociale. L’Assemblea della Conferenza svizzera dei direttori della pubblica educazione ci ha ascoltati: il progetto di una scuola elementare di sei anni e di una scuola media di tre, proposto dall’Accordo intercantonale HarmoS, non s’addice al Ticino. Infatti, non è nello spirito di un progetto di armonizzazione obbligare un cantone a stravolgere il suo sistema scolastico, con gravi ripercussioni sulla suddivisione delle competenze tra comuni e cantone, sulla politica delle assunzioni e dei licenziamenti di docenti dell’uno e dell’altro grado di scuola, sulla pianificazione dell’edilizia scolastica e sui contenuti dei programmi di studio. Abbiamo difeso il principio secondo cui l’armonizzazione, che non può cancellare l’efficacia e l’efficienza di riforme scolastiche già introdotte, dev’essere attuata a livello delle diverse regioni linguistiche e culturali.

Da tempo ci occupiamo della difesa della lingua e della cultura italiana. Ci siamo battuti perché l’offerta dell’insegnamento di una terza lingua nazionale nella scuola dell’obbligo sia possibile in ogni cantone: è una richiesta che rispetta lo spirito del progetto di legge federale sulle lingue nazionali, considera fondamentale la comprensione tra le comunità linguistiche e interpreta il plurilinguismo come strumento di coesione nazionale. Accanto ad argomentazioni di natura utilitaristica, che attribuiscono all’inglese l’importanza che ha nel mondo di oggi e che nessuno contesta, devono pur sopravvivere anche riflessioni di natura culturale e politica che hanno plasmato valori sui quali abbiamo costruito il nostro Paese. Anche in questo ambito siamo stati ascoltati.

L’inizio dell’obbligatorietà scolastica è fissato a 4 anni, compiuti, secondo il progetto HarmoS, entro il 30 giugno. La nostra proposta di portare al 30 settembre questa data non è stata accolta. Tuttavia è stata posticipata al 31 luglio. Ci rendiamo conto che la decisione ci porrà qualche problema. Riteniamo però che nel settore della scuola dell’infanzia disponiamo di un’esperienza pluriennale che ci consentirà di adattarci senza grandi problemi alle norme dell’Accordo. Forse a qualcuno darà un po’ fastidio l’obbligo di frequentare la scuola a 4 e a 5 anni. Ricordiamo però che già oggi praticamente tutti i bambini ticinesi di quell’età la frequentano. Non è solo un problema di educazione; è anche una necessità per molte famiglie. Rimane comunque la possibilità di entrare alla scuola a 3 anni, come già oggi avviene dei nostri bambini di questa età. L’aver precorso i tempi nel settore del prescolastico ci mette in una posizione di vantaggio rispetto ad altri cantoni.

I cantoni avranno 6 anni di tempo per adeguarsi all’Accordo. L’essere stati ascoltati negli aspetti più significativi per il nostro cantone apre le porte all’adesione all’Accordo da parte del Consiglio di Stato e del Gran Consiglio. Abbiamo esaminato la proposta di Accordo con oggettività, convinti da un lato che occorre armonizzare 26 sistemi scolastici affinché lo spazio formativo svizzero ne esca rafforzato, se messo a confronto con quello di altri paesi, convinti d’altro lato della necessità di salvaguardare le peculiarità delle singole culture. Siamo riusciti a farci ascoltare perché è sempre stato così quando il Ticino si presenta nei consessi federali compatto, consapevole della propria forza e della bontà delle proprie idee e realizzazioni. Ma è anche il risultato di un lavoro di squadra a livello di dipartimento, durante il quale ognuno mette a disposizione le proprie competenze perché sia raggiunto l’obiettivo comune, che vuol dire anche impegnarsi affinché siano riconosciuti i meriti del cantone.

Prendo atto che anche in questo clima un po’ kafkiano di una campagna elettorale “personalizzata” e a colpi di slogan, le soddisfazioni della politica passano attraverso le realizzazioni e il raggiungimento degli obiettivi concreti.

Giovani e violenza


(Contributo di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - pubblicato sul "Corriere del Ticino" di sabato 3 marzo 2007)

Della violenza tra i banchi di scuola

Partecipo spesso a consegne di attestati e diplomi: incontro sempre molti giovani impegnati, responsabili e fiduciosi nel futuro: una bella gioventù che lavora e ha progetti per la vita. Purtroppo sovente si parla di giovani da un'altra prospettiva: quella della violenza. Sono pochi casi, ma sono quelli che fanno notizia.

L’UDC vuole che si introducano misure di repressione, come l’espulsione dei genitori di minorenni stranieri colpevoli di delitti; il PPD è dell’opinione che si promulghi una nuova legge quadro sulla protezione dei giovani; il PLR e il PS si battono per una migliore integrazione professionale e sociale dei giovani.

“Genitori cercansi” è il titolo di un commento in cui si sottolinea l’importanza di un forte rapporto emozionale tra genitori e figli per la formazione del carattere del futuro adolescente e si considerano i genitori come primi responsabili dell’educazione dei figli. E’ risaputo, tuttavia, che il concetto stesso di famiglia ha subíto in questi anni una grande trasformazione per quel che concerne il ruolo dei genitori come sostegno e guida o come punto di riferimento nel campo della difesa dei valori culturali che stanno alla base della convivenza e del rispetto altrui. La trasmissione ai giovani dei valori ai quali riferirsi “per risolvere conflitti e per affrontare le differenze” è compito della scuola e ancora di più della famiglia. E fortunatamente ci sono ancora famiglie pronte a condividere con i docenti questa responsabilità. Ma, purtroppo, quando i rapporti familiari sono in crisi, quella trasmissione diventa difficile e regolarmente ricade sulle spalle dei docenti.

Succede sempre più anche nelle nostre scuole che l’ambiente venga turbato da comportamenti non attesi o divergenti, all’origine dei “casi difficili”. Il DECS ha incaricato i suoi servizi di descrivere il quadro della situazione attuale in relazione alle tipologie di disadattamento, l’assenteismo, i disturbi gravi di comportamento e le varie possibilità di modelli scolastici, dal modello segregativo alla sospensione a tempo indeterminato, dalla formazione di classi speciali a classi atelier in preparazione dell’insegnamento professionale. Stiamo studiando misure specifiche con lo scopo di monitorare in permanenza le forme di disagio, di rendere più stabili le misure sui così detti “casi difficili” e, come nuove misure, di formare personale specializzato che gestisca anche un distacco dall’attività scolastica

Il DECS continua a puntare su una politica di integrazione che si fonda sul principio di non escludere nessuno a causa di una sua diversità. Di fronte alla crescente brutalità degli atti di violenza si vede però costretto, da un lato, a ricercare soluzioni alle situazioni di disagio che si manifestano a scuola, d’altro lato, a proteggere chi segue regolarmente il suo percorso formativo. Va pure preso atto che la violenza è spesso il modo di comportarsi di chi non ha obiettivi o prospettive nella vita, ma anche di chi non trova un lavoro. Per questo motivo il nostro impegno si deve sviluppare su diversi livelli: nella ricerca di misure concrete, e se necessario anche drastiche, per far fronte a comportamenti di disturbo tra i banchi di scuola, nella definizione di misure con le quali promuovere l’integrazione professionale e sociale e nel massimo sforzo possibile per trovare aziende formatrici, disposte a formare nuovi apprendisti, e aziende di prima esperienza professionale per i giovani con l’attestato di capacità.

In una società intrisa di violenza – anche un gran numero di cartoni animati per bambini sono un’esaltazione della forza fisica e un incitamento ad assumere comportamenti di una brutalità estrema – scuola e famiglia devono collaborare strettamente per trasmettere quei valori di tolleranza, di rispetto dei diritti degli altri, di responsabilità e di solidarietà, di impegno e di costanza; collaborare contro i miti ingannevoli del nostro tempo che sono poi le lusinghe di un facile guadagno che ti cambia la vita da un giorno all’altro, le promesse fallaci di paradisi inesistenti. Bisogna riaffermare con forza il concetto di legalità e l’idea che al nostro agire ci sono limiti e regole da rispettare e combattere un modello di vita di una competitività ossessionante, che genera frustrazione che a sua volta genera violenza.

Ai nostri giovani vanno date regole chiare e condivise la cui violazione sia seguita sistematicamente da sanzioni adeguate e certe.