16 febbraio 2007

Cerimonia consegna diplomi SUPSI 2007


(Intervento di Gabriele Gendotti in occasione della Cerimonia di consegna dei diplomi SUPSI 2007 di venerdì 16 febbraio 2007 a Lugano)


[fa stato il testo parlato]

Signor Presidente della SUPSI,
Membri del Consiglio della Scuola, autorità
Direttore, docenti e responsabili dei servizi della SUPSI,
Rappresentanti delle università, della ricerca e del mondo del lavoro
Genitori, parenti, amiche e amici delle neo-diplomate e dei neo-diplomati,
Signori ospiti,
Care diplomate e cari diplomati,

Tutte le cerimonie di consegna di diplomi sono eventi importanti:
- è un evento importante per voi, neodiplomate e neodiplomati, che siete al termine di un ciclo di formazione e vi apprestate a entrare nel mondo del lavoro oppure a proseguire gli studi. Alcuni di voi lavorano già e ora attendono di assumere nuovi compiti qualificati all’interno dell’azienda;
- è un evento importante per l’economia che può contare sulla collaborazione di donne e uomini qualificati per rimanere innovativa e competitiva nel confronto internazionale.

Oggi vi chiamano “risorse umane” o ancora “capitale umano”. Parlando di individui sono termini sicuramente indelicati, seppur tecnicamente ineccepibili. Però siete considerati la risorsa più importante delle economie avanzate. Certo che fa riflettere il modo con cui questa “risorsa” o questo “capitale” è talvolta considerata e utilizzata quando si attuano le così dette ristrutturazioni aziendali o nell’ambito di centralizzazioni che, vista la geografia delle stanze dei bottoni, fanno ancora più lontane le già lontane regioni periferiche del nostro Paese, come la nostra. Il Ticino è attento al problema e rimane vigile per frenare la tendenza in atto di una centralizzazione dei servizi che non è rispettosa delle competenze finora dimostrate dalle così definite “risorse umane” nelle diverse regioni della Svizzera e nemmeno può rappresentare un’ulteriore garanzia di servizio efficiente, distribuito su tutto il territorio nazionale.

A proposito dell’essere competitivi, la parola “competitività” è affiorata recentemente più volte nelle discussioni sulla salute della nostra economia, in mezzo a percentuali, rappresentazioni grafiche, cifre e pronostici vari. Il Consiglio federale riconosce in uno dei suoi rapporti su formazione e ricerca che “La competitività e il livello di benessere della Svizzera a medio e lungo termine continueranno a dipendere in modo determinante da come gli investimenti nella ricerca e nella formazione e la loro attuazione saranno in grado di sostenere questo vantaggio comparativo.”

Nei prossimi quattro anni la Confederazione intende investire per la ricerca, la formazione e l’innovazione 21,2 miliardi di franchi, ciò che pone il nostro Paese in testa nel confronto internazionale. Il Consiglio di Stato ha recentemente licenziato il messaggio con il quale si stanziano 15 milioni di franchi nei prossimi quattro anni per la ricerca emergente nel settore biomedico - pensiamo all'IRB o allo IOSI - e per il sostegno concreto al CSCS per progetti concreti in collaborazione con la realtà locale. Obiettivo: creare poli di eccellenza scientifica che generano conoscenza, opportunità di sviluppo e di lavoro, cui fanno parte anche la SUPSI con il Dipartimento delle tecnologie innovative e la Facoltà di scienze informatiche dell’USI nonché gli istituti a loro collegati.

L’Ufficio federale della formazione professionale e della tecnologia chiama “Gioco di squadra” il polo svizzero dell’innovazione con il “cuore” nell’economia e la “testa” nei centri di studio e di ricerca. Mi ricorda la storia dell’organismo umano nella Roma di Menenio Agrippa: l’organismo, cioè lo Stato, funziona se tutti i suoi organi funzionano. Dunque l’economia funziona se la formazione funziona. Non abbiamo inventato niente di nuovo. Ma mi fa piacere che il concetto valga sempre, anche 2000 anni dopo.

La competitività è dunque un insieme di più fattori:
- da un lato il livello tecnologico che consente all’azienda di produrre e vendere i propri prodotti, le sue attività di ricerca e di sviluppo, la sua competenza nell’operare all’interno di un mondo globalizzato;
- d’altro lato un sistema di formazione di base e un’agguerrita offerta di formazione continua. E qui entrate in gioco voi, diplomate e diplomati della SUPSI. Ed entra in gioco il nostro cantone con la sua offerta completa di formazione di alta qualità.

Qui entra in gioco quello che voi sapete fare.
- vi si chiedono non solo competenze professionali, ma anche la capacità di sapervi adattare a realtà lavorative in contesti sociali, economici e culturali diversi dal nostro;
- vi si chiede la capacità di comunicare e di percepire le differenze dei diversi modi di affrontare un problema e di mirare a una soluzione oltre a capacità organizzative e spirito innovativo;
- vi si chiede la capacità di trasformare in sapere l’illimitato flusso dell’informazione che oggi invade tanto la sfera professionale quanto quella privata.

Attualmente le strutture universitarie del Ticino – l’USI, la SUPSI, senza dimenticare l'ASP e l'istituto universitario federale per la formazione professionale – partecipano a 45 progetti europei. Ma sono un centinaio i progetti di ricerca e di sviluppo che vedono coinvolti scuole e istituti di ricerca del nostro Cantone, ai quali giungono mandati dalla Confederazione, dal Cantone e da privati. L’anno scorso vi ho parlato dei progetti di istituzione del Dipartimento della sanità, con i cicli di studio per infermieri, fisioterapisti ed ergoterapisti, e dei progetti di affiliazione del Conservatorio della Svizzera italiana e della Scuola Teatro Dimitri. Oggi, il Dipartimento della sanità è istituito e Conservatorio e Scuola Teatro Dimitri fanno parte ambedue della SUPSI. Abbiamo mantenute le promesse.

Allo sviluppo del Dipartimento della sanità con i curricoli secondo le più recenti norme della Confederazione, ci piace sottolineare il contributo dato dal Dipartimento ambiente, costruzioni e design ad un approccio che considera lo sviluppo sostenibile come elemento di competitività e di crescita. E piace sottolineare il contributo del Dipartimento di scienze aziendali e sociali che ha dimostrato una grande sensibilità e competenza nell'affrontare tematiche relative alla gestionale del personale, con un contributo pluridisciplinare che considera sia gli aspetti economici e aziendali sia quelli sociali. Per dire che la SUPSI opera in tutti i suoi campi di attività a stretto contatto con la realtà cantonale la quale trae profitto dalle conoscenze di una scuola attenta ai bisogni del territorio.

Abbiamo mantenute anche le promesse fatte a suo tempo: la promessa di non istituire doppioni e quella di realizzare un campus formativo a livello universitario che raggruppi università, scuola universitaria professionale e istituti di ricerca operanti nel Cantone. E’ una qualità del nostro sistema che ci è riconosciuta a livello nazionale e internazionale e che ci consente di usare con intelligenza i soldi messi a disposizione dall’ente pubblico. L’età giovane dei nostri istituti di formazione favorisce la collaborazione. Su nessuno pesa una storia particolare di decenni, con abitudini che durano da cent’anni. Ecco un esempio recente: le facoltà d’informatica dell’USI e il Dipartimento di tecnologie innovative della SUPSI offrono congiuntamente, da settembre, anticipando di almeno un anno soluzioni analoghe nel resto della Svizzera, un Master of Science in Applied Informatics.

Oltre a quelli citati poc’anzi, abbiamo altri campi della scienza in cui ci siamo già affermati internazionalmente e che lasciano intravedere grandi sviluppi. Penso, per limitarmi a citare quelli di recente attualità, al campo della biomedicina e a quello dell’oncologia. Come afferma qualcuno: faremo il passo secondo la gamba. E a qualcun altro, scettico da sempre nei confronti della nostra politica universitaria, diciamo che non abbiamo fatto l’Università o la Scuola universitaria professionale per evitare che gli studenti ticinesi continuino a prendere il treno per Zurigo o per altre destinazioni, ciò che mi sembra d’altronde ridicolo affermare. L’abbiamo fatta per accogliere studenti e cervelli da tutto il mondo che è quello che sta accadendo, cosí come l’ha voluto chi prima di noi ha sostenuto l’istituzione di questi istituti di formazione e di ricerca. L’economia vive di prodotti e di mercati, ma anche di cervelli che sanno pensare. A proposito di apertura al mondo, la SUPSI ha in progetto un nuovo Master in Science in Precision Manufacturing in collaborazione con l’Università di alta tecnologia di Dongguan, in Cina, in una delle regioni più fornite di infrastrutture tecnologiche avanzate.

Anche se quello attuale non è il momento più propizio a discussioni serene sugli eventi della politica, il riconoscimento, a livello di decisione politica e di sostegno finanziario, dell’importanza della formazione e della ricerca per il futuro del Paese dovrebbe far piacere. Come dovrebbe far piacere questa apertura al mondo che il Ticino, con i suoi istituti di ricerca, persegue ormai da anni.

Ma deve far piacere prima di tutto a voi, neodiplomate e neodiplomati di questa scuola, perché quell’investimento finanziario permetterà ai giovani, e magari a diversi di voi, di realizzare qualche sogno in più.

Felicitazioni per il traguardo raggiunto e auguri per superare vincenti la linea di altri foto-finish.

10 febbraio 2007

Congresso cantonale PLRT




(Intervento di Gabriele Gendotti al Congresso cantonale PLRT di sabato 10 febbraio 2007 a Chiasso)

[fa stato il testo parlato]

Presidente,
amiche e cari amici liberali radicali,

ci sono sondaggi che ci danno in forte calo di consensi. Addirittura dietro il PS. È poco credibile. Diamo il giusto peso a questi sondaggi, ma comunque prendiamoli sul serio: confermano delle tendenze e il voto senza intestazione è la nostra principale preoccupazione.

Se ascoltiamo la nostra base ci rendiamo conto che parecchi liberali radicali, da sempre vicini al Partito, lo guardano ora con una certa disillusione e amarezza, sulla scia dei vari fiscogate, dello sperpero Stinca e di asfaltopoli. Sono situazioni imbarazzanti che non riguardano solo il nostro Partito: penso al processo BancaStato, al caso SUVA o alla questione dei mandati. Noi abbiamo il dovere di affrontare queste situazioni con decisione e di evitare giustificazioni poco credibili.

Sul perché del problema più o meno ci siamo. Dobbiamo ora chiederci come recuperare la perdita di fiducia di una parte del nostro elettorato.

Primo: poiché, ve l’assicuro abbiamo lavorato sodo, dobbiamo anzitutto dire cosa abbiamo fatto.
Non mi piace parlare di me perché si corre il rischio di diventare autoreferenziali e sospetti. Ma quando leggi commenti del tipo - cito - "dopo questi eventi storici" - USI e SUPSI - "forse poco c'era da fare ma sicuramente ancor meno è stato fatto nella scuola" ho un sussulto di orgoglio. Non solo per me, ma anche per tutti quelli - dai funzionari ai docenti - che in questo quadriennio si sono impegnati a fondo per far crescere il Ticino della conoscenza.

Non farò la lista di quanto realizzato. Sottolineo però che in questi anni di vacche magre e di perenne lotta per trovare le risorse per fare politica - e non semplice contabilità:
- è stata creata una facoltà di scienze informatiche all'USI
- è stato istituito un Dipartimento di sanità alla SUPSI;
- USI e SUPSI hanno avviato un innovativo master in informatica;
- è stata varata un'importante riforma della scuola media non da ultimo attraverso il potenziamento dell’insegnamento dell’italiano e la modifica dell’impostazione dell’insegnamento delle lingue straniere;
- sono stati realizzati centri di competenza nelle scuole professionali e istituite scuole specializzate superiori;
- ci siamo battuti a Berna per confermare il nostro sistema scolastico nell'ambito di HarmoS e per contrastare alcune riforme – come quella dei nostri licei - che non tengono in considerazione conquiste ed esperienze della scuola pubblica ticinese;
- si sono costruite e riattate scuole; ristrutturate biblioteche, anche quella di Lugano, cosa che non era riuscita a ben quattro miei predecessori;
- abbiamo promosso eventi culturali e sostenuto la realizzazione di impianti sportivi.

Abbiamo affrontato, purtroppo con scarso successo, la questione della revisione dei compiti dello stato: è iniziata bene nel 2005, senza vincoli dettati dal dipartimentalismo. Poi nel 2006 è di nuovo finita su un binario morto, vittima delle solite difese ad oltranza, delle piccole logiche di bottega che non permettono a 2 partiti e mezzo di governo di prendere anche qualche decisione che scontenta le clientele e non asseconda le mode effimere del populismo nostrano.

Sono gli effetti di una democrazia sotto pressione, per dirla con Dahrendorf, una sorta di dittatura esercitata da media e da sondaggi, di campagne elettorali che durano 4 anni, di burocrazie che strozzano le libertà, ma anche di riprese economiche che non generano occupazione.

Ci siamo impegnati per un risanamento dei conti dello Stato, o almeno per indurre un'inversione di tendenza. Lo abbiamo fatto con misure anche dolorose e impopolari. Il mio Dipartimento ha fatto la sua parte e il popolo ha avallato le misure proposte.

Ci siamo resi conto che è facile e popolare proporre sgravi fiscali o distribuire sussidi a destra e a manca; è un po' meno facile trovare soluzioni equilibrate, attuabili e condivise che non spaccano il Paese.

Non mi sono tirato indietro nemmeno quando ho deciso di assumere fino in fondo il mio ruolo e le mie responsabilità di uomo di Stato al servizio del Paese. Ci sono momenti in cui un magistrato è chiamato ad adottare decisioni che umanamente non vorrebbe mai prendere. Ma il magistrato ha dei doveri nei confronti della collettività a cui non può sottrarsi: se lo facesse avrebbe sbagliato mestiere.

Secondo: dire cosa vogliamo fare
Chiediamoci dapprima quali sono i problemi reali dei ticinesi?
- sono l’occupazione, soprattutto fra i giovani e gli ultimi dati ci confermano che in Ticino cresce in misura maggiore che in ogni altra parte della Svizzera;
- sono la violenza e la conflittualità che si traducono in sentimenti di insicurezza e di ingiustizia;
- sono la formazione, ossia la necessità di garantire una scuola di qualità e pari opportunità per tutti;
- sono l’interculturalità, cioè il bisogno di far convivere e dialogare lingue e culture diverse nel rispetto della nostra identità;
- sono l’ambiente e il territorio, oramai sempre più bistrattati e sotto pressione, con effetti preoccupanti per la nostra qualità di vita.

Ma non basta riconoscere i problemi. Bisogna saperli affrontare per trovare soluzioni concrete:
- qualità della formazione: non abbiamo dimenticato PISA; è un campanello d'allarme che prendiamo molto sul serio. Puntiamo sul monitoraggio della qualità della nostra scuola attraverso un approccio scientifico a tutto campo e senza tabù; dovremo rivedere programmi, consolidare la formazione e l’aggiornamento dei docenti;
- violenza nelle scuole: quando sostenevo la necessità di affrontare con rigore la gestione dei casi ingestibili - 50/80 in tutto - non ebbi un sensibile riscontro; ora le famiglie e i docenti chiedono di intervenire. Stiamo lavorando su progetti che vanno dalla creazione di cosiddette "zone tampone" all'interno degli istituti, al collocamento in strutture con scolarizzazione interna;
- occupazione: non si tratta solo di garantire un posto di apprendistato per tutti - obiettivo che il Ticino, a differenza di altri, già raggiunge - ma di adottare strumenti concreti per il loro inserimento nel mondo del lavoro. Un esempio è il progetto ARI (Apprendisti, Ricerca, Impiego) che ha permesso di collocare in un solo anno 300 giovani dopo la formazione. Agli 8'163 disoccupati interessano poco le statistiche. Vogliono risposte concrete attraverso aiuti individuali - che ad esempio stimolano i ticinesi a riscoprire il gusto del “mettersi in proprio” - e un’economia in crescita capace di generare nuovi posti di lavoro;
- ricerca: la ricerca di base è in crescita all’USI; così come cresce quella applicata alla SUPSI svolta in collaborazione con l’economia. Per gli istituti di ricerca come l’IRB, lo IOSI, il CSCS abbiamo previsto 15 mio per investimenti che creeranno conoscenza e posti di lavoro altamente qualificati.
- politica culturale: stiamo mettendo a punto, e si tratta di un unicum in Svizzera, un osservatorio delle politiche culturali che consentirà di monitorare la realtà culturale del nostro Paese, di elaborare e coordinare vere strategie di intervento;
- strutture: daremo avvio al più presto alla realizzazione del nuovo campus USI-SUPSI di Lugano con investimenti per un’ottantina di mio di fr.

Nel prossimo quadriennio rimarrà comunque prioritario l'obiettivo del risanamento finanziario dello Stato, premessa indispensabile per tornare a fare politica. Dopodiché potremo riprendere il discorso della competitività fiscale, elemento importante, ma non unico, per la crescita economica.

Terzo: ribadire i nostri valori
Torno al punto di partenza per dire che non possiamo eludere la questione morale. È giusto che se ne parli; che si metta a profitto un momento difficile per ribadire senza cedimenti i nostri principi di liberali radicali: la correttezza, la trasparenza, la coerenza, senza le quali è impossibile instaurare un rapporto di fiducia fra i cittadini, le istituzioni e i loro rappresentanti.

Lo so che per qualcuno la questione morale non sussiste. Ebbene - per intenderci meglio - parliamo semplicemente di onestà politica. Si è politicamente disonesti - sostiene Bobbio - quando l'azione del politico non persegue il vantaggio del corpo sociale, ma il suo o del suo gruppo. In questo modo sbarazziamo il campo dalle ambiguità di chi confonde ad arte il moralismo con l'etica pubblica. Il moralismo si applica alla morale corrente e concerne il singolo e il privato. L'etica pubblica ha a che fare con il bene collettivo. Ogni qualvolta noi politici ci comportiamo in contrasto con questo fine fondamentale, violiamo l'etica pubblica.

La fiducia nel sistema è fondamento della democrazia. Se viene meno si fa strada il solito e collaudato populismo demagogico che non si traduce mai in una politica progettuale. È compito del nostro Partito rinsaldare il rapporto di fiducia con i nostri cittadini attraverso:
- la riaffermazione dei suoi valori: equità, giustizia, solidarietà, tolleranza;
- la difesa di uno Stato forte e laico in grado di assicurare stabilità e di dettare le regole del gioco senza essere invadente;
- la ricerca di un efficace equilibrio tra la funzione imprescindibile del servizio pubblico e il libero mercato;
- l’affermazione della responsabilità individuale e il riconoscimento delle iniziative e delle capacità imprenditoriali;
- il sostegno a una politica sociale che aiuti chi ha veramente bisogno e che sappia correggere le distorsioni dell'attuale sistema; penso alle 300 famiglie senza figli e con un reddito lordo che supera i 100'000 franchi o penso alle 434 persone sole con un reddito di riferimento lordo superiore ai 100'000 franchi che ricevono i sussidi di cassa malati.

Insomma, credo in un Partito che non è più disposto di farsi cucinare a fuoco lento dagli altri, come è successo nell'ultimo anno. Abbiamo indugiato troppo quando si è trattato di affrontare questioni delicate. Meglio tardi che mai: adesso le stiamo affrontando in modo trasparente e nel contesto più adeguato. E mi viene da sorridere quando vedo l'imbarazzo di quel PPD dell'"abbiamo fatto tutto noi" che non sa più come fare a buttar via, senza farsi accorgere, la chiave di un qualche armadio.

Mi avvio alla conclusione.
Le vicende recenti hanno posto il problema centrale - e lo ribadisco - della fiducia fra classe politica e cittadini, fra governanti e società civile. La classe politica risulta credibile e affidabile se è vista come élite della società e per la società; in poche parole come élite che si fa credibilmente interprete dell’interesse comune e se i suoi valori sono i valori della società.

Oggi sono in molti a vedere la classe politica come l’espressione di un elitismo frazionista e disgregatore che agisce in netta contrapposizione col bene comune: i vari scandali che si sono succeduti hanno intaccato la fiducia degli elettori negli eletti, ma cosa ben più grave nel Partito.

Di qui l'esigenza di ripristinare il primato dell’etica pubblica come referente imprescindibile dell’agire politico. Di qui la necessità di riaffermare il primato dell’interesse pubblico su qualsiasi considerazione partigiana e su qualsiasi interesse di parte. Di qui l’esigenza di fare pulizia là dove la pulizia deve essere fatta. Lo dobbiamo agli ideali che hanno plasmato il nostro Partito che - ricordiamolo - ha sempre fatto del rigore e della correttezza la sua bandiera.

Amiche e amici, questa sala è colma di gente che condivide i medesimi ideali di libertà. Se guardo questa sala vedo il Ticino in cui mi riconosco: non tanto il cosiddetto Ticino che conta, ma il Ticino che crede nelle sue forze, che pensa, il Ticino che lavora e produce, il Ticino che si riunisce attorno a un partito interclassista dove tutti hanno qualcosa da dire e dove tutti sanno di essere ascoltati. Vedo donne e uomini, giovani e meno giovani, che sono liberi professionisti, docenti, direttori di banca, studenti, casalinghe, artigiani, funzionari federali e cantonali, fiduciari, ferrovieri e buralisti postali. Vedo agricoltori e anche un candidato al Parlamento spazzacamino (che ci porti fortuna!).

No, amiche ed amici, non possiamo rimanere impassibili davanti agli appetiti di chi - PS, PPD e Lega - partecipa d'un canto alla gestione del potere in Consiglio di Stato, dall'altro persegue una politica di opposizione sistematica in Parlamento. E in più rivendica la leadership del Cantone!

Concludo. 150 anni di storia non si cancellano con un colpo di spugna: abbiamo idee, proposte, contenuti progettuali e programmatici, valori importanti da mettere in campo. Se sapremo unire razionalità e passione, equilibrio politico, correttezza e capacità di coinvolgimento riconfermeremo il primato che ci appartiene. È la logica della continuità per il bene del Paese.

02 febbraio 2007

Lo sviluppo sostenibile nel programma PLRT: una scelta responsabile

(Contributo-Intervista di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - sullo sviluppo sostenibile nel programma PLRT: una scelta responsabile)

Il programma del PLRT è stato definito "coraggioso" non solo perché mira a un riscatto etico della politica, ma anche perché pone un accento particolare allo sviluppo sostenibile inteso come principio regolativo delle varie politiche settoriali. Ne parliamo con Lele Gendotti, membro di ALRA e direttore del DECS, nell'intervista sottostante, pubblicata da ALRA su "Opinione liberale" giovedì 1 febbraio 2007.

C'è chi sostiene che lo sviluppo sostenibile è un freno allo sviluppo economico. Vero o falso?
Per taluni lo sviluppo sostenibile è ancora confuso, in modo riduttivo e distorto, con "protezione dell'ambiente"; identificato con colorazioni partitiche; visto come "freno allo sviluppo economico" che genera costi e ostacola il progresso. Non è così. Per salvare capre e cavoli, altri si sono affrettati a aggiungere sviluppo sostenibile e "competitivo" o qualcosa di simile. Sono esercizi di stile che servono poco: dobbiamo invece avere il coraggio di parlare di sviluppo sostenibile da veri liberali radicali dimostrando apertura e senso di responsabilità, senza inibizioni, preconcetti o tabù.

Su quali principi a operare?
Esistono più definizioni di sviluppo sostenibile: nel 1987 la Commissione Brundtland disse che è "uno sviluppo che riesce a soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza ridurre per le generazioni future le possibilità di far fronte ai propri bisogni". La nostra Costituzione precisa che "Confederazione e Cantoni operano a favore di un rapporto durevolmente equilibrato tra la natura, la sua capacità di rinnovamento e la sua utilizzazione da parte dell'uomo". Lo sviluppo sostenibile non è una verità, ma un modo di pensare e agire per affrontare la realtà attraverso un processo partecipativo che mira a trovare un giusto equilibrio fra esigenze e sensibilità economiche, sociali e ambientali.

Quando applicare i principi dello sviluppo sostenibile?
Siamo ancora spesso indotti a pensare allo sviluppo sostenibile solo quando affrontiamo questioni particolari, come, ad esempio, la protezione di una zona golenale o la posa di pannelli solari. Non è così: il principio - potremmo anche dire il metodo - dello sviluppo sostenibile può essere applicato a qualsiasi processo decisionale: l'equilibrio fra economia, società e ambiente comincia dalle piccole cose, quasi banali, come la posa di un lampione fino a scelte complesse: ad esempio le questioni attinenti all'approvvigionamento idrico - destinate a diventare sempre più importanti anche dalle nostre parti, ricordate l'estate 2003? - in cui occorre ponderare e mediare bene interessi o obiettivi che riguardano l'esigenza di poter disporre, da un lato, di un bene di primaria importanza, dall'altro, un uso ragionato e coerente di una risorsa vitale e di un territorio sempre più sotto pressione. Lo sviluppo sostenibile diventa quindi una sorta di piattaforma di discussione comune grazie alla quale è possibile affrontare da più angolazioni temi semplici o complessi e facilitare al contempo la costruzione del consenso.

Il mondo scientifico indica preoccupanti tendenze in atto. E il politico che cosa fa?
Le grandi sfide di questo secolo si chiamano: energia, ambiente, risorse, dialogo tra le culture. Il mondo scientifico, praticamente all'unisono, concorda sul fatto che il clima è cambiato ovunque - anche in Svizzera - e che cambierà anche in futuro. Noi politici locali non possiamo fare astrazione da questi segnali della scienza e da queste grandi tendenze in atto e pensare che da una parte ci sia il Ticino, dall'altra il resto del mondo. Queste grandi tendenze non conoscono frontiere. Il politico responsabile, accorto, aperto, liberale, che non si limita a pensare ai quattro anni della sua legislatura, è quindi chiamato a "pensare globale e agire locale", a considerare quanto succede sua scala planetaria nella quotidianità delle sue attività. Scienza e politica devono interagire per trovare soluzioni adeguate, magari rimettendo in discussione certezze che sembravano sinora acquisite.

Chi deve promuovere lo sviluppo sostenibile?
Tutti. Negli anni '70 - '80 molti allievi hanno insegnato ai loro genitori, non senza fatica, a separare i rifiuti domestici: per dire che la presa di coscienza di una sensibilità e di un rispetto dell'ambiente comincia già sui banchi di scuola e in famiglia. La scuola fa parecchio. Ma non basta: occorre un 'opera di sensibilizzazione a tutto campo affinché maturi la consapevolezza che il comportamento corretto del singolo costituisce la premessa per non compromettere lo sviluppo futuro nostro e dei nostri figli.

Ticino della scienza e della tecnica

(Intervento di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della cerimonia per la premiazione dei lavori del concorso "Campagna 2007 di sensibilizzazione dei giovani a Scienza e Tecnica"al CSIA di Lugano, giovedì 1 febbraio 2007)


Cari studenti e care studentesse,
Signor direttore, signore e signori docenti,
Signore e Signori,

è ormai divenuta una tradizione: ogni anno il Dipartimento coinvolge lo CSIA nell'ambito di una campagna di sensibilizzazione rivolta ai giovani. Negli scorsi anni ci siamo concentrati sullo sport, sulle sostanze che creano dipendenza, sulla sensibilizzazione alla lettura e sulla formazione professionale.

Quest'anno abbiamo scelto un tema di attualità che va ben oltre i confini cantonali: parliamo di scienza e di tecnica. È un tema complesso e al contempo affascinante.

Questa mattina gli allievi del 4° corso di Grafica hanno presentato alla giuria il frutto del loro lavoro, giuria che è stata chiamata a identificare il "vincitore" e che ha scelto il manifesto che sarà oggetto di una campagna di affissione su tutto il territorio ticinese a partire dal mese di marzo.

A nome mio personale e dei membri della giuria esprimo il mio sincero apprezzamento per quanto hanno presentato gli allievi: brave e bravi! Rivolgo anche un grazie ai docenti che li hanno seguiti in questi mesi.

Due parole sul "Ticino della scienza e della tecnica"
La premiazione del concorso di una idea grafica della CSIA è l’occasione per il lancio della campagna “Ticino della Scienza e della tecnica”.

Sto parlando in una scuola, davanti a studenti e professori, ma il tema di cui ci stiamo interessando è solo parzialmente un tema scolastico.

Il Cantone, le sue cittadine e i suoi cittadini, le sue autorità, l’economia sono confrontati con una sfida importante per il loro avvenire. La nostra nazione, priva di materie prime, ha sempre costruito il suo benessere sulla conoscenza, sull’abilità di offrire servizi e prodotti di qualità.

Queste competenze non sono date una volta per tutte, ma vanno costruite da ogni generazione convinte che il loro futuro esige chiari investimenti nello studio, nella ricerca e nel trasferimento delle conoscenze, nella creazione cioè di aziende e servizi che sappiano utilizzare le conoscenze acquisite.

Alcuni segnali di allarme indicano che la volontà di investire in questo settore potrebbe venir meno.

Nel Rapporto sugli indirizzi il “Ticino della conoscenza” è uno degli obiettivi a lungo termine, ed é, ripeto, un compito di tutta la società e non unicamente della formazione.
La società, quella ticinese quella svizzera, deve sentirsi interpellata: non si tratta di fare un’apologia della tecnica, come soluzione di tutti i mali dell’umanità, ma di riconoscere che, di fronte alla complessità dei problemi con cui siamo confrontati e con le sfide internazionali che ci attendono, la presenza in Ticino di istituti di ricerca, di enti di formazione, di aziende innovative è una condizione del successo.
Sottolineo, una condizione: la scienza e la tecnica devono potersi sviluppare in una società critica e democratica, capace di fare le scelte necessarie, senza perdere di vista i valori più profondi della nostra civiltà.

Quindi nessuna contrapposizione tra scienze umane e scienze tecniche: al Politecnico federale vengono ancora citate le parole di De Sanctis “ricordatevi che prima di essere ingegneri voi siete uomini”. Uno dei settori promettenti del nostro cantone è la biomedicina e non credo sia necessario ricordare le implicazioni etiche, filosofiche, umane di questo settore.

Allora perché una campagna di sensibilizzazione sul tema “Ticino della scienza e della tecnica”? Il Ticino è partito in ritardo nel campo scientifico: l’assenza di istituti di formazione e ricerca universitari ci ha fortemente penalizzati nel passato. Alcuni strumenti sono però ora presenti – cito i più importanti: una forte formazione professionale, USI, SUPSI, IRB, IOSI – e cominciano a dare i loro risultati: negli ultimi dieci anni siamo passati da un milione di franchi di mandati competitivi a 10 milioni, da mezzo milione di fondi europei nel 1992 a circa 4 milioni attualmente.

È un’evoluzione importante, ma gli spazi di sviluppo sono ancora molto grandi: il Consiglio di Stato ha licenziato un messaggio di un investimento nella ricerca in due campi prioritari, la biomedicina e le scienze informatiche, di 15 milioni di franchi per il periodo 2007-2010.

È la prima volta che il Cantone prende direttamente l’iniziativa per stimolare in modo mirato un settore scientifico e mi auguro che anche dopo questo periodo e l’uso dei proventi della vendita dell’oro da parte della Banca nazionale si possa continuare con un fondo strategico di investimento per la ricerca.

Il Consiglio federale ha votato un messaggio di oltre 21 miliardi per la formazione e la ricerca universitaria per il periodo 2008-2011; è sicuramente una cifra importante ma ricordo che il nostro cantone potrà beneficiare di questi fondi unicamente se ci saranno ricercatori e professori capaci di presentare progetti di grande qualità: vi garantisco che la concorrenza è forte e niente viene regalato.

E così torniamo al tema della nostra campagna: il cantone ha bisogno di donne e uomini di grande competenza, impegnati nel voler investire il loro sapere e la loro intelligenza per il nostro futuro: a tutti i livelli, dal ricercatore di punta, al tecnico; dall’operaio specializzato, al professore; dall’investitore, all’industriale.

Il numero delle studentesse e degli studenti nelle discipline scientifiche non segue l’evoluzione delle altre discipline: cresce il numero nelle scienze sociali, resta costante e in qualche settore cala, nelle scienze tecniche.

Quello che vi ho esposto non è un problema ticinese o un problema svizzero: tutta l’Europa si trova confrontata con questa sfida e con la difficoltà a entusiasmare le giovani e i giovani per gli studi scientifici.

Il fatto che sia un problema globale non deve però esimerci dal fare tutti gli sforzi per trovare localmente nuovi impulsi e nuovi incentivi.
La campagna “Ticino della scienza e della tecnica” si svilupperà su vari livelli, dai campi di scoperta scientifica per bambini e adolescenti, a gruppi di attività nel tempo libero, a collaborazione con le aziende, all’informazione del pubblico.

Dobbiamo convincerci che possiamo avere successo solo se investiamo in settori promettenti, curando la formazione, la ricerca, il transfert, la creazione di aziende e posti di lavoro, in circolo virtuoso dove ogni elemento rafforza l’altro. Dobbiamo concentrare gli sforzi in modo coordinato, tenendo conto delle potenzialità già esistenti e della necessità di integrarle in un sistema completo. Non ha molto senso investire nella formazione se poi non siamo in grado di creare posti di lavoro; alla lunga non è sostenibile investire nella ricerca e non preoccuparsi delle applicazioni.

Il Ticino è un cantone che forma un numero elevato di accademici nelle università e nei politecnici svizzeri, ma, in confronto ai cantoni più ricchi, offre proporzionalmente meno posti di lavoro qualificati.

Abbiamo le premesse per poter cambiare questa situazione, ma per riuscire dobbiamo contare su un largo consenso e sostegno. Un grande progetto deve suscitare l’interesse delle cittadine e dei cittadini ticinesi; dai bambini che si aprono con curiosità alle meraviglie del nostro mondo, all’apprendista che impara il rigore della professione, al liceale che intravede le potenzialità della scienza, al dottorando che affronta le frontiere del sapere.

Le premesse strutturali sono importanti, i finanziamenti essenziali, ma senza uomini e donne entusiasti e convinti non raggiungeremo il nostro obiettivo e il “Ticino della conoscenza” resterà un sogno senza forza.

Nello sport sappiamo che dobbiamo coltivare il talento di una giovane e o di un giovane, che i risultati non si ottengono senza allenamento: dobbiamo convincerci che deve essere fatto uno sforzo analogo per coltivare i talenti scientifici, mantenendo viva la curiosità e il piacere di scoprire, così presente nei bambini e così indispensabile per la ricerca scientifica e il progresso tecnologico.