14 novembre 2007

Presentazione del libro “Il viaggiatore della parola”

"Presentazione del libro “Il viaggiatore della parola” sulla vita di G.B. Angioletti in Ticino"
(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - del 4 ottobre 2007 a Ascona)

Signor Ministro Console generale d’Italia (Pietromarchi),
Professor Antonio Colombo,
dott. Luca Saltini, autore della ricerca,
signor Luciano Nessi, rappresentante di ICOFIN di Ascona,
dottor Gerardo Rigozzi, direttore della Biblioteca cantonale di Lugano,
Gentili signore e signori,

l’evento culturale di questa sera mi suggerisce qualche riflessione di carattere generale, lasciando a chi prenderà la parola dopo di me – e ne ha la competenza – l’onore e il piacere di presentare la ricerca del dottor Saltini.

La prima riflessione è uno sguardo indietro nella storia.

Il cammino della storia è costellato di anni o di tempi che gli storici definiscono “difficili”. La storia degli ultimi due secoli delle regioni in cui viviamo e di quelle a noi vicine, di là dalla linea di confine, insegna che proprio le vicende degli anni difficili hanno avvicinato le terre lombarde alle terre ticinesi. Le vicissitudini lombarde, quelle dei momenti critici della storia, hanno sempre influito, in un modo o nell’altro, sul comportamento dei ticinesi.

E’ capitato nell’Ottocento quando il giovane cantone Ticino si schierò dalla parte della popolazione lombarda nelle guerre d’indipendenza contro l’Austria. Il Ticino ebbe uomini politici che non cedettero alle minacce austriache, anche quando fu occupata una parte del suo territorio, o quando furono bloccate le frontiere, e nemmeno quando i ticinesi, espulsi dalla Lombardia, vennero accolti in patria. Sono stati anni di fame. Si chiamano proprio così: i fortini della fame, costruiti in vista di una possibile invasione delle truppe di Radezky.

E’ capitato nel Novecento, negli anni in cui l’Angioletti soggiornò nel nostro cantone, pur in una situazione politica completamente diversa. Il Ticino visse nuovamente anni difficili, con alle sue frontiere un paese in guerra e, di nuovo, con la reiterata minaccia di vedersi staccato dalla Svizzera. Il Ticino accolse i rifugiati militari e civili proprio “in quell’ora storica assurda e drammatica”[1] come la definí Vincenzo Snider, allora professore di italiano alla Magistrale di Locarno.

L’arrivo di intellettuali e artisti venuti dall’Italia svegliò “una provincia sonnolenta”, come ebbe a dire Pio Ortelli[2]. Forse mai come in quegli anni i valori della cultura italiana furono affermati nel Ticino e in Svizzera con tanta forza e difesi accanto ai valori di uno Stato, la Svizzera, che accoglie dentro i suoi confini lingue e culture diverse.


La seconda riflessione concerne il nostro tempo.

C’è qualcosa di amaro nel riassumerla in una domanda: nel discorso politico di oggi, in che considerazione sono tenuti i valori delle diverse culture che formano la Svizzera federalista?

Diceva un politico[3] qualche decennio fa: “la vita culturale non coincide sempre con la forza del numero né con la potenza economica”. Forse un tempo gli ideali erano più profondamente radicati nell’animo degli svizzeri e dei suoi politici.

Ecco un esempio recente: ragioni di carattere economico hanno portato alla decisione delle camere federali di seguire il cantone economicamente più forte della Svizzera, il canton Zurigo: i cantoni sono liberi di insegnare come prima lingua straniera l’inglese al posto di una lingua nazionale.

La decisione non mette certo in pericolo il federalismo svizzero. Le drammatizzazioni non ci piacciono. Ma indebolisce il federalismo. Fa riflettere quell’assoluto predominio delle ragioni di carattere economico su quelle di natura politico-culturale, e non soltanto nel campo dell’insegnamento. E chi a Berna ha cercato di attirare l’attenzione su questo aspetto, è stato elegantemente rimbeccato dai colleghi.[4]

Ma la decisione preoccupa o deve preoccupare la Svizzera italiana, perché aumenta il pericolo che la lingua italiana – e dunque anche la cultura italiana - scompaia dai piani di studio della Svizzera tedesca e francese. E purtroppo siamo già a buon punto! Il Ticino rimane per intanto fedele alle sue decisioni secondo le quali lo studio delle lingue nazionali precede quello dell’inglese, anche se qualche voce ci rimprovera una certa mancanza di pragmatismo. Ma fino a quando perdurerà questa situazione non è dato di saperlo.


La terza riflessione è uno sguardo verso il futuro.

Un passo decisivo per l’affermazione della sua identità culturale il Ticino lo ha fatto con l’apertura dell’università, alla quale si sono aggiunte altre scuole del terzo livello, istituti di ricerca che hanno acquisito rinomanza internazionale e una rete di biblioteche. Il progetto universitario si consolida oggi attraverso una fitta rete di collaborazioni locali e internazionali che consentono la produzione e la messa in rete del sapere. Diversi centri di eccellenza si trovano in Lombardia.

Alla minaccia di un ridimensionamento della lingua e della cultura italiane a livello svizzero, il Ticino dunque reagisce, cosciente della propria forza e dei valori della propria cultura, attraverso iniziative che guardano al futuro e approfondimenti di capitoli del proprio passato, come è il caso di questa ricerca del dottor Saltini.

Ringrazio tutti gli enti e le persone che hanno reso possibile questo lavoro di ricerca e in particolare ringrazio la ICOFIN di Ascona del contributo concesso per sottolineare il ventennale della sua esistenza.

Mi felicito con il dottor Saltini del lavoro fatto, attraverso il quale si approfondiscono fatti salienti del nostro passato e della cultura italiana. Alle mie congratulazioni si aggiungono quelle del Consiglio di Stato ticinese e mi auguro che lo studio intrapreso risvegli la curiosità di molti studiosi e no.

Grazie dell’attenzione.

[1] Citato da Marino Vigano in Storia del Cantone Ticino, Il Novecento, a cura di Raffaello Ceschi, pag. 543, edizione Stato del Cantone Ticino
[2] Ibidem, pag. 543
[3] Brenno Galli a cura di Carlo Speziali, ed. Casagrande, 1989, pag. 258
[4] Couchepin rimbeccò con ironia la Ory del canton Neuchâtel.