29 settembre 2006

La gestione delle politiche culturali nel Canton Ticino

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - al Convegno "Le proposte culturali del Cantone Ticino", organizzato dalla Comunità di lavoro Regio Insubrica lunedì 25 settembre 2006 a Locarno)

[fa stato il testo parlato]

Gentile Signore,
Egregi Signori,

io credo, anzi sono fermamente convinto, che oggi più che mai una riflessione attenta da parte di coloro che hanno la responsabilità diretta della politiche pubbliche sul ruolo e sulla funzione della cultura e in particolare sui problemi di gestione, tutela, conservazione, promozione e valorizzazione del patrimonio culturale – e quindi sul ruolo di istituti come musei, archivi, biblioteche ecc. – sia quanto mai necessario e indispensabile. Perché c’è indubbiamente un legame diretto fra patrimonio culturale e società civile. Diceva uno studioso che il grado di civiltà di paese si valuta anche dal numero delle biblioteche. Noi diciamo che il patrimonio culturale è una risorsa che un paese civile non può in alcun modo dimenticare.

La politica di contenimento delle spese dello Stato tocca oggi tutti i settori dell’amministrazione e anche il settore culturale fa la sua parte con tagli qualche volta pesanti e ripetuti. Constato, per esempio, che negli ultimi anni le risorse finanziarie a disposizione delle biblioteche cantonali sono diminuite del 30% e pure il personale ha dovuto subire le misure di riduzione applicate a tutta l’amministrazione.

E anche gli altri istituti culturali, in primis i musei, fanno i conti con sempre minori risorse da investire nella ricerca scientifica e nelle esposizioni. Visto il trend negativo, il problema che mi pongo è quello d’un canto di ridurre al minimo i disagi generati dai tagli finanziari grazie al reperimento di forme di finanziamento indiretto, e dall’altro di sollecitare gli istituti culturali ad ottimizzare le risorse attraverso la massima razionalizzazione possibile delle attività, nuove forme di collaborazione fra gli istituti, l’adozione dei mandati di prestazione ecc.: e a tale proposito voglio ricordare che proprio pochi giorni fa il Parlamento ticinese ha dato via libera al progetto pilota che fa di due istituti culturali come l’Archivio di Stato e la Biblioteca cantonale di Bellinzona due unità amministrative autonome con l’intento di dare a questi due istituti una flessibilità di manovra tale da consentire loro di utilizzare al meglio le risorse disponibili.

A livello politico, il maggior pericolo che scorgo – e non lo nascondo - è rappresentato da tutte quelle forze influenti che ritengono la cultura un bene voluttuario, un surplus, un lusso, un bene superfluo di cui si può fare a meno, e che sostengono che la privatizzazione, l’appalto a privati e addirittura le vendita di musei e istituti culturali vari possa essere una buona soluzione per scaricare lo Stato degli oneri che il settore comporta.

C’è insomma chi ritiene che, siccome i musei dello Stato non coprono che minimamente i costi, sia opportuno affidarne la gestione ad esterni remunerati in funzione dei risultati.
Alla base di questa proposta vi è evidentemente una visione aziendalista che considera il bene culturale un fattore di produzione che deve dare reddito. E’ il tema dibattuto un po’ ovunque del rapporto fra eventi culturali e merchandising. In Italia è soprattutto la virulenta polemica di chi si scaglia contro il dilagante “beneculturalismo”, ossia la propensione, mentre il patrimonio culturale langue e boccheggia, a privilegiare esclusivamente le “mostre-evento”che generano un consumo di massa spesso acritico e dannoso per il 90% dei casi.

Il problema è complesso e non è questa la sede per affrontarlo. Voglio semplicemente far notare che questa visione aziendalista genera una serie di contraddizioni pericolose che qui voglio solo rammentare: intanto il patrimonio culturale è pubblico per definizione, e come tale non può essere alienato a privati; in secondo luogo non è possibile subordinare alla logica del profitto la missione affidata dalla collettività ai musei dello Stato: la memoria collettiva non può essere consegnata alla gestione privata e tanto meno subordinata a logiche di profitto.

Voglio essere categorico per essere chiaro. C’è una scelta di fondo da fare: se riteniamo che la valorizzazione del patrimonio culturale sia indispensabile per la crescita civile di un paese, la collettività e quindi lo Stato debbono essere pronti a sopportarne i costi necessari pur auspicando una qualche forma di collaborazione intelligente e cooperativa con i privati; se viceversa riteniamo che qualsiasi discorso che metta in relazione il patrimonio culturale con l’identità della società civile sia del tutto secondario e irrilevante, possiamo pensare a forme di alienazione che privilegino essenzialmente l’aspetto economico. Personalmente sostengo che musei e istituti culturali debbono essere gestiti con criteri rigorosi di efficienza ed efficacia ma nel pieno rispetto della loro missione che impone la vigile attenzione da parte dello Stato.

Il Cantone Ticino investe parecchio, nella gestione dei suoi istituti e nella promozione della cultura, e si colloca in posizione dignitosa fra i cantoni svizzeri per quanto concerne le spese procapite. Negli ultimi 20 anni gli investimenti sono raddoppiati e oggi arrivano a 34 milioni di franchi (ai costi di gestione degli istituti si aggiungono gli interventi a favore della promozione delle iniziative culturali ecc).

Tuttavia - bisogna pur dirlo - è sempre mancata una politica pubblica coerente e guidata da una solida strategia costruita in funzione delle priorità del paese: il dipartimentalismo ha generato forme di lottizzazione delle iniziative culturali, e fra i vari istituti, gestiti da dipartimenti diversi, non vi è mai stata fino allo scorso anno una riflessione comune.

D’altro canto la nostra gestione degli aspetti culturali è ancora troppo vincolata a una visione che concepisce il ruolo dello Stato in termini di interventi conservativi e perciò risulta poco preoccupata di ragionare in termini di valorizzazione, di fruizione di massa o di indotto economico. Ecco, in questo ambito ci sono ampi margini di miglioramento: non si tratta – come detto - di cedere alle lusinghe della privatizzazione e del “beneculturalismo” che riduce tutto al grande evento, ma di capire come sia possibile sviluppare una politica culturale che consenta allo Stato, senza venir meno ai suoi doveri, di assecondare attività economicamente interessanti, di capire come si possa promuovere il patrimonio culturale nell’ambito di una valorizzazione integrata del territorio che non escluda un concorso controllato di privati.

Da questo primo incontro non possiamo pretendere delle risposte, ma sicuramente il confronto fra la realtà nostra ticinese e quella di altre regioni offrirà spunti, suggerimenti, proposte che ci aiutino ad elaborare nuove strategie di intervento, a costruire le condizioni quadro per la migliore valorizzazione della nostra cultura e della nostra memoria storica. Che non significa chiudersi sul passato, ma al contrario, in una società in cui coesistono sensi di appartenenza plurimi, ciò significa affidare al patrimonio culturale un ruolo sociale e politico di straordinaria importanza: perché è proprio là dove la collettività ha perso qualsiasi contatto con la propria memoria che si generano gli spaesamenti e le lacerazioni.

Nel Ticino oggi - nonostante che, qui come altrove, a quattrini per la cultura non siamo messi benissimo – parecchie cose si stanno muovendo e stiamo lavorando sodo per dare – ripeto, nonostante le limitate risorse finanziarie - per dare efficacia ed efficienza ai nostri interventi e soprattutto per dare risposte convincenti alle esigenze di tutela e valorizzazione del nostro patrimonio, inteso sempre nel suo legame stretto con la società civile, come elemento fondante e irrinunciabile della nostra identità, e soprattutto come referente indispensabile del dialogo in una società multiculturale.

Molte cose, dicevo, si stanno muovendo: lo Stato sostiene iniziative culturali con cospicui contributi alle pubblicazioni, a tante manifestazioni artistiche, alle compagnie teatrali, al cinema; promuove in prima persona programmi di ricerca; elargisce borse di studio, finanzia musei (come i musei regionali) e istituti di ricerca, come l’Osservatorio linguistico e, come l’Osservatorio della vita politica.

E in cantiere vi è il progetto importante di Museo del Territorio, la risistemazione del Museo cantonale d’arte, nuove forme di collaborazione con i poli culturali regionali. Ma soprattutto, dal prossimo gennaio il Cantone metterà in funzione un nuovo strumento conoscitivo: l’Osservatorio culturale il cui intento sarà il monitoraggio attento delle realtà culturali, la ricerca di nuove strategie culturali, l’elaborazione di progetti di aggiornamento e formazione degli addetti culturali. Compito dell’Osservatorio sarà pure quello di alimentare il dibattito attorno alla definizione di patrimonio culturale; di interrogarsi sul suo significato; di approfondire il tema della proprietà del patrimonio culturale, dei suoi costi, della sua redditività, della conservazione e della valorizzazione contestuale ecc.

Si tratta di un grande cantiere aperto dove le opzioni possono essere diverse e diversificate. Ma l’obiettivo è uno solo ed è quello che ho additato ai miei collaboratori come intangibile: ricerchiamo pure nuove strade, sinergie e collaborazioni con enti pubblici e privati, ma ricordiamoci – e cito le conclusioni di uno studioso che condivido per intero – “che la vera, la grande redditività del patrimonio culturale non è nella sua commercializzazione, e nemmeno nel turismo e nell’indotto che esso genera, bensì in quel profondo senso di identificazione, di appartenenza, di cittadinanza, che stimola la creatività delle generazioni presenti e future con la presenza e la memoria del passato.”

Vi ringrazio.

27 settembre 2006

Festa federale di tiro della gioventù

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - del 25 settembre 2006 a Mendrisio in occasione della presentazione ufficiale della Festa federale di tiro della gioventù che si terrà a Mendrisio nel 2007))

[fa stato il testo parlato]

Signor presidente della Festa federale di tiro 2007,
Signori rappresentanti della Federazione ticinese delle società di tiro e della Federazione svizzera sportiva di tiro,
Gentili signore e signori della stampa,

Ai saluti e agli auguri di successo, espressi di chi mi ha preceduto agli organizzatori della prossima Festa federale di tiro della gioventù, aggiungo quelli del Consiglio di Stato e i miei personali, come responsabile di un Dipartimento che si occupa di sport. Perché per chi vi parla il tiro è uno sport a tutti gli effetti che rientra pienamente nei settori che il DECS sostiene nella sua politica a favore delle attività sportive anzitutto nelle categorie giovanili.

Tiro come disciplina forse non troppo spettacolare per lo spettatore, ma dietro la quale vi è il fascino del gesto tecnico, della concentrazione e della precisione. Sport dietro il quale ci sono i veri valori che contano nella vita, ad iniziare dall’amicizia e lo spirito di squadra, ma anche la determinazione nella ricerca del punteggio migliore, nel raggiungimento degli obiettivi individuali o di squadra. Lo sport che ti insegna a lottare, anche con te stesso, senza cedere alla facile tentazione di delegare ad altri, magari alla mamma Stato, la risoluzione dei problemi.

Questo incontro mi suggerisce altre due brevi riflessioni.

La prima riflessione è di carattere per così dire politico. Benvenuto ogni incontro a livello svizzero che avvicini i giovani provenienti da ogni angolo del Paese. E’ un’occasione per scambiare esperienze e opinioni, ed è anche un’occasione per guardarci in faccia, per parlare. Dico qui con parole semplici quello che il Consiglio federale afferma, con parole più solenni, a proposito della promozione della coesione nazionale.

Mi fa dunque molto piacere prendere atto dell’impegno e della responsabilità che si sono assunti il comitato organizzatore della Festa, dell’entusiasmo che anima le persone che lo compongono, della consapevolezza che così facendo si lavora anche per l’immagine di un Ticino dinamico, pronto non solo ad accogliere gli ospiti con parole di benvenuto, ma anche a offrir loro il frutto di un lavoro fatto con coscienza e competenza.

La seconda riflessione deriva dalla mia posizione di responsabile di un dipartimento che si occupa di sport. Vorrei che la Festa federale in programma l’anno prossimo fosse anche un’occasione per ravvivare quei valori dello sport, oggi purtroppo un po’ sbiaditi, come la competizione vissuta con onestà, il rispetto dell’avversario, la vittoria e la sconfitta non considerata alla stregua di una guerra vinta o persa.

Compete oggi a tutti coloro che si assumono l’impegno di organizzare competizioni, non importa in quale genere di sport, di mantenere viva l’idea di uno sport che è, tra tante altre cose, conoscenza dei propri limiti, dominio dei propri movimenti, ricerca di emozioni che segnano la nostra vita. Forse è superato – e per i nostri tempi un po’ ingenuo - il famoso detto di De Coubertin: “L’importante è partecipare”. Su un manifesto di un centro sportivo dei giovani hanno completato il detto con la frase “Ma è anche bello vincere.” Hanno ragione i giovani. Ma si tratta di dare alla vittoria il senso giusto.

Rinnovo gli auguri di successo agli organizzatori e ringrazio gli organi centrali della Federazione svizzera della fiducia accordata al Ticino.

26 settembre 2006

SUPSI, Dipartimento tecnologie innovative - 20 anni di informatica

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - del 22 settembre 2006 a Lugano-Trevano)


[fa stato il testo parlato]

Signori presidente e direttori della SUPSI
Autorità, rappresentanti dell'economia, della formazione e della ricerca
Signore e signori

saluto con un sentimento di soddisfazione i primi 20 anni di informatica in Ticino. Sono stati 20 anni intensi, iniziati nel 1986 con la creazione della Sezione di informatica della Scuola tecnica superiore, che, come tutti sanno, è stata successivamente integrata nella Scuola universitaria professionale.

Il Ticino come modello?
Spesso il nostro Cantone ha dimostrato di essere precursore dei tempi proprio perché ha saputo adottare soluzioni innovative in grado di rispondere alle esigenze presenti e di anticipare quelle future, soluzioni poi assunte a vero e proprio modello per il resto del Paese.

Gli esempi quasi si sprecano. E non penso solo alla nostra scuola dell'infanzia, modello che di fatto è stato ripreso nel progetto HarmoS di armonizzazione della scuola obbligatoria (progetto che fa tanto discutere soprattutto fra chi assume atteggiamenti di pura conservazione dell'esistente senza dimostrare né apertura né un po' di umiltà nell'ammettere che anche noi possiamo ancora migliorare) oppure alla scuola media, altro modello ticinese che crede in un'integrazione scolastica intesa come elemento centrale per la coesione sociale di una comunità.

La nascita della Sezione di informatica fu l'espressione di una precisa volontà politica che mirava ad offrire agli studenti ticinesi nuove possibilità di studio e sbocchi professionali in settori promettenti. Aveva lo scopo - cito una frase dell'ing. Giancarlo Ré, già direttore della STS - "di essere possibilmente di aiuto alle piccole e medie industrie ed al settore dei servizi". Ed è proprio su questo concetto che, una decina di anni dopo, il Parlamento federale darà vita a una profonda riforma del sistema educativo che porterà alla nascita delle SUP, riforme definite come "parte integrante del rilancio della nostra economia".

La SUPSI ha interpretato nel migliore dei modi la volontà del legislatore. Lo ha fatto adottando una forma giuridica che le consente la necessaria flessibilità e una buona autonomia operativa - è ente autonomo di diritto pubblico, altro modello ticinese destinato a far scuola - e proponendo un giusto equilibrio fra la formazione di base, formazione continua, la ricerca e lo sviluppo; equilibrio che troviamo in particolare proprio nel Dipartimento tecnologie innovative che opera in stretto contatto con l'Istituto CIM della Svizzera italiana, l'Istituto Dalle Molle di studi sull'intelligenza artificiale e il Laboratorio di Microelettronica, il Laboratorio di energia, ecologia e economia, il Laboratorio tecnico sperimentale, l'USI e con le realtà imprenditoriali dentro e fuori il Cantone.

Vi propongo ora alcune riflessioni in prospettiva futura.
Lo faccio partendo da un'affermazione che mi è suggerita dal Rapporto sugli indirizzi che precisa come "la formazione e la ricerca scientifica rappresentano in tutte le nazioni industrializzate un settore di investimento prioritario, in una serrata concorrenza fra le nazioni e le regioni: solo l'accesso alle nuove conoscenze e alle innovazioni tecnologiche permette di mantenere una struttura di produzione competitiva".

Il sistema universitario della Svizzera italiana è ancora giovane; in pochi anni ha raggiunto importanti traguardi e ha saputo conquistarsi un suo posto e una sua identità nel campo della formazione superiore. È una nota di merito per tutte le forze migliori di questo Cantone che si sono unite e che hanno saputo guardare oltre il proprio orticello in modo lungimirante. Ma non possiamo dormire sugli allori perché anche gli altri sono bravi.

Puntiamo molto sul Ticino della conoscenza, sul consolidamento di un solido contesto scientifico residente capace di attirare cervelli, di produrre conoscenza, di sostenere l'innovazione. Per fare questo dobbiamo assumere un atteggiamento positivo e aperto, dobbiamo sostenere le sinergie e le collaborazioni, mettere in rete il sapere, definire le priorità e abbandonare il superfluo o ciò che non risponde più alle esigenze di oggi e soprattutto di domani. La commissione di coordinamento universitario cantonale e i Consigli dell'USI e della SUPSI lavorano in questo senso, nell'auspicio che queste intenzioni trovino corrispondenza a tutti i livelli operativi dei due enti.

Il successo del mondo universitario ticinese passa attraverso il successo di tutte le istituzioni pubbliche, parapubbliche e private che lo compongono: USI, SUPSI, ASP, CSCS, ISPFP, IRB, IOSI e altre ancora. Ognuna di esse rappresenta la ruota di un grande ingranaggio che funziona se tutte le sue componenti sono ben connesse fra loro. Un po' di olio negli ingranaggi ce lo mettiamo noi politici attraverso la creazione di condizioni quadro favorevoli allo sviluppo della società della conoscenza, attraverso il sostegno concreto (leggi messaggi per il finanziamento) alla formazione, alla ricerca e all'innovazione. Poi purtroppo, ogni tanto noi politici ci mettiamo anche un po' di sabbia. Mi riferisco, lo avrete capito, alla intenzioni di plafonare al 4,5 % all'anno l'adeguamento dei contributi per la formazione, la ricerca e l'innovazione, intenzioni che sono state leggermente corrette al rialzo ("almeno il 6%") dal Consiglio agli Stati nella sessione di Flims. Ma se il 4,5 % è una vera e propria miseria, il 6% è appena sufficiente per garantire una "crescita zero". In altre parole, per marciare sul posto. Troppo poco se pensiamo alle sfide future, alla nuove realtà emergenti che conoscono ritmi di crescita elevati. Troppo poco se non vogliamo diventare, presto o tardi, un deserto tecnologico e industriale a rimorchio di chi oggi si sta rimboccando le maniche e semina. Semina bene. Ma proprio la politica per stimolare questi potenziali di crescita dovrebbe dimostrare un po’ più di coraggio.

Dobbiamo prepararci già ora per essere pronti ad affrontare i temi centrali di questo secolo che potremmo riassumere in due grandi gruppi: l'ambiente (pensiamo all'effetto serra o all'acqua) e l'energia (come rispondere al crescente fabbisogno in un contesto di sviluppo sostenibile?). Per affrontare queste sfide occorrono persone ben formate con solide competenze scientifiche. Ma sappiamo anche che la passione e l'interesse dei nostri giovani proprio per la scienza e la tecnica si è vieppiù smorzato. Su questo tema, statene pur certi, ci torneremo.

Ringrazio tutti coloro che - coscienti delle loro forze e delle opportunità che abbiamo - rinnovano giorno dopo giorno il loro impegno per il Ticino della conoscenza. Un Ticino aperto, parte del mondo. E il Ticino in cui tutti noi dobbiamo credere.

25 settembre 2006

Congresso Laboratorio d'ingegneria per la formazione e dell'innovazione (LIFI)

Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS al Congresso Laboratorio d'ingegneria per la formazione e dell'innovazione (LIFI) del 21 settembre 2006 a Lugano.

Gentili signore, egregi signori,

vi porgo il saluto mio personale e del Consiglio di Stato che rappresento in occasione di questa giornata di studio. Il tema che ci occupa oggi si presta molto bene a tutta una serie di analisi e di approfondimenti proprio perché il Ticino – e in termini più generali la Svizzera italiana – costituisce da sempre un crocevia privilegiato e un luogo di incontro fra diverse lingue e di culture. Le regioni di confine assumono - per vocazione o per necessità - il ruolo di ponte naturale fra il Nord e il Sud.

La politica della Confederazione nel sostegno allo sviluppo regionale è radicalmente cambiata: siamo passati da un modello basato sul bisogno, a un tipo di approccio che si fonda sul progetto. Ricevono l’aiuto e la solidarietà confederale i progetti innovativi e di ampio respiro che rispondono a precise esigenze, capaci di sostenere uno sviluppo sostenibile in una regione, di creare nuove opportunità di crescita morale, intellettuale e economica.

Il Ticino come minoranza e come Regione periferica è particolarmente interessato a questa evoluzione e lo ha ampiamente dimostrato assumendosi un ruolo convinto nell’ambito, ad esempio, della produzione e della divulgazione del sapere, pensando, mettendo in atto e sviluppando uno dei suoi progetti più importanti: il Ticino della conoscenza.

Ci rendiamo però anche conto dei rischi – anche se preferisco porre l’accento sulle opportunità - legati ad un’assegnazione competitiva delle risorse. Assegnazione competitiva delle risorse che da un lato può stuzzicare la nostra fantasia o la nostra creatività e – per dirla con Dante - “lo spirto guerrier ch’entro mi rugge”, dall’altro può essere da freno a chi le idee le ha, ma che per un motivo o l’altro, viene “soffocato” dalla forza o dall’arroganza di altri.

All’interno del Ticino ci sono poi regioni più a rischio di altre: lasciatemi parlare della Leventina, la mia valle, dove sono nato e dove vivo; una valle che avuto nel S. Gottardo il suo polo di sviluppo, la sua forza trainante per il benessere. Il Gottardo nel passato ha significato fortificazioni e caserme militari, ferrovia , centrali elettriche, turismo.

Non è necessario che vi faccia il quadro dell’evoluzione recente: corridoio di transito di mezza Europa, perdita di posti di lavoro anche a causa del progressivo disimpegno di attività della Confederazione, chiusura di attività produttive, diminuzione e invecchiamento della popolazione, scarse opportunità di lavoro per i giovani, risorse umane e finanziarie sempre più ridotte, difficoltà nel gestire il territorio, sono tutti segnali che ci inducono a pensare ad un ulteriore declino. Dobbiamo reagire.

La domanda politica potrebbe essere la seguente: si tratta di un’evoluzione ineluttabile o si deve o si può far qualcosa per modificarla? La domanda scientifica potrebbe invece essere: con quali strumenti si può incidere sullo sviluppo di una regione? Come si pianifica, come si realizza, come si comunica, come si verificano i risultati?

Alla domanda politica la Svizzera come nazione ha sempre dato risposte rispettose delle minoranze e perciò delle regioni, anche di quelle discoste: la nuova legge federale potrebbe continuare questa tradizione a condizione che le regioni sappiamo costituire un fronte unico, mobilitarsi e produrre progetti, coscienti delle loro potenzialità. Purtroppo finora i segnali che ricevo dal fronte politico non sono però sempre positivi, anche perché sono ancora pochi ad aver assunto un atteggiamento positivo di fronte al cambiamento. Per dire che spesso prevale ancora un tipo di atteggiamento volto alla semplice conservazione dell’esistente, al mantenimento di privilegi che ormai nessuno è ormai più in grado di garantire. Per dire che le risposte politiche devono passare dal coraggio al cambiamento, da un approccio positivo e propositivo che sappia dare forza a idee e progetti innovativi, non disgiunti dal contesto dei processi atto in una società moderna in evoluzione.

Per rispondere alla domanda scientifica – con quali strumenti si può incidere sullo sviluppo di un regione ? - credo sia necessario fare uno sforzo ulteriore di ricerca e di messa in comune di competenze magari presenti, ma non articolate attorno a un progetto. La messa in rete di competenze e la condivisione degli obiettivi è la condizione necessaria per affrontare le sfide di un modo sempre più globalizzato e caratterizzato da un’accresciuta concorrenza.

La politica può mettere a disposizione risorse, come ha fatto nel passato e come intende fare nel futuro. Ma sappiamo che investire risorse finanziarie in una regione può anche essere un atto assistenziale, può aumentare la dipendenza e aumentare le rendite di posizione, magari parassitarie. Finiti i finanziamenti esterni, finito lo sviluppo. Abbiamo assistito a sviluppi completamente esogeni, staccati dalla vocazione della regione, dalle aspirazioni dei suoi abitanti e dalle particolarità ambientali: progetti finiti con dolorosi fallimenti.

I cantoni delle regioni alpine sono coscienti della sfida posta dalla nuova legge federale che offre nuove possibilità, ma che esige precise competenze non facili da costruire e probabilmente ci chiede uno sforzo supplementare che dovrebbe trovare fondamento in un cambiamento di tipo culturale.

Concludo e sostengo che dobbiamo essere realisti: non è facile concepire, gestire, impostare al successo durevole un progetto di sviluppo che coinvolge un’intera regione. Il sostegno scientifico di un centro di competenza universitario potrebbe rappresentare una risorsa importante e ricevere interessanti spunti dal mondo politico. Le modalità di realizzazione competono evidentemente agli enti accademici che già nel passato hanno saputo rispondere con attenzione alle esigenze del territorio.

Ma personalmente voglio fare la mia parte e sto pertanto cercando di portare ad un tavolo di riflessione i miei colleghi dei cantoni alpini, in particolare Vallese e Grigioni, per la creazione di un istituto di supporto tecnico scientifico della politica regionale che consenta di proporre strategie sulle politiche territoriali dei prossimi 15/20 anni attraverso strumenti comuni volti ad aumentare la competitività del sistema territoriale e a supportare concreti progetti di sviluppo finalizzati e fondati su basi scientifiche. Un centro di competenza che rappresenti uno strumento di concertazione e un punto di riferimento per tutti gli operatori del settore e sappia orientare la strategia in materia di innovazione e di ricerca verso soluzioni condivise, ma nel contempo efficienti ed efficaci sul lungo termine.

Auguro buon lavoro al convegno e spero che le attese dei politici che credono in una efficace gestione della politica di sviluppo regionale possano concretizzarsi.

15 settembre 2006

Settimana del Gusto

(Intervento di Gabriele Gendotti per l'inaugurazione de "La settimana del Gusto", dal 14 al 24 settembre 2006 in tutto il Ticino, con la presenza del Consigliere nazionale Josef Zisyadis))

Consigliere nazionale,
Gentili Signore e Signori,

Dieci giorni all’insegna della cucina made in Ticino. La possibilità di gustare, in tutti i ristoranti scolastici, le ricette che provengono dalla tradizione Ticinese, è motivo di orgoglio. La Settimana del gusto è un inno alla tradizione che permette di proporre ai nostri giovani i prodotti della terra ticinese.

Il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport quest’anno partecipa per la quarta volta a questa rassegna gastronomica per sottolineare come la cultura culinaria è parte integrante del nostro patrimonio di conoscenze e come tale va conosciuto, apprezzato e tramandato.

Il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport considera l’educazione alimentare un impegno costante che si traduce in due importanti iniziative annuali: la “Settimana del Gusto” che ogni settembre permette di mettere in primo piano il made in Ticino e la Settimana mediterranea” che ogni primavera approfondisce la cultura alimentare di un paese del bacino mediterraneo. Nel 2005 è stata proposta la cucina Spagnola e Greca e nel 2006 quella del Magreb. I piatti tipici delle diverse zone mediterranee permettono di sviluppare la conoscenza e le risorse dei paesi e approfondire le capacità di trasformare i prodotti della terra in pietanze invitanti e ricche di sapori.

Le iniziative annuali oltre a tradursi in menú diversificati si completano con iniziative nelle scuole. A seconda della fascia di età e delle conoscenze, si approfondisce il concetto del gusto nel suo più ampio significato, di alimentazione variata, equilibrata e con prodotti stagionali, del concetto di convivialità e di scoperta di nuovi modi di proporre un pasto.

L’esperienza di questa mattina mi ha permesso di gioire e divertirmi con i bambini per la realizzazione di semplici e nostrani stuzzichini. Il clima felice ed entusiasta che si è creato mi ha permesso di capire quanto sia importante aderire alla “Settimana del gusto”.
Sono anche grato a tutti i docenti che ogni anno si prodigano durante questa settimana a creare eventi d’istituto per educare all’alimentazione i nostri giovani delle scuole medie.

La formazione alimentare per il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) rappresenta un impegno costate volto a promuovere la salute con un’alimentazione variata ed equilibrata che permetta ai giovani di crescere con le basi per una vita sana.
E non possiamo non condividere gli obiettivi che questa settimana del gusto si è prefissata: è importante sensibilizzare i giovani al piacere del gusto per capire la diversità degli stessi (e ci sono gusti che poi da adulti non si dimenticano più, le polpette di mia nonna, o gusti che ti vengono in mente quando si ha fame- la torta di ciliegie dell’altra mia nonna). Ma è importante anche attirare l’attenzione dei consumatori sulla qualità dei prodotti (i prodotti dei nostri orti…, l’insalata dei nostri prati - i salami della mia mazza….che purtroppo non rientrano nei prodotti sani che qui vogliamo promuovere).
Valorizzare le conoscenze artigianali (zabaglione o una rüsümada), valorizzare l’aspetto conviviale, promuovere la salute attraverso un’alimentazione variata ed equilibrata.
Ma anche tutelare la tradizione ed incoraggiare l’innovazione culinaria e collaborare nel promuovere uno sviluppo sostenibile.

Insomma per concludere questa settimana deve costituire un’occasione per capire e valorizzare i sapori della cucina fatta con i prodotti della nostra terra e magari con qualche insegnamento sui segreti della produzione e delle ricette.

02 settembre 2006

Lettera di inizio anno scolastico 2006/2007, inviata a tutti gli istituti scolastici del Cantone Ticino

(Lettera del 31 agosto 2006, inviata da Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - a tutti gli istituti scolastici del Cantone Ticino per l'inizio del nuovo anno scolastico 2006/2007)

Lunedì 4 settembre 2006 la scuola pubblica ticinese apre le sue porte a più di 51'000 allieve e allievi: uno scambio di parole sulle vacanze appena trascorse, un saluto ai vecchi e ai nuovi compagni e ai docenti, la trepidazione di chi varca per la prima volta la soglia di un istituto scolastico.

La ripresa delle attività scolastiche coincide con il "risveglio" di un intero Cantone dopo la pausa estiva: ricominciano i cantieri, si riflette su progetti in corso e si discute sulle sfide e sulle opportunità che si delineano all'orizzonte, anche se per la maggior parte dei docenti si sa che le vacanze sono l’occasione per rinnovare contenuti del proprio insegnamento, di fare nuove letture, insomma di fare quello che non si è potuto fare durante il tempo delle lezioni.

Durante il prossimo anno scolastico affronteremo temi importanti per il futuro della scuola: dalla generalizzazione della riforma 3 all'intero ciclo della scuola media all'insegnamento delle lingue nella scuola elementare; dalle modifiche della, legislazione scolastica cantonale dovute all'entrata in vigore della Nuova perequazione finanziaria e della nuova Legge federale sulla formazione professionale, alla nuova impostazione del Servizio di sostegno pedagogico; dall'armonizzazione della scuola obbligatoria - il progetto HarmoS - alle riflessioni sul ruolo del docente, alla sua formazione di base e continua. C’è da parte del DECS l’impegno affinché, pur riconosciuta l’importanza di armonizzare i sistemi scolastici e di contribuire alla creazione di uno spazio svizzero della formazione, siano valorizzate e mantenute quelle strutture consolidate di comprovata efficacia e rappresentative di un’entità culturale e linguistica.

Sono temi di peso che chiamano a raccolta tutte le componenti della scuola per discutere non tanto su un piano contabile e finanziario - il preventivo 2007 del Cantone risparmia la scuola da nuovi tagli incisivi - quanto sul piano dei contenuti, delle finalità e degli obiettivi dei vari gradi di insegnamento, della qualità della scuola, di come il progetto educativo applicato nei vari ordini di scuola risponde alle esigenze degli allievi affinché crescano coscienti delle loro capacità e diventino individui liberi e autonomi, capaci di assumere compiti e responsabilità nella società di oggi e di domani.

Ringrazio tutte e tutti coloro che contribuiscono ad animare con interesse e passione le attività dentro e fuori dalle aule degli istituti scolastici - docenti, funzionari, aziende formatrici - attraverso una trasmissione e condivisione del sapere che consente agli allievi di farsi strada nella vita e di capire il mondo in cui vivono.

Auguro a tutte e a tutti un buon inizio di anno scolastico.

01 settembre 2006

“Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda: grazie, aziende di tirocinio."

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della Conferenza stampa di presentazione del “Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda” del 24 agosto 2006 a Giubiasco)


Signore e signori,

vi porgo il benvenuto alla conferenza stampa di oggi.
Saluto in particolare:
· il presidente dell’Associazione svizzera dei fabbricanti di mobili e serramenti (Patrizio Dressi)
· il rappresentante dell'autorità cantonale grigionese, Carlo Pietroboni, ispettore del tirocinio delle aziende del Grigioni italiano
· il signor Renato Scerpella che rappresenta in questa occasione le quasi tremila aziende di tirocinio che hanno apprendisti in formazione o si apprestano ad averli a partire dalle prossime settimane.

La conferenza stampa e la consegna del Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda sono infatti pensate in modo particolare per le aziende di tirocinio e per i loro titolari, donne e uomini, e per le loro collaboratrici e i loro collaboratori, che in questo momento sono impegnati nella formazione di uno o più apprendisti.

Infatti, è grazie alla collaborazione delle aziende che funziona, nel nostro Cantone così come nel resto della Svizzera, la formazione della parte maggiore dei giovani nel secondario II, ossia nel periodo di formazione dopo la scolarità dell’obbligo, che interessa la quasi totalità dei giovani svizzeri, e si suddivide tra formazione professionale e scuole medie superiori, in pratica i licei. Si tratta di un modello, quello della formazione professionale duale con la formazione pratica in azienda e quella teorica a scuola, nonché con la formazione a carattere misto - pratico e teorico - dei corsi interaziendali, che mantiene tutta la sua superiorità rispetto ad altri sistemi.

Solo attraverso il connubio tra pratica aziendale e teoria scolastica è in effetti assicurata in ogni momento una formazione professionale costantemente aggiornata agli ultimi sviluppi delle attività di industria, artigianato, agricoltura, commercio, vendita, sanità, socialità e arte applicata. Altro sarebbe il caso se questa formazione professionale dovesse svolgersi interamente, come avviene in altri paesi, in scuole a tempo pieno. In scuole a tempo pieno la costante aderenza agli ultimi sviluppi della pratica non sarebbe possibile o solo a prezzo di enormi investimenti materiali e immateriali, per non parlare poi dei costi a carico dello Stato che si triplicherebbero rispetto a quelli di un sistema duale.

Per questa ragione, la Confederazione, d’intesa con i Cantoni, vuole sottolineare questo impegno delle aziende nella formazione professionale della maggioranza dei giovani svizzeri e ticinesi nel periodo tra la loro adolescenza e la maggiore età, mettendo loro a disposizione, come ringraziamento, un utile strumento di lavoro per facilitare questo loro impegno, il “Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda”. Nel manuale le maestre e i maestri di tirocinio e le loro collaboratrici e i loro collaboratori, operatrici e operatori della formazione professionale in azienda, troveranno le risposte alle questioni che giornalmente si pongono nello svolgimento dell’attività formativa.

Un ringraziamento particolare, a dieci giorni dall’inizio dell’anno scolastico, va alle aziende che anche quest’anno hanno messo a disposizione un numero rilevante di posti di tirocinio. Grazie alle aziende già attive da tempo e alle nuove guadagnate quest’anno, siamo sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo stagionale, cioè quello di dare, entro un termine ragionevole situato a metà ottobre, un posto di tirocinio o comunque una soluzione a tutti i giovani che hanno postulato l’avvio di una formazione professionale. Il compito, complice anche un aumento dei candidati, che si suddividono circa a metà tra quelli che escono direttamente dalla scuola media e quelli che nel frattempo hanno già fatto altre esperienze scolastiche e formative, è diventato un po’ più difficile, come si dirà brevemente in seguito. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno abbiamo qualche unità di giovani in più da collocare.

Per questa ragione, prendo anche l’occasione dell’evento odierno per rivolgere un appello alle aziende che non formano o, benché sollecitate ad assumere o già autorizzate, sono ancora in dubbio se procedere all’assunzione. Le invito, in questi ultimi giorni prima dell’inizio delle scuole, a volersi convincere sull’interesse di avere apprendisti, poiché, oltre allo svolgimento di un compito istituzionale, la formazione di un apprendista è qualificante sotto vari aspetti per un’azienda, al di là di qualche modesto vantaggio che può venir loro in appalti pubblici o del ritorno d’immagine nei confronti dell’opinione pubblica e dei potenziali clienti.

Un appello lo rivolgo anche alle giovani e ai giovani. Il numero maggiore di giovani ancora alla ricerca di un posto è di coloro che hanno scelto il tirocinio di impiegato di commercio. Sono scelte da rispettare, se fatte dopo aver valutato tutti i criteri e tutte le conseguenze che le accompagnano. Tuttavia non si può non segnalare da un lato le difficoltà attuali nel trovare il posto di tirocinio di impiegato di commercio. Dall’altro è opportuno segnalare anche le difficoltà che vi sono nel trovare posti di lavoro al termine della formazione, per ragioni strutturali, perché le attività amministrative, con l’intervento dell’informatica, si fanno con sempre meno persone. Pertanto, di fronte alle difficoltà attuali e future, non sarebbe male pensare anche a scelte alternative, e ve ne sono molte nel settore dell’industria e dell’artigianato, con molti posti liberi.

E’ anche per questa ragione che la consegna simbolica del manuale è organizzata in un’azienda dell’artigianato, per sottolineare una volta di più che una formazione nell’artigianato o nell’industria offre oggi quasi maggiori sbocchi professionali di ogni altra e, soprattutto, le stesse possibilità di formazione superiore nei corsi di preparazione agli esami professionali o di maestria, nelle scuole specializzate superiori o addirittura, per chi consegue la maturità professionale durante o dopo il tirocinio, nelle scuole universitarie professionali del Ticino o del resto della Svizzera. Dunque anche una formazione professionale nell’artigianato o nell’industria conduce a titoli universitari al pari di chi fra pochi giorni comincerà gli studi liceali.

Dunque, un appello alle aziende, affinché facciano un ultimo sforzo, assumendo per i posti che hanno già annunciato o magari per qualcuno in più, e un appello alle giovani e ai giovani candidati, perché prendano in considerazione anche scelte alternative di tirocinio o magari anche solo di sede, rinunciando all’idea del posto sulla porta di casa.