29 ottobre 2006

Inaugurazione della Casa dell’Accademia

(Intervento di Gabriele Gendotti di sabato 28 ottobre 2006 a Mendrisio)

[fa stato il testo parlato]

Signor Presidente della Fondazione Casa dell’Accademia,
Signori Presidente e Segretario generale dell’Università della Svizzera Italiana,
Signor Direttore dell’Accademia di architettura,
Signor Sindaco,
Cari studenti, docenti e collaboratori dell’Accademia,
Gentili signore e signori

dieci anni or sono cominciava per il nostro Cantone l’avventura universitaria, con l’avvio del primo anno accademico. I primi corsi iniziarono infatti nell’ottobre del 1996, seguiti da un centinaio di studenti a Mendrisio e da alcune centinaia di studenti nelle due facoltà di Lugano.

Solamente un anno prima, siamo nell’ottobre del 1995, il Gran Consiglio varava la legge costituente l’Università della Svizzera Italiana. È stato un momento importante, intenso ed emozionante. È stato il culmine degli sforzi di alcune persone lungimiranti che hanno saputo tessere con pazienza e perseveranza i molti interessi e le varie sensibilità facendoli convergere verso uno scopo comune, d’interesse generale: la creazione di un’Università nel nostro Cantone, dopo 150 anni di discussioni.

I mesi successivi al voto del nostro Parlamento sono stati particolarmente frenetici ed intensi negli sforzi preparatori, concentratisi come dicevo poc’anzi in un solo anno, allo scopo di permettere l’apertura dei corsi e l’accoglienza dei primi studenti. Questo notevole impegno è proseguito anche negli anni seguenti ed era destinato a costituire e a completare il corpo docenti ed a realizzare gli spazi necessari all’insegnamento e alla ricerca. Sia a Lugano che a Mendrisio abbiamo destinato in questi anni importanti mezzi, anche finanziari, per permettere alla nostra giovane Università, ai docenti e agli studenti di disporre di condizioni di studio e di ricerca che oggi sono certamente ottimali.

Già nei primi anni di vita dell’USI tuttavia ci si è resi conto che la presenza di un’Università produce anche bisogni in altre strutture e altri servizi, collaterali in quanto priorità d’investimento dal punto di vista dello Stato, ma certamente importanti per lo sviluppo di un Ateneo e quale ponte d’integrazione fra gli studenti provenienti da tutti i continenti, e la realtà locale del nostro Cantone.

Già nei primi anni, nel 1998 per la precisione, qui a Mendrisio un gruppo di persone, d’intesa con i vertici dell’Accademia di architettura, hanno sviluppato l’idea di realizzare una casa per accogliere i molti studenti provenienti da fuori Cantone che si iscrivono all’Accademia. È stata così costituita la Fondazione Casa dell’Accademia, una fondazione privata presieduta nei primi anni dal signor Max Indermaur, ormai scomparso, e con il sostegno quale presidente onorario di Giuseppe Buffi.
Questa iniziativa privata si è dimostrata negli anni azzeccata. È stata sviluppata di concerto con l’Accademia di architettura, con il Cantone, con la Confederazione e con il Comune di Mendrisio e ha permesso di mobilitare anche importanti risorse finanziarie private, certamente benvenute pensando al periodo difficile per le finanze degli Enti pubblici. Questo è certamente un modello originale ed interessante di partenariato fra Pubblico e Privato, sia per la suddivisione della partecipazione finanziaria sia per la ripartizione dei rischi imprenditoriali. I risultati, tanto dal punto di vista architettonico ed estetico, sia da quello funzionale ma anche da quello finanziario, sono molto interessanti.

Il Cantone Ticino ha contribuito mettendo a disposizione il terreno, sul quale è stata edificata questa bella casa per studenti, e versando un contributo finanziario di 1 milione di franchi.

In questi 8 anni vi sono stati anche alcuni momenti delicati che però, con perseveranza talvolta al limite dell’ostinazione da parte del consiglio di Fondazione, hanno potuto essere brillantemente superati. Questa convergenza di intenti fra privati e Stato ci permette oggi di mettere a disposizione degli studenti dell’Accademia di architettura una struttura importante per lo sviluppo ulteriore dell’Ateneo, che va a completare le strutture per l’insegnamento realizzate dall’Università negli scorsi anni.

La Casa dell'Accademia rappresenta dunque un ulteriore e significativo tassello del Ticino della conoscenza, un Ticino che - e qui prendo lo spunto dal Rapporto sugli indirizzi - crede nella formazione e nella ricerca scientifica le quali "rappresentano in tutte le nazioni industrializzate un settore di investimento prioritario, in una serrata concorrenza fra le nazioni e le regioni" per cui "solo l'accesso alle nuove conoscenze e alle innovazioni tecnologiche permette di mantenere una struttura di produzione competitiva".

Ho già avuto modo di dire che il sistema universitario della Svizzera italiana è ancora giovane, ma in pochi anni ha raggiunto importanti traguardi e ha saputo conquistarsi un suo ruolo e una sua identità nel campo della formazione superiore. È una nota di merito per tutte le forze migliori di questo Cantone che si sono unite e che hanno saputo guardare oltre il proprio orticello in modo coerente e lungimirante. Ma non possiamo dormire sugli allori perché anche gli altri sono bravi. Puntiamo dunque con convinzione sul Ticino della conoscenza, sul consolidamento di un solido contesto scientifico residente capace di attirare cervelli, di produrre conoscenza, di sostenere l'innovazione. Per fare questo dobbiamo assumere un atteggiamento positivo e aperto, dobbiamo sostenere le sinergie e le collaborazioni, mettere in rete il sapere, definire le priorità.

Il nostro sistema formativo vuole anche essere interlocutore attento, curioso e innovativo della vita sociale, culturale e economica del Cantone. Un sistema universitario che dialoga con il territorio nel quale è inserito, che contribuisce a creare parecchi nuovi posti di lavoro altamente qualificati e che vuole, da un lato, capire le esigenze del mondo del lavoro in modo da poterne garantire l'aderenza con i percorsi formativi, dall'altro contribuire attraverso una fitta rete di collaborazioni nazionali e internazionali alla crescita morale, intellettuale e economica del Paese.

Ringrazio sentitamente il Presidente della Fondazione, ing. Pietro Martinelli e tutti i membri del Consiglio di Fondazione per il loro impegno, come detto poc’anzi talvolta addirittura ostinato, che ci permette oggi di inaugurare questo centro residenziale per studenti, un fiore all’occhiello per la nostra Accademia di architettura e per i nostri studenti.

27 ottobre 2006

Consegna diplomi Scuola cantonale degli operatori sociali di Mendrisio

(Intervento di venerdì 27 ottobre 2006 di Gabriele Gendotti, in occasione della Consegna dei diplomi alla Scuola cantonale degli operatori sociali - SCOS - di Mendrisio)


Signor Direttore,
Signore e signori docenti,
Signori ospiti di questo evento,
Signore e signori neoqualificati,


partecipo sempre con un sentimento di piacere ad una consegna dei diplomi a giovani o meno giovani che hanno concluso una formazione. Il piacere sta nel condividere con loro un momento importante e senz'altro significativo della loro vita.

Infatti, la consegna di un attestato professionale è un momento che segna in un certo senso il passaggio da una situazione di dipendenza, perlomeno sotto il profilo formativo ma anche e soprattutto sotto quello finanziario, ad una situazione di autonomia. Dal momento in cui si ha in mano l’attestato si può dunque esercitare la propria professione nella propria responsabilità personale, senza dover dipendere da docenti o da operatori della formazione pratica. Si può, soprattutto contare sull’indipendenza finanziaria. Un’indipendenza finanziaria che acquista ancora un maggior valore per voi che siete in genere anche più adulti dei giovani più comunemente incontrati in queste occasioni e che certamente sono ancora attaccati, più di voi, alle loro famiglie.

Ma, in questa mia presenza, non c’è solo piacere di condividere, come in tanti altri casi analoghi, un momento di soddisfazione di cittadine e di cittadini di questo Cantone che ho l’onore, accompagnato ogni tanto da qualche peso, di governare. Ci sono ragioni più forti. Vediamone insieme qualcuna.

Innanzitutto credo che sia necessario sottolineare in ogni occasione, anche con la presenza dell’Autorità cantonale a eventi come questi, il valore di ogni professione e l’importanza che ognuna assume per lo scorrere ordinato e civile della vita del Cantone. A questo scorrere ordinato e civile della vita del Cantone concorrono infatti tutte le attività professionali, da quelle a torto considerate minori – e mi riferisco qui magari a quelle artigianali, non sempre riconosciute nel giusto modo dalle nostre giovani e dai nostri giovani – fino alle vostre, quelle della sanità e della socialità, arrivando fino a quelle dell’arte, che chiudono un po’ il novero dei settori professionali.

Purtroppo, nella percezione collettiva la vostra attività di cura e di sostegno sembra essere solo un costo per il pubblico – Comuni, Cantone e Confederazione – e per il privato. Dalla metà dell’anno non passa giorno infatti che sui media non si facciano pronostici sugli aumenti dei premi della cassa malati. E’ di questi giorni l’esito – sembrerebbe poco rallegrante – dell’indagine internazionale sui costi e sull’efficacia del sistema sanitario svizzero. E via dicendo.

Nessun accenno , o solo raramente, alle prestazioni. Intanto queste prestazioni non sono poi solo offerte – come si tende ad accreditare, affermando sempre e solo che l’offerta è eccessiva – ma queste prestazioni sono anche richieste; e sono richieste dalle stesse cittadine e dagli stessi cittadini che poi sbuffano di fronte alle spese salate pubbliche e private della sanità e della socialità.

In fondo, si può dare anche una lettura positiva delle spese della sanità e della socialità. Esse sono una parte importante del Prodotto interno lordo e contribuiscono anch’esse al suo sviluppo, dunque sono una parte, e non trascurabile, dell’economia del nostro Paese. Con le spese della sanità non si guariscono, laddove si riesce, soltanto le persone, ma si dà anche lavoro a molte persone, dalle funzioni più modeste fino ai primari degli ospedali, si muove un indotto importante pensando alle forniture di tutte le istituzioni di cura, addirittura si promuove una parte importante dell’industria metalmeccanica ticinese, se penso alle grosse aziende come la Synthes che ha oltre 500 dipendenti, la Medacta o la SMB che producono implantati a supporto della chirurgia.

Non vorrei aver fatto adesso l’elogio degli sprechi, semmai ve ne fossero. Sono anch’io paladino della parsimonia nella spesa pubblica, in tutti i settori, e laddove è possibile contenere le spese senza far mancare la qualità lo faccio anche nella scuola. Tuttavia non si può sempre accettare che ogni spesa, e in special modo nella sanità, sia demonizzata, occorre, per quanto è possibile, una lettura positiva.

Da questa lettura positiva - che auspico della sanità - deve discendere anche un’immagine ancor più positiva della vostra professione. Certamente non vi mancheranno gratificazioni di tipo personale, legate alle relazioni che avete con i vostri – se mi è permesso il termine – clienti. Ma è importante anche una gratificazione, un riconoscimento di carattere istituzionale e sono venuto a darvi proprio questo, ossia una certa fierezza della professione appresa. Ecco dunque una ragione della mia presenza.

Una seconda ragione della mia presenza. Il settore della formazione sanitaria è in grande movimento. Voi avete già anticipato quest’evoluzione, con il progetto della formazione di operatori socioassistenziali che è poi stato ripreso a livello federale. Lo stesso si può dire con il tirocinio di operatore sociosanitario, accolto, per gli apprendisti maggiorenni, in questa sede. Questi cambiamenti suscitano, come è inevitabile quando si introducono cose nuove, anche resistenze e anche critiche. Resistenze che sono magari comprensibili, se si riconducono alla naturale inerzia di fronte al nuovo o allo scontato corporativismo di chi, con una formazione precedente e dunque magari un po’ più "vecchia", deve confrontarsi con nuove figure professionali che sono sempre un fattore di concorrenza. Resistenze che non sono però giustificabili sotto aspetti più sostanziali, quali la stessa evoluzione dei processi di assistenza e di cura, così come della popolazione assistita o curata, evoluzione che richiede nuove risposte a nuovi problemi.

Sono venuto allora a rassicurare voi che vi muovete in fondo in un contesto di sperimentazione, anche se ormai consolidata, e ad affermare che l’Autorità cantonale sostiene questi cambiamenti – ci mancherebbe – e vuole realizzarli fino in fondo, non a dispetto delle critiche, che sono sempre ben considerate quando non sono gratuite, ma per l’efficienza e l’efficacia della sanità e della socialità del Cantone Ticino e forse anche delle finanze delle istituzioni di cura.

Questi cambiamenti l’Autorità legislativa li sostiene non solo politicamente, ma anche logisticamente. Sto parlando della nuova sede della Scuola che pian piano si sta realizzando qui accanto e che potrebbe magari essere disponibile già il prossimo anno, per le persone che sono ancora in formazione. Per voi che avete finito è ormai troppo tardi.

Queste dunque alcune delle ragioni della mia presenza a questa cerimonia. Ragioni che non fanno certo passare in sott’ordine il piacere di potermi rallegrare con voi per il risultato che avete raggiunto e di rallegrarmi unitamente ad amici o famigliari che vi hanno accompagnato.

Ancora una volta dunque complimenti vivissimi e auguri per il vostro futuro professionale, ricordandovi che un primo certificato non basta per tutta la vita e che la prima formazione deve sempre essere alimentata con formazione continua o con formazione superiore, magari fin nella scuola universitaria professionale. Possibilità tutte offerte dalle scuole del Cantone Ticino.

24 ottobre 2006

La SUPSI presenta i progetti per ristrutturare il Centro G+S Ticino

(Intervento del 23 ottobre 2006 a Bellinzona di Gabriele Gendotti, Consigliere di Stato
Direttore del Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport - DECS - della Repubblica e Cantone Ticino)


[fa stato il testo parlato]

Signore e signori

il direttore del Dipartimento ambiente, costruzioni e design, ing. Franco Gervasoni, ci ha illustrato il contesto nel quale si è sviluppato il lavoro degli studenti della SUPSI - un centinaio sottolineava - accompagnati da una quindicina di docenti.

Ho avuto modo di rendermi conto dei lavori presentati dagli studenti con un sentimento di soddisfazione.

Soddisfazione anzitutto per la qualità delle idee che hanno sviluppato. Si vede che a monte ci sono passione e competenza. Sono idee, spunti di riflessione, proposte concrete che ci saranno senz'altro utili al momento in cui saremo in grado di dare il via all'intera procedura che porterà alla realizzazione di un nuovo centro di Gioventù e sport in sostituzione di quello attuale; centro che, seppur simpatico e accogliente, denota i segni del tempo.

I lavori degli studenti della SUPSI costituiscono dunque un'importante tappa di avvicinamento che ci consentirà di definire meglio le esigenze e gli indirizzi di fondo al momento in cui allestiremo il bando per il concorso pubblico di architettura al quale potranno partecipare progettisti e specialisti privati. Per dire che quanto viene presentato oggi in questi spazi non va inteso come un progetto definitivo pronto per l'esecuzione e affinato in tutti i suoi dettagli, ma come importante e qualificato punto di partenza in vista della realizzazione di una nuova struttura dedicata allo sport.

Soddisfazione nel vedere come la SUPSI abbia dimostrato una volta di più di sapere affrontare una situazione da un punto di vista pluridisciplinare e organico. Nel vedere i lavori esposti sono infatti rimasto impressionato positivamente dal fatto che attorno a questo oggetto abbiano lavorato assieme studenti in architettura, ingegneria civile, comunicazione visiva, architettura di interni.

Il saper lavorare in un team è ormai una condizione determinante nel mondo del lavoro di oggi; non è più sufficiente padroneggiare le proprie competenze specifiche, ma occorre capire e interagire con tutti gli attori che lavorano attorno a un progetto, considerare i vari punti di vista, mediare esigenze e confrontarsi con problemi tecnici, economici, gestionali.

Soddisfazione anche nel vedere che gli studenti hanno potuto lavorare su un progetto concreto, non virtuale, simulando situazioni con le quali saranno confrontati al termine della SUPSI negli studi di progettazione, a contatto con il committente, le autorità, le condizioni ambientali e pianificatorie, a contatto dunque con mille vincoli e le mille sensibilità che occorre saper affrontare con competenza, senza lasciarsi sorprendere dagli avvenimenti.

Questa è un punto di forza della SUPSI e motore del suo successo: una scuola che vuole essere vicina al mondo del lavoro, che propone cicli di studio vicini alla pratica.

Soddisfazione infine perché stiamo gettando le basi per una nuova struttura sportiva importante, alla quale fanno capo migliaia di giovani, monitori, federazioni e club sportivi. Ma di questo parlerà il capo di Gioventù e Sport, Marco Bignasca.

Non mi rimane che ringraziare la SUPSI, i docenti e gli allievi della SUPSI, i responsabili dell'Ufficio cantonale G+S e della Sezione della logistica per l'impegno dimostrato.

23 ottobre 2006

Assemblea per il 60mo dell’Associazione ticinese dei giornalisti sportivi

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - all'Assemblea per il 60.imo dell’Associazione ticinese dei giornalisti sportivi del 22 ottobre 2006 a Lugano)


Gentili signore e signori

A una festa di compleanno è d’obbligo fare gli auguri: auguri dunque – a nome mio personale e a nome dell’Autorità cantonale - a questa Associazione ticinese dei giornalisti sportivi, alle giornaliste e ai giornalisti che si muovono su questo immenso pianeta sport, scrivono e discutono di sport, riferiscono dei vizi e delle virtù di chi vive di sport, di chi lo pratica e di chi fa parte di quello che oggi si chiama il “management”.

Gianni Mura dice che il giornalista della stampa scritta oggi è messo in crisi dalla straripante “dose di sport” che rimbalza dalla televisione ad internet, ai canali tematici della televisione che sparano immagini di sport 24 ore su 24. Si riferisce alla situazione della vicina Repubblica e non so dire se la crisi tocchi anche voi, giornaliste e giornalisti della stampa scritta di casa nostra.

Certo che, da quando questa Associazione ha visto la luce, il mondo è cambiato. E’ cambiata la percezione della competizione sportiva: un tempo si respirava negli stadi aria se non proprio di festa, pur sempre di sano antagonismo e l’intensità dei contrasti tra le tifoserie si smorzava sulla via del ritorno a casa. Oggi i tifosi giungono allo stadio scortati, separati e ingabbiati sugli spalti. E certe scene di violenza, che un tempo scoppiavano lontano dai nostri stadi, talvolta riempiono purtroppo anche le cronache locali.

E’ cambiato anche il modo di percepire la notizia sportiva. E’ cresciuta tra la gente la voglia di scoop, di notizie sensazionali, la voglia di vedere oltre l’immagine televisiva perché è lì che il diavolo semmai ci ha messo la coda. La moviola viviseziona spietatamente il particolare, lo spazio reale di un secondo si amplifica e amplifica l’intensità del sentimento di meraviglia per il cucchiaio che beffa il portiere o della rabbia per il rigore non concesso. “Dalli all’arbitro”, insomma.

E’ fuori discussione che la difesa della libertà di espressione e dell’indipendenza del giornalismo sportivo – uno degli scopi di questa Associazione ancorato nello statuto – è caposaldo indiscutibile del mestiere di giornalista. Di fronte alle attese di lettori sempre più esigenti, di fronte ai Diktat dell’audience o di chi investe palate di soldi, il problema mi sembra oggi essere più che mai quello di come presentare l’avvenimento sportivo, cioè in maniera tale che non sia vissuto, di regola, come una lotta drammatica, persa la quale non c’è più salvezza. E’ solo un esempio.

E’ giusto denunciare gli striscioni di violenza razzista, perché non si può far finta di niente, e perché il rispetto di chi è diverso da noi e la promozione dell’amicizia tra gli sportivi sono valori che lo sport deve difendere. Ma è anche giusto – visto dalla prospettiva di chi ha la responsabilità dell’educazione e della formazione dei giovani – rinunciare all’uso di un linguaggio che mira a scioccare la gente e può suscitare in chi legge o ascolta sentimenti di rivalsa o di violenza.

Circa quattro anni fa, il mio Dipartimento ha accolto nella sua denominazione l’elemento “sport”. Non si è trattato di un atto formale, tanto per copiare quello che in altri cantoni già si fa. Il cambiamento nasce dalla profonda convinzione che l’attività sportiva aiuta a crescere se aiuta a esplorare le proprie possibilità, a riconoscere i propri limiti, a cercare la sfida intesa come confronto con se stessi e altro ancora.

Abbiamo aperto strutture di formazione che permettono al giovane dotato di studiare e nel contempo di praticare una disciplina sportiva. E’ una soluzione che esige sacrifici, ma risponde alle attese di molti giovani.

So benissimo che lo sport a livello competitivo e internazionale persegue anche altri obiettivi, per esempio quello di vincere un campionato. Ma anche a tale proposito una riflessione sullo stato di salute attuale dello sport – dentro e fuori dei nostri confini – non è fuori luogo.

Per concludere. Bisogna ammettere che – a confronto con quanto capita altrove - i toni con cui si parla di sport sono da noi più moderati. C’è insomma la preoccupazione di riferire su quanto succede, suscitando in chi legge o ascolta la riflessione, smorzando così ogni voglia di critica a tutti i costi. E’ un riconoscimento di serietà professionale che sento di dover esprimere in tutta sincerità alle giornaliste e ai giornalisti di questa Associazione.

C’è chi asserisce che non c’è più una cultura dello sport, che essa non può nascere dal nulla e che va insegnata. Se per “cultura dello sport” s’intende la promozione dei valori dello sport, allora potrebbe essere un altro degli scopi della vostra Associazione da ancorare nello statuto. Il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport vi ringrazia del sostegno.

Rinnovo gli auguri all’Associazione e vi ringrazio dell’attenzione.

Numero speciale di "arte e storia" su Maria Corti

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della presentazione del numero speciale di "arte e storia" su Maria Corti del 18 ottobre 2006 a Lugano)


Gentili signore e signori,

A nome dell’Autorità cantonale porgo il più cordiale benvenuto ai due condirettori della rivista Arte & Storia, ai professori dell’Università per stranieri di Siena e dell’Università degli studi di Pavia. Un saluto altrettanto cordiale porgo agli scrittori di casa nostra, Giuseppe Curonici e Giorgio Orelli, e a tutte le persone presenti in quest’aula magna. Un grazie particolare esprimo alla Casa editrice di Ticino Management e al Centro manoscritti dell’Università degli studi di Pavia.

Chi interverrà dopo di me illustrerà con competenza e sulla base delle esperienze di vita e di lavoro vissute a diretto contatto con Maria Corti alcuni aspetti della sua attività di studiosa e di scrittrice, di lei che qualcuno chiamò “La signora dei manoscritti” e della quale il professor Segre qui presente scoperse il grande amore, quello vero, e la definì “La ragazza che si innamorò di Dante”.

Il mio saluto vuol essere breve, per non rubare tempo a coloro che ebbero la fortuna di incontrarla e di lavorare con lei e che fra poco illumineranno spicchi della sua personalità, delle sue imprese letterarie e di studiosa.

Permettetemi solo due considerazioni.

La prima concerne i rapporti di studio tra il Ticino e l’Università di Pavia e, in genere, gli istituti accademici d’Italia. Numerosi docenti ticinesi si sono formati alla Scuola di Pavia. Per dire dell’importanza di contatti continui e di collaborazioni non occasionali tra i nostri istituti di formazione della Svizzera italiana e quelli della vicina Italia. Scriveva qualche decennio fa un politico di casa nostra[1]: “Gli svizzeri italiani devono sottolineare la loro presenza culturale in Svizzera, se vorranno tener fede al principio giuridico della parità della loro lingua e della loro cultura con le altre, con altrettanta, almeno in qualità, mole di opere e di prodotti.”

Non è che al giorno d’oggi ci giungano dai nostri confederati del Nord incoraggianti segnali di attenzione per la nostra identità culturale, né la falcidia alle cattedre d’italiano, decisa sciaguratamente per considerazioni di natura puramente contabile, lascia presagire tempi migliori per il futuro. Ma è appunto per questo che la Svizzera italiana deve aumentare gli sforzi per salvare l’italianità all’interno delle nostre frontiere e, di conseguenza, l’essenzialità del nostro Stato. Lo può fare attraverso la consapevolezza della sua origine culturale. L’apporto di Maria Corti è stato, in questo senso, esemplare.

La seconda considerazione concerne il gran parlare che si fa oggi di competitività e si fa riferimento quasi esclusivamente ai mercati, all’economia, a profitti anche miliardari. Si dimentica tuttavia che la competitività è figlia dell’esperienza, dell’intelligenza umana allenata a produrre non solo cose ma anche idee; è figlia della qualità della formazione, cioè di serietà di metodo e di lavoro, di correttezza scientifica, di impegno, ma anche di generosità nel trasmettere il proprio sapere perché altri possa produrre nuovo sapere. E’ la lezione che Maria Corti ha lasciato a molti docenti che oggi insegnano nella Svizzera Italiana.

Il Ticino ha aperto un’università; ha istituti di formazione e di ricerca che hanno contatti con altri istituti sparsi in tutto il mondo. Non lo ha fatto per risparmiare ai ticinesi il viaggio oltre Gottardo o all’estero – come qualche scettico della prima ora asseriva - ma per aprirsi al mondo, per scambiare sapere ed esperienze con chi lavora in altre realtà economiche, sociali e culturali e per accogliere cervelli provenienti da ogni dove. Per il nostro Paese chiudersi nel proprio guscio e camminare da soli vuol dire allontanarsi dai luoghi in cui nascono le idee. Qualcuno non lo ha ancora capito oggi.

In un libro di recente pubblicazione[2], lo scrittore mette in bocca alla giovane protagonista di umile condizione: “Sono diventata ricca, perché ho scoperto i libri”.
Sarebbe piaciuta a Maria Corti un’allieva cosí, lei che i libri li voleva far parlare. E diceva che “le Carte resteranno e non sapranno mai che noi non ci siamo piú.”

Un plauso a chi ha avuto l’idea del numero speciale della rivista Arte & Storia e grazie dell’attenzione.


[1] Brenno Galli
[2] Salvatore Niffoi, La vedova scalza, Adelphi, 2006

18 ottobre 2006

Legge sull'orientamento scolastico e professionale e sulla formazione professionale continua (Lorform)

(Intervento del Consigliere di Stato e Direttore del DECS Gabriele Gendotti, durante la seduta del Gran Consiglio del 17 ottobre 2006, sulla modifica della Legge sull'orientamento scolastico e professionale e sulla formazione professionale continua (Lorform) del 4 febbraio 1998)

[fa stato il testo parlato]

Signor Presidente,
Signor relatore,
Signore e signori deputati,

oggi è indiscutibilmente una giornata significativa per una parte importante degli attori dell’economia ticinese, intesa in senso allargato, dal settore primario fino a quello delle cure sanitarie, passando per l’artigianato, l’industria, il commercio e i servizi e, perché no, anche per la gestione delle economie domestiche. Mi riferisco soprattutto alle persone in formazione che si apprestano a partecipare allo sviluppo e al consolidamento di quest’economia, ma anche a tutte le persone che, nei vari ruoli, dalle funzioni più modeste fino a quelle dirigenziali, vi operano già a pieno titolo oppure intendono rientrarvi e hanno bisogno della formazione continua per mantenerne elevato e competitivo il livello.

Ringrazio pertanto tutti coloro che hanno contribuito affinché il disegno di modifica legisla-tiva potesse giungere allo stadio del dibattimento in Parlamento. Ringrazio in particolare la Commissione speciale scolastica del Gran Consiglio, che ha licenziato il Rapporto oggi in discussione, così come la Commissione cantonale per la formazione professionale, l’importante Commissione consultiva presieduta dalla vostra collega Francesca Gemnetti e nella quale sono rappresentati tutti gli operatori interessati dell’economia e della scuola, compresi alcuni altri parlamentari. Commissione che ha svolto un importante lavoro di preparazione dell’avamprogetto di legge. All’avamprogetto, arrivato quasi pari pari dalla Commissione consultiva al Governo, e ora al Parlamento, i partner sociali hanno dato la loro adesione.

Mi auguro pertanto, al di là del dibattito parlamentare che ha ulteriormente arricchito le verifiche commissionali e delle decisioni che ne seguiranno, che oggi si possa arrivare a una prima conclusione del processo di revisione dell’apparato giuridico nel campo della formazione professionale di base, superiore e continua per adattarlo alla nuova legge federale sulla formazione professionale, lasciando aperto un solo tema, quello del fondo cantonale per la formazione professionale.

La legge federale ha dato (art. 73) cinque anni di tempo ai cantoni dalla sua entrata in vigore il 1° gennaio 2004, per l’adeguamento delle disposizioni cantonali. A due anni e mezzo o poco più dall’inizio del termine siamo dunque nella giusta media e ancora fra i primi cantoni ad averlo fatto.

Alcune considerazioni ora di natura più tecnica, in risposta ad alcuni quesiti che legittimamente possono correre tra i banchi del Parlamento, anche se gli stessi trovano già parzialmente risposta nel messaggio e nel rapporto commissionale. Alcune sottolineature sono comunque doverose.

Perché modifica e non revisione totale?

Ci sono cantoni che hanno messo in piedi un’organizzazione di progetto dai costi di varie centinaia di migliaia di franchi, coinvolgendo anche aziende di consulenza, per una revisione totale della loro legge cantonale sulla formazione professionale, che in genere risale all’inizio degli anni ottanta, dunque un quarto di secolo fa.

All’estremo opposto c’è il Canton Zugo, che in pochi articoli rinvia il tutto alla legge federale.

Il Cantone Ticino ha scelto una via di mezzo, ma non per voglia di compromesso. Le ragioni sono più sostanziali e sono le seguenti:

1. La nostra legge ha già subito un’importante revisione nel 1998, vigente ancora la legge del 19 aprile 1978. In questa revisione il Parlamento ha potuto basarsi sui lavori preliminari allora in corso per la revisione della legge federale sfociata nell’adozione della stessa il 13 dicembre 2002 e nella sua messa in vigore il 1° gennaio 2004.

2. Motore (anzi motrice) della revisione nel 1998, accanto ad altri parlamentari di spicco nella Commissione scolastica, quali Benito Bernasconi, Alberto Cotti, Argante Righetti, Giovanni Orelli, Virgilio Nova, Giorgio Zappa tanto per citarne alcuni che non sono più parlamentari, motore è stata Chiara Simoneschi-Cortesi, allora presi-dente della Commissione cantonale per la formazione professionale, la quale (a Berna, quale membro della Commissione della scienza, dell’educazione e della cul-tura del Consiglio nazionale e relatrice di lingua latina) ha avuto buon giuoco nel ri-prendere principi e disposizioni già dibattute a livello cantonale e a rivalorizzarli nel-la nuova legge federale.

3. La legge cantonale del 1998, come già la precedente del 1984, è frutto di una solida concertazione fra le parti sociali, avvenuta in particolare nella Commissione cantonale per la formazione professionale, che ha esaminato gli avamprogetti depurandoli delle connotazioni non appropriate, ancor prima dei ritocchi e di qualche in-tervento più politico del Governo, della Commissione speciale scolastica e poi del Legislativo, autore della modifica che ha accolto il principio del sostegno finanziario individuale alle persone in formazione (art. 19, cpv. 2, lett. c della legge in vigore). Anche il presente disegno di legge che modifica la Lorform è passato all’attento vaglio della Commissione cantonale per la formazione professionale che ha trovato le soluzioni appropriate nei casi di frizione.

4. La legge del 1998 ha retto bene fin qui e, soprattutto, regge bene di fronte ai cambiamenti già in atto a seguito dell’entrata in vigore della nuova Legge federale (LFPr). Dunque meglio non toccare troppo quello che si regge sull’interazione equi-librata di pubblico, privato aziendale e organizzazioni del mondo del lavoro.

Che cosa si è mantenuto?

Come detto, la legge in vigore ha dato finora buona prova. In particolare, assicurando per il tramite delle sue norme, un adeguato sostegno finanziario e organizzativo alle aziende e alle organizzazioni del mondo del lavoro, la legge vigente ha finora dato una risposta esauriente a problemi che in altri Cantoni, soprattutto urbani, hanno conosciuto degenerazioni anche di una certa gravità.

Penso in particolare al collocamento degli apprendisti, che può far leva nel Cantone sulla disponibilità delle aziende proprio perché le aziende e le loro organizzazioni del mondo del lavoro si rendono conto che il Cantone sviluppa uno sforzo finanziario non indifferente per sgravarle da costi che premono in maniera ben diversa sulle aziende di altri Cantoni. Il riferimento va qui in particolare:

1. al sostegno finanziario ai corsi interaziendali delle organizzazioni del mondo del la-voro (OML): il Cantone continua nella sua scelta di parità di trattamento tra formazione professionale e formazione liceale, assumendo integralmente i costi non aziendali per la formazione degli apprendisti;

2. alla valorizzazione delle aziende che hanno apprendisti, in varie forme che vanno dalla loro identificazione pubblica con il marchio di azienda formatrice e arrivano fino al vantaggio che esse ricevono nelle commesse pubbliche;

3. all’accompagnamento della formazione in azienda attraverso una vigilanza e interventi che qualcuno considera ancora insufficienti, ma che offrono molto di più di quanto sono in grado di proporre altri cantoni.

Non è un caso che, malgrado congiunture economiche non sempre favorevoli e l’aumento degli effettivi in uscita dalla scuola media, le campagne di collocamento degli apprendisti si siano in pratica concluse sempre raggiungendo l’obiettivo della “tolleranza zero” - cioè un posto per tutte e tutti. A tutt’oggi sono 17 i giovani ancora iscritti come cercatori e in qualche caso la difficoltà di collocamento dipende anche dall’inflessibilità dei giovani nella loro scelta, che può essere anche giustificata ma che spesso si scontra con obiettive diffi-coltà di trovare un posto di tirocinio confacente.

Questo sostegno puntuale sarà mantenuto, pur evidentemente dovendo fare i conti con la situazione finanziaria del Cantone. E’ opportuno affermarlo di fronte a qualche timore che si manifesta, più nel resto della Svizzera che da noi, fra le organizzazioni del mondo del lavoro (OML), che temono appunto per il mantenimento dei contributi finora erogati per il funzionamento dei loro centri professionali. Sarà mantenuto e potrà aumentare, non tanto per volontà del Cantone, ma a condizione che la Confederazione terrà fede agli impegni presi, ossia di portare entro il 2011 l’aliquota del contributo dall’attuale 16% al 25%.

In tal caso si aprirebbero scenari interessanti per il Cantone, perché secondo i rilevamenti ufficiali che indicano spese riconosciute per 140 mio per la formazione professionale nel Cantone Ticino, dovrebbero giungere, invece degli attuali 17 mio, circa 35 mio nelle casse del Cantone (cioè oltre il doppio). Non ci si può però contare troppo e interamente, perché, senza una ferma difesa di tutte le parti sociali e dei cantoni, difesa che si è peraltro già manifestata, il Consiglio federale ha dato qualche segnale di cedimento per rapporto alle promesse fatte.

Al riguardo ricordo che il Consiglio di Stato, rispondendo all’interrogazione di Francesco Cavalli sugli obiettivi della politica del Consiglio federale in materia di finanziamento della formazione, ha già dichiarato il suo sostegno anche ad ogni iniziativa che volesse assumere in proposito il Parlamento, per esempio in forma di iniziativa cantonale.

Ma al di là del sostegno finanziario alla formazione professionale che il Cantone vuol continuare ad assicurare, altri aspetti si mantengono nella legge oggi in esame o addirittura ne vengono confermati ed esaltati in applicazione della nuova legge federale (LFPr):
1. la gratuità di principio dell’orientamento di base;
2. la formazione dei maestri di tirocinio (operatori della formazione pratica);
3. la vigilanza proattiva sulla formazione nelle aziende per il tramite degli ispettori del tirocinio;
4. i sistemi di qualificazione alternativi, ossia la presa in considerazione di competenze acquisite non solo attraverso una formazione classica – per intenderci un tirocinio o la frequenza di scuole o di corsi - ma anche con esperienze d’ogni genere (familiari, politiche, associative, ecc.);
5.la promozione della formazione continua senza differenziazione tra quella orientata o non direttamente orientata alla professione.

Che cosa è nuovo nella modifica?

Nel disegno di legge di legge che modifica la Lorform del 1998 ci sono comunque aspetti nuovi che impegnano il Cantone. Vi elenco le modifiche più importanti:

1. Il ricorso alla collaborazione transfrontaliera (art. 3): un Cantone come il nostro non può certo fare astrazione dalla realtà italiana che lo circonda. E’ una realtà che non può essere ignorata sotto tutti i punti di vista, anche quello formativo, perché ormai il Ticino e le province lombarde e piemontesi di confine costituiscono – e non da oggi ma quasi da un secolo – un mercato del lavoro con molti elementi di integra-zione.
2. La promozione di documentazione e sussidi didattici in italiano (art. 4): un grosso rompicapo per le scuole ticinesi è sempre stata la dotazione di sussidi didattici, che spesso sono prodotti solo in tedesco. Da alcuni anni vi è un’efficace risposta a questi problemi, che si vuol ora consolidare.
3. Il servizio e la promozione del plurilinguismo (art. 5): si tratta di offrire agli apprendisti e agli allievi delle scuole professionali strumenti – fra i quali utilissimi si rivelano gli stage fuori Cantone a addirittura all’estero – per appropriarsi delle lingue straniere, così importanti in un Cantone di frontiera e di transizione tra nord e sud.
4. Le misure per regioni e gruppi sfavoriti (art. 6)
5. L’obbligo per tutti gli enti di formazione di dotarsi di un SGQ sistema per la gestione della qualità (SGQ) (art. 7)
6. Il Servizio di raccolta, bilancio e certificazione delle competenze (art. 8): per consolidare quanto già previsto in materia nella legge del 1998.

Di carattere più specifico sono altre misure nella formazione professionale di base, come la promozione della costituzione di reti di aziende di tirocinio, una necessità dettata dalla sempre maggior specializzazione delle aziende che non consente di concludere l’apprendistato in una sola azienda, oppure la messa in rete di risorse limitate, sotto il profilo dell’offerta formativa, di microaziende (art. 11). Oppure ancora il sempre più necessario coordinamento con i provvedimenti inerenti al mercato del lavoro (art. 20, cpv. 3), per intenderci con quelli della Sezione cantonale del lavoro.

Quali sono i costi di questa nuova legge?

Non vorrei nemmeno dare l’impressione, in questo intervento, che Dipartimento e Governo non siano consapevoli degli effetti finanziari dell’impegno assunto dallo Stato in materia di formazione professionale di base, superiore e continua. Il messaggio dà già non poche indicazioni al riguardo.

Ma quel che mi preme sottolineare è prima di tutto che a fronte dell'impegno dello Stato vi è un impegno altrettanto importante anche dell’economia, soprattutto nella formazione professionale di base. Il riferimento è qui soprattutto alle 2700 aziende ticinesi che hanno apprendisti in formazione. Se non ci fossero queste aziende, la formazione professionale di base costerebbe tre volte tanto, poiché tutta la formazione dovrebbe passare attraverso scuole professionali a tempo pieno. Certo che 2700 imprese non sono moltissime, a fronte di 16000 aziende registrate nel Cantone Ticino, anzi di oltre 20'000 se contiamo tutte le sedi aziendali. In quest’ambito un margine di miglioramento è possibile e persino auspicabile, bisogna appunto vedere – ne farò un accenno poco oltre - se con mezzi coercitivi o con mezzi promozionali.

Un altro indicatore che non è il caso di sottacere, è il costo medio per persona in forma-zione, che sia nella formazione professionale di base sia in quella superiore e continua è leggermente più alto nel Cantone Ticino rispetto alla media svizzera. Formazione profes-sionale ticinese spendacciona allora? Non è certo il caso e ve n’è più di una ragione. Da un lato il Cantone, per evidenti ragioni linguistiche, deve arrangiarsi a risolvere per conto suo tutti i problemi della formazione professionale, senza poter far capo a collaborazioni intercantonali se non in casi eccezionali. Dall’altro costi medi più elevati della media sviz-zera sono inevitabilmente da ricondurre ai numeri più piccoli in qualsiasi aspetto dell’offerta, che non consentono economie di scala. Infine – e questo non dispiace certo alle organizzazioni del mondo del lavoro e alle aziende – la parte che il Cantone paga per i compiti che devono essere assunti in comune tra pubblico e privato è molto più alta che nel resto della Svizzera. Questo è il frutto di una precisa scelta politica.

Tuttavia, proprio gli oneri supplementari che il Cantone deve accollarsi giustificano ancor più, sotto il profilo finanziario, provvedimenti che rispondono anche ad altre esigenze di natura didattica, qualitativa o di equità distributiva fra le varie regioni del Cantone. Penso per esempio alla creazione, nella formazione professionale di base, di centri scolastici di competenza, ripartiti su tutto il territorio cantonale, anche nelle periferie, nei quali gli ap-prendisti di una certa professione dell’intero Cantone seguono l’insegnamento scolastico. Insomma, non si può più tenere in ogni scuola professionale del Cantone un po’ di tutte le professioni, ma in ogni scuola occorre concentrare qualcosa di solido, di unitario, che possa essere conservato e sviluppato qualitativamente nel tempo, senza essere conti-nuamente a rischio di congiuntura. E ciò a dispetto di qualche innegabile disagio per gli allievi che devono intraprendere trasferte appena più lunghe nel Cantone, non certo supe-riori a quelle in atto nel resto della Svizzera, per esempio dal Grigioni a San Gallo o Zurigo e dal Vallese a Losanna.

In materia di finanziamento della formazione professionale, buone notizie dovrebbero giungere, come detto, dalla Confederazione. Se dovesse mantenere gli impegni legislativi, fissati all’art. 59 cpv. 2 della legge federale di finanziare un quarto delle spese dei Cantoni, il Cantone dovrebbe, in linea teorica, vedere circa raddoppiato entro il 2011 – da 17 a 35 mio di franchi - il contributo federale.

Che cosa manca in questa legge?
Non si può certo affermare in modo assoluto che a questa legge non manca niente. Sarebbe presunzione eccessiva, se si tien conto di come evolve, in maniera sempre più incalzante, l’economia e di riflesso le esigenze del mercato del lavoro e, in ultima analisi, della formazione professionale.

Tuttavia si può perlomeno condividere quanto formulato nel Rapporto commissionale, secondo cui questa legge non è chiusa, è evolutiva – per dirla con le stesse parole del rapporto – e lascia certamente buoni margini di adeguamento ai cambiamenti congiunturali e strutturali che continuamente investono il mondo del lavoro e conseguentemente della formazione professionale di base e continua. Ne è del resto una prova il fatto che l’impianto originale della legge del 1998 ha retto – come già detto – anche ai cambiamenti dettati dalla nuova legge federale sulla formazione professionale del 2002.

In fatto di carenze, qualche rammarico può essere legittimamente formulato da chi persegue l’obiettivo del fondo cantonale della formazione professionale, ma passando dalla formulazione potestativa contemplata dal progetto in esame a una più incisiva, fino a quella coercitiva. Per questo obiettivo ci vuole però più tempo di quello che era a disposizione e anche più convincimento di tutte le parti in causa. Infatti, un fondo cantonale non può essere una forzatura, nemmeno veicolata da una votazione popolare (anche perché, lo ricordo agli iniziativisti, le votazioni cantonali in materia sono state tutte perdenti e il progetto non deve risultare alla fine un mero esercizio politico per rivendicare meriti e addossare colpe, ma deve, se si trova un punto d’incontro, essere una vera soluzione a proble-mi concreti).

Il meccanismo della formazione professionale, soprattutto di quella di base basata sul si-stema duale – formazione pratica in azienda e formazione teorica a scuola – si regge su equilibri delicati, basati sulla disponibilità delle aziende a formare che si può stimolare e promuovere ma non ottenere per coercizione; equilibri che è meglio cercare di tenere insieme, di affinare e di consolidare piuttosto che cercare di cambiare radicalmente. Ma non è il caso di anticipare nessun conclusione al dibattito in corso sul fondo cantonale, che è ancora del tutto aperto e del quale già fra una settimana è prevista una nuova tappa nella Commissione speciale scolastica. Ne dovremo discutere con calma, senza pregiudizi, per giungere poi a conclusioni equilibrate nell'interesse collettivo. Tutte le soluzioni restano aperte.

Conclusioni
Fatte queste considerazioni, di natura – contrariamente ai propositi iniziali - non solo tecnica, arrivo alla conclusione. Credo che la discussione e l’approvazione di questa legge costituiscano un indubbio atto di progresso per il nostro Cantone. Infatti:

1. Questa legge modificata tutela le esigenze dei giovani, che devono avere il diritto, usciti dalla scuola dell’obbligo, di ricevere una formazione di qualità, per poi entrare da protagonisti attivi nell’attività professionale e nell’attività civile e sociale del nostro Cantone. Esigenze che sono anche, nella transizione dalla scuole dell’obbligo e durante la formazione e ancora oltre, delle famiglie.

2. Questa legge aggiornata risponde alle esigenze delle persone adulte, per le quali è sempre più indispensabile continuamente aggiornare, completare e talvolta rifare completamente la propria preparazione professionale per reggere ai mutamenti tecnologici ed economici del Cantone.

3. Questa legge adeguata assicura anche e soprattutto gli interessi dell’economia, che deve poter contare, per reggere la concorrenza intercantonale e internazionale, su personale accuratamente preparato a ogni livello di funzione.

Conto pertanto, assieme al Consiglio di Stato, sull’approvazione, affinché se ne possano sollecitamente mettere in atto le novità più significative.