25 maggio 2007

Attualità del pensiero di Franscini per la scuola di ieri e di oggi



(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della Commemorazione per la celebrazione del 150° della morte di Stefano Franscini a Bodio, suo paese natale, di giovedì 24 maggio 2007)






1. INTRODUZIONE

Egregi signori,

vi prego dapprima di accogliere il mio sentito plauso per questa iniziativa, promossa dal Comune di Bodio, che si inserisce nel ricco calendario delle manifestazioni e delle iniziative delle celebrazioni del 150° della morte di Stefano Franscini.

Il paese natale di Franscini non poteva non fare la sua parte, e anche in quest’occasione, come già in passato, si è fatto promotore di un’iniziativa lodevole e stimolante.

Non posso nascondervi il piacere - ma anche la sincera commozione che provo, come leventinese e come Capo del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport a ritrovarmi questa sera fra amici e fra amici della scuola -, per avere il privilegio di ricordare il più illustre dei nostri convallerani, unanimemente ricordato come il “padre della popolare educazione".

2. FRANSCINI E LA SCUOLA: IL MITO

Ebbene, cosa fece il Franscini per la scuola. E’ presto detto. Allo storico Giuseppe Martinola sono bastate cinque frasi:

Ci volevano scuole: le creò.
Ci volevano libri: li scrisse.
Ci volevano maestri: li preparò.
Ci volevano leggi: le dettò.
Ci volevano denari: li trovò”.

Un densissimo condensato di solo cinque lapidarie frasi. L’effetto è quello di delineare i contorni di un gigante, di un titano, capace, da solo, con inusitata tenacia, di dar scacco a un còmpito ìmpari, in una partita apparentemente disperata, come quella a cui si appresta un novello Davide contro Golia.
La storia, verrebbe da dire, cede il passo al mito.

3. LA SITUAZIONE DELL’ISTRUZIONE IN TICINO

Ma vediamo di tracciare, seppur sommariamente, un quadro della situazione dell’educazione e dell’istruzione in Ticino nei primi anni dell’Ottocento, così come poté conoscerla Franscini.

Egli dovette confrontarsi con condizioni complessivamente insufficienti, quando non gravi.
La scuola primaria risultava generalmente deficitaria, malgrado che il Cantone, sorto nel 1803, l’8 giugno 1804, si era affrettato a promulgare una legge che stabiliva come “in ogni comune vi sarà una scuola ove si insegnerà almeno a leggere e scrivere ed i principi di aritmetica”, che rimase però a lungo lettera morta.

Di fatto sia comuni che parrocchie erano perlopiù privi di scuole, e dovevano fare affidamento su un corpo insegnante – formato essenzialmente di sacerdoti -, che per vari motivi risultava essere impreparato, mal retribuito e dedito a incombenze di ogni genere.

Sporadica e limitata era d’altronde la frequenza, e assai diffusa l’evasione scolastica da parte dei ragazzi, che venivano sistematicamente utilizzati come forza lavoro nelle occupazioni domestiche e nella attività agricole, soprattutto a partire dalla primavera o che se ne andavano oltre i confini cantonali a lavorare come emigranti, in Lombardia, in Piemonte ma anche altrove.

Inadeguatezza dei locali– limitati in gran parte alla sacrestia, alla cucina del parroco o ad altro locale di fortuna messo a disposizione dalla parrocchia o dal comune – e della necessaria attrezzatura, si accompagnavano a metodi educativi tradizionali superati e inefficaci, perlopiù basati su un mero apprendimento mnemonico di concetti di cui spesso l’allievo non capiva il senso, e non raramente assommati a punizioni corporali.

Nel suo testo "la Svizzera italiana" il Franscini sottolineava come "le scuole si direbbero istituite la massima parte per avvezzar la gioventù a compor sonetti, anacreontiche e simili piuttostoché per erudirla nelle più utili discipline".

Non sorprende se i risultati fossero poi ampiamente carenti, caratterizzati da una limitata capacità di lettura e da scarse competenze nello scrivere e far di conto.

Assai scarsamente apprezzata dalle istituzioni e dalle famiglie stesse, l’istruzione femminile era poi quasi totalmente trascurata.

Il livello generale – in queste condizioni - non poteva che essere così assai basso, e soprattutto nelle zone più discoste del cantone si registrava un tasso di analfabetismo esteso.

La formazione professionale, che in altri cantoni e stati europei destava sempre maggior attenzione, rimaneva affidata unicamente all’apprendimento per imitazione e all’utilizzo pratico degli strumenti tradizionali di lavoro, presso i luoghi in cui da sempre si imparava il mestiere.

L’insegnamento superiore era limitato ai soli figli di famiglie benestanti, in grado di assicurare finanziariamente il proseguimento degli studi.

Qualche scuola privata di scarsa rilevanza e sei istituti confessionali, perlopiù alieni dai rinnovamenti culturali dell’epoca, continuavano ad impartire un insegnamento di tipo tradizionale, incapace di formare individui in grado di affrontare in modo critico e consapevole le problematiche della realtà che li circondava.

Apprendimento precoce del latino, capacità di comporre versi d’occasione, applicazione di precetti retorici astratti, non lasciavano spazio ai problemi economici o alla funzione comunicativa delle lingue vive, né alle scienze naturali o alla storia svizzera, a cui si preferiva quella greca e romana.

Mancando infine del tutto una struttura accademico-universitaria, per la preparazione di chi voleva formarsi in una professione liberale o alla carriera ecclesiastica, gli studenti erano obbligati ad andare fuori cantone, sobbarcandosi oneri finanziari ragguardevoli e dovendo seguire insegnamenti subordinati ad una concezione politica assolutista e antidemocratica.

4. L’AZIONE REALIZZATIVA DEL FRANSCINI

Vi propongo alcune riflessioni sull'azione realizzativa di Franscini. Un Franscini che entra nel Governo cantonale nel 1830, dopo la riforma costituzionale del ‘29, come segretario di Stato, alternando questa carica a quella di Consigliere di Stato fino al 1848.

La scuola elementare venne fortemente potenziata per meglio diffondere l’istruzione indispensabile a tutti, anche ai più poveri.

Quando Franscini, nel 1848, divenuto Consigliere federale, si apprestava a partire per Berna, in Ticino non si contavano ormai più comuni senza scuola. Le scuole elementari risultavano frequentate complessivamente dal 77% delle alunne e dall’87% degli scolari obbligati.

Tra i traguardi raggiunti, uno dei più rilevantI, a detta dello stesso Franscini, fu l’istituzione
dei corsi teorici-pratici di metodica, che consentirono, grazie ad una frequenza sempre crescente di insegnanti e aspiranti tali, un significativo innalzamento qualitativo dell’insegnamento.

Il corpo insegnanti d’altronde, dai 150 maestri - per tre quarti ecclesiastici - salì a 430 unità ( di cui 147 laici e 159 maestre), di cui la metà circa aveva seguito la scuola di metodica, e abbandonato l’inefficace pratica individuale, per praticare il metodo simultaneo, propugnato da Franscini.

Istituita nel 1841, la scuola maggiore, destinata ad una formazione più elevata per artigiani, commercianti, possidenti, agricoltori – coloro insomma che costituivano la gran parte del ceto medio di allora -, offriva lungo un ciclo triennale, l’insegnamento di principi di letteratura italiana, geografia, storia, elementi di storia naturale, economia agraria, contabilità, lingue vive, calligrafia, canto, ed esercizi militari, in funzione dell’educazione fisica e civile.

Rafforzata ulteriormente nel 1852, divenne obbligatoria e quadriennale, organizzata in due cicli biennali che permettevano da un lato di dare un’istruzione di base agli allievi orientati ai mestieri e alle attività manifatturiere e dall’altro di assicurare un’istruzione secondaria moderna in funzione del passaggio al ginnasio o al corso di architettura connesso al liceo, agevolando così la mobilità tra livelli scolastici.

Vennero inoltre istituite nel 1840 delle scuole di disegno, obbligatorie per ogni distretto, con la funzione di garantire gli stretti rapporti tra educazione e lavoro, mirando a sviluppare e perfezionare la preparazione pratica alle arti meccaniche e alla carriera dei capimastri, non solo nel settore delle belle arti, ben radicata nel paese.

Nel 1846 si giunse alla promulgazione della legge che regolamentava il settore delle Scuole secondarie classiche: i collegi letterari venivano posti sotto le stesse normative dei ginnasi pubblici o privati di nuova istituzione, aprendo le porte alla legge del 1852, che segnò il definitivo passaggio dell’istruzione ginnasiale e superiore dalle congregazioni ecclesiastiche allo Stato.

Due i cicli in cui erano organizzate le scuole: uno di grammatica e uno di umanità, con insegnamenti in lingue antiche e moderne, storia, geografia, elementi di matematica e di scienze naturali.

Quale fu l’orientamento delle riforme intraprese è testimoniato dal contributo che intellettuali del calibro di Carlo Cattaneo e di Giovanni Cantoni (che divennero insegnanti del Liceo cantonale di Lugano), richiesto dai governanti ticinesi: accentuazione delle“cognizioni positive ed esperimentali” e sul valore culturale e formativo delle scienze naturali: fisica, chimica, geologia. Parallelamente un’attenzione viva per le scienze umane e sociali: storia della geografia, del diritto, economia, senza però sacrificare il ruolo educativo dei classici della letteratura e della filosofia.

A livello universitario, conscio dell’impossibilità di puntare su un’università completa, Franscini propose il progetto di un’ Accademia, concepita come una facoltà filosofica, con insegnamenti in logica, metafisica, etica e storia della filosofia, e discipline scientifico sperimentali (fisica, chimica, matematica, storia naturale), e una facoltà legale, dove ci si formava nei diversi diritti (diritto naturale delle genti, diritto comune o romano, diritto canonico, diritto pubblico della Svizzera e del Ticino e codici del Cantone).

Prevedeva poi insegnamenti complementari comuni in religione, letteratura italiana e classica, storia, agraria, economia politica e statistica; la costituzione di una Biblioteca pubblica di ampie dimensioni, ancora assente in Ticino, e un di Museo fornito di ampie collezioni.

Ma difficoltà finanziarie e l’atavica rivalità tra le città che avrebbero voluta ospitarla, non permisero mai al progetto di trovare attuazione.

L’azione realizzativa di Franscini fu dunque ampia, costante e incisiva.

Traendo ispirazione dal moderno spirito democratico e liberale, l’istruzione senza dubbio, visse uno sviluppo vasto e articolato. Ciò non significa che non mancassero limiti e problemi aperti, ma Franscini, con l’acutezza che lo contraddistingueva, ne era cosciente.
Le basi di un sistema formativo moderno e coerente erano state tuttavia gettate.

L’impegno fransciniano nei confronti della scuola non terminò tuttavia in Ticino. Divenuto Consigliere federale e ottenuto il Dipartimento degli interni, competente per le questioni legate all’istruzione, portò avanti i progetti dell’Università federale e del Politecnico federale.

L’Università federale, che Franscini concepiva come uno strumento per innalzare il livello degli studi accademici del paese e come luogo di incontro delle diverse componenti linguistiche, confessionali ed economiche della Svizzera e delle future élites della Confederazione, naufragò scontrandosi contro gli interessi delle Università cantonali, e delle forti resistenze romande che temevano l’egemonia svizzera-tedesca.

Passò invece il progetto di Scuola politecnica federale, ampliata con una sezione filosofico-letteraria, che verrà inaugurata a Zurigo nel 1855, assicurando alla Svizzera una moderna istituzione per la formazione di ingegneri, architetti e tecnici dei vari settori scientifici, richiesti dall’industrializzazione.

Per Franscini fu una mezza vittoria, o una mezza sconfitta, anche perché i meriti di questa operazione se li assunsero, più che il Consigliere federale ticinese, soprattutto altri uomini politici, in particolare l’influentissimo presidente del governo zurighese Alfred Escher.

5. RIFORME FRANSCINIANE E SOCIETA’

L’azione riformatrice di Franscini e un bilancio sulla sua attività acquisiscono tuttavia senso solo se calati all’interno di quelle che erano le coordinate politiche, sociali e culturali del tempo.

La difesa del mutuo insegnamento ad esempio – contestatissimo dalle frange clericali – non era che una scelta funzionale all’allargamento dell’alfabetizzazione delle masse popolari, che Franscini riteneva necessaria e urgente.

Sottrarre l’insegnamento ad istitutori indipendenti dall’autorità dello Stato, tanto più se renitenti ai nuovi valori, significava rimuovere operatori ormai inadatti a formare una rigenerata classe dirigente, chiamata ad occupare le cariche pubbliche della nuova Repubblica, col compito di rafforzarne le fondamenta.

Dotare lo Stato di una direzione centrale dell’educazione, rispondeva all’esigenza di disporre di un apparato di indirizzo e di controllo efficiente per superare i numerosi ostacoli esistenti, contrastare inerzie diffuse, assumere iniziative precise.

Ciò gli permise di creare scuole, anche domenicali e serali di ricupero, di attivare l’azione sin lì troppo blanda del corpo ispettivo, di sapientemente stimolare l’azione dei comuni sostenendoli finanziariamente, rafforzandone le competenze e coinvolgendo così dal basso la gestione delle scuole presenti sul territorio.

Ma accanto a questa scelta centralistica, tipica del liberalismo del suo tempo, cercò sempre di far sì che la società civile potesse assumere a sua volta iniziative, parallelamente al ruolo del governo, facendosi promotore in prima persona di due sottoscrizioni per raccogliere fondi per la scuola, sostenendo la diffusione dei giornali e delle associazioni.

Tutto ciò quale risposta alle sollecitazioni di quel Ticino più moderno desideroso di dare una svolta al passato. Il nostro paese usciva infatti dal secolare letargo del dominio landfogtesco e da non pochi decenni di potere oligarchico e assolutista, ed era alla ricerca di strumenti e energie per superare un’atavica inerzia, sostenuta semmai da paternalistiche azioni intese al rafforzamento dei privilegi di ceti interessati al mantenimento dello status quo che non certo alla promozione di istanze innovatrici.

Il Ticino, detto altrimenti, stava vivendo anni di grande fermento per lasciarsi alle spalle una generale situazione di arretramento politico, istituzionale, economico e culturale, sulla spinta dei grandi principi illuministici giunti dalla Francia ed esportati da Napoleone, e dei nuovi valori ottocenteschi democratici e liberali, tendenti alla modernizzazione.

6. ATTUALITA’ DEL FRANSCINI

a) La scuola come esperienza vissuta
La scuola non fu per Franscini un’esperienza astratta, meramente accademica o solamente un esercizio politico, da esercitare nel chiuso delle stanze del potere.

La scuola fu sempre, per tutta la sua esistenza, un’esperienza vissuta, in prima persona.

Dapprima nella sua Leventina, come allievo della scuoletta di Personico, dove Franscini cominciò a conoscere la scuola dal di dentro, e poi al Seminario di Pollegio, che offriva ai ragazzi di modesta estrazione sociale l’unica via per studiare, avviandoli alla formazione ecclesiastica.

Poi nella grande Milano della Restaurazione, dove poté proseguire gli studi presso il Seminario Maggiore, decidendo poi però di abbandonare, non provando la vocazione al sacerdozio e dove intraprese la sua professione di insegnante, dapprima come precettore privato, in seguito come maestro. In quell’occasione seguì pure il corso di metodica e fece le sue prime prove di autore di testi didattici, speranzoso di trovare una fonte di finanziamento parallela a quella di insegnante.

In Ticino, o meglio a Lugano, iniziò ad insegnare in un istituto caratterizzato dal mutuo insegnamento, aprendo poi istituti maschili e femminili con la moglie Teresa Massari. Con riferimento all'istruzione femminile scrisse infatti "va male per i maschi, ma va peggio per le femmine"! Bisognava fare qualcosa. E lo fece.

b) Scuola di valori e per un progetto di società

Ovviamente le riforme fransciniane rispondevano a esigenze concrete per quanto concerne cognizioni, saperi, istruzione che si ritenevano più adeguati per permetter ai giovani di inserirsi nel mondo produttivo, oltre che nella vita attiva di cittadini.

Franscini voleva una scuola al passo coi tempi, e si impegnò affinché il nuovo sistema scolastico potesse garantire adeguate competenze all’evoluzione economica che si stava delineando.

Egli aveva d’altronde ben in chiaro il nesso che lega economia e educazione, considerando quest’ultima – alla stregua di Adam Smith e di Melchiorre Gioia –condizione necessaria allo sviluppo moderno del paese.

Lo sviluppo del sistema formativo che Franscini portò avanti non rifletteva tuttavia semplicisticamente la situazione del momento né si limitava a reagire di fronte a richieste che la società civile di volta in volta poneva. Ma, con notevole lungimiranza, guardava più avanti, già ponendo le premesse per sviluppi futuri e additando obiettivi a lungo termine, che altri, dopo di lui, avrebbero dovuto perseguire.

Infine, per Franscini, la scuola rimaneva il luogo deputato all’educazione: educazione ai nuovi valori democratici, liberali, laici.

Se da un lato la scuola doveva assicurare i saperi teorico-pratici per permettere l’ammodernamento della società e del suo sistema produttivo, col fine di un generale miglioramento delle condizioni di vita, sociali, economiche e politiche, per permettere insomma quel progresso e quell’”incivilimento” che rimaneva l’obiettivo finale, dall’altro doveva garantire l’educazione civile dei futuri cittadini, chiamati un giorno ad esercitare la sovranità popolare alla base della rigenerata repubblica.

Il pensiero e l'agire di Franscini mantengono dunque una grande attualità. Un pensiero e un agire che sfuggono a qualunque connotazione di parte perché era personalità al disopra di antagonismi e passioni partigiane. Aveva capito che il progresso dello Stato – economico, sociale, il grado della qualità di vita dei suoi cittadini – passa attraverso l’efficienza e l’efficacia del suo sistema formativo, la presenza di strutture che promuovono la conoscenza e la diffusione del sapere, la messa in rete di un sistema scientifico coordinato e delle necessarie risorse umane e finanziarie. A 150 anni dalla morte, ricordiamo che proprio Stefano Franscini ammoniva che “spendere si deve per fondare e migliorare quelle istituzioni che centrali essere devono [ma] che senza cantonali sussidi non sorgeranno mai nel Cantone.”

Ma il progresso dello Stato passa anche attraverso la conoscenza e il confronto con quello che viene fatto oltre i confini cantonali. Il Franscini propugnava lo studio delle “cose svizzere, ché noi altri Ticinesi ne abbiamo gran bisogno”, avvertimento che ben si addice anche al momento attuale in cui si coordinano i cicli di studio universitari a livello europeo, si elaborano basi comuni per il controllo della qualità della scuola e si definiscono gli obiettivi generali di ogni tappa della formazione. L’affermazione del proprio lavoro e delle proprie qualità non si esprime rinchiudendosi in una sorta di torre d’avorio (che può essere anche segno di incapacità di confrontarsi con altri o vuoto di idee innovatrici o fastidiosa immodestia), ma nel confronto stesso con il lavoro e le qualità degli altri.

La grande, importante e variegata attività lungo anni di esperienze personali permise al Franscini di avere nei confronti della scuola una molteplicità di approcci che ne fanno una caratteristica sua peculiare, e che rappresenta una ricchezza ancora oggi per noi preziosissima e attuale.
Anche perché questa straordinaria poliedricità non è solo il frutto di una individualità particolarmente vivace, ma è connessa ad una capacità di affrontare le problematiche del mondo educativo con una visione d’assieme.
Le sue lotte sia politiche che culturali in Ticino e in Svizzera, si assommavano ad una cultura vasta, solida e avanzata, che il Franscini si era in gran parte formato come autodidatta nelle grandi biblioteche milanesi dell’Ambrosiana e di Brera prima, e poi in severi studi statistici e di economia politica e di storia, sempre attento a ritenere quanto innovativo veniva elaborato nei vari paesi europei più avanzarti.

Anche nel campo pedagogico il Franscini fu sensibile alle proposte che si confrontavano sia a livello svizzero che europeo, guardando con interesse alla lezione di Pestalozzi, di Fellenberg, di Girard.

Per dire che l’azione riformatrice del Franscini, progressista e mai conservatore, è sempre stata orientata all’innovazione, al confronto con altre realtà ed esperienze. Per lui, precursore dei tempi, è sempre stato importante il concetto di un progredire all’interno di una realtà sempre meno rinserrata entro fragili confini e fondato su un coerente insieme di valori e un saldo progetto di società.

Il Franscini fu unico per la sua straordinaria attività di costruttore ed edificatore dello Stato liberale, ma anche per la sua capacità di schiacciare gli avversari con il peso della sua rettitudine, della sua onestà, della sua devoluzione assoluta e persino intransigente alla cosa pubblica

Concludo con una sua frase che è espressione di grandissima umanità e umiltà.

"Non mi vanto di essere perfetto nell’adempimento dei doveri della mia carica. Di questo bensì mi vanto, che i miei doveri mi stanno a cuore, e che fo ogni sforzo perché le persone giuste e imparziali mi abbiano ad annoverare tanto tra i buoni cittadini quanto tra i buoni e fedeli funzionari.”

E aggiungeva: “Né per povertà né per ambizione non ho mai abiurato i princípi di libertà, non resa servile la mia penna.”

Per questo nacque povero, visse da povero e morì povero.

24 maggio 2007

Mostra "Stefano Franscini 1796-1857. Le vie alla modernità"


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione dell'inaugurazione della mostra "Stefano Franscini 1796-1857. Le vie alla modernità" a Villa Ciani, Lugano, di mercoledì 23 maggio 2007)


Gentili Signore, Egregi Signori,

come responsabile del Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport sono particolarmente felice di partecipare all'inaugurazione di questa grande mostra su Stefano Franscini in occasione del 150° della sua morte.
Per sottolineare degnamente l'evento, il Cantone, doverosamente, ha previsto una serie di manifestazioni che si affiancheranno ad altre promosse da enti e associazioni. Oltre ad aver appoggiato e sostenuto, con la Città di Lugano, questa grande mostra a Villa Ciani, ha affidato all'Archivio di Stato e alla Biblioteca cantonale di Bellinzona il compito di allestire, a complemento, una seconda piccola mostra che si aprirà ad ottobre, e che sarà un'occasione per scrutare con discrezione il Franscini intimo attraverso le sue lettere e i suoi scritti, presentare alcune fra le opere maggiori di un autore che, da vivo, non fu sempre gratificato dal Ticino e qualche volta fu addirittura ripudiato in modo indegno dai ticinesi – si ricordi lo sgarbo vergognoso subito dal Franscini nel 1854 - ma che fu senza dubbio, e a lungo, fra i ticinesi più tradotti in Svizzera, e non dimentichiamo infine la triste pagina dei manoscritti fransciniani, alcuni ritrovati e altri smarriti forse per sempre.
Il Cantone Ticino riproporrà poi, a cura di un gruppo di studiosi coordinati da Raffaello Ceschi, una edizione nuovissima e enormemente ampliata, dell’Epistolario di Stefano Franscini, che consentirà di chiudere le celebrazioni con un’opera di valore, sicuramente uno stimolo per nuove prospettive di ricerca sullo statista leventinese. Questo per dire dell’importanza del personaggio.

Nella storia cantonale, dal 1803 ad oggi, sono molti gli uomini politici che hanno dato un contributo determinante al processo di edificazione e al consolidamento dello Stato cantonale. Nell'atrio della sala del Gran Consiglio sono esposti i busti di alcuni di loro, da Vincenzo Dalberti a Giacomo Luvini-Perseghini a Giovan Battista Pioda a Carlo Battaglini a Giuseppe Motta a Giuseppe Cattori - e altri come Gioachimo Respini, Rinaldo Simen, o Guglielmo Canevascini e parecchi ancora - sono nella memoria collettiva o, meglio, erano parte integrante della memoria collettiva: perché è pur vero che, generazione dopo generazione, la loro immagine si è appannata e affievolita fino a scomparire quasi del tutto.
Tuttavia, il Franscini è lui sempre lì, e gode di universale consenso. Tanto che, in un modo o nell'altro, tutti ne rivendicano l'eredità, o quantomeno ne riconoscono i meriti indiscussi. Il Franscini insomma non fa parte della cultura di partito perché appare come l'unica personalità condivisa, un patrimonio e un’eredità comune che non genera antagonismi e passioni partigiane.

Sul Franscini sono stati scritti e si continuano a scrivere libri, saggi, tesi di laurea, un’ infinità di articoli e sono organizzati seminari e convegni: oggi conosciamo molto del Franscini statistico, e tanto è stato scritto sul Franscini uomo di scuola, e sul Franscini politico impegnato a edificare lo Stato con buone leggi e a diffondere l'istruzione che emancipa gli uomini dall’ignoranza e ne fa dei cittadini maturi e responsabili; e pagine illuminanti sono state scritte sul Franscini storico, che sorregge l'azione politica con lo studio del passato che gli consente di capire a fondo la natura e i bisogni del presente. E sicuramente questa mostra luganese e le altre manifestazioni che seguiranno daranno atto di questi aspetti e costituiranno un ulteriore contributo di conoscenza.
Lungi da me l'intenzione di elencare i meriti del Franscini, e ancor meno di ripercorrere le tappe della sua azione politica fra il Ticino e Berna. Consentitemi però di ricordare un aspetto qualche volta trascurato: quello del Franscini ribelle, dell’innovatore, del precursore di una visione della politica intesa come azione volta a promuovere e cementare lo sviluppo materiale del paese con il progresso delle menti. Quando il Franscini proclama la necessità dell’ “incivilimento del paese” pensa proprio a questa sintesi fra sviluppo materiale e maturità delle coscienze. Mi pare che, almeno in parte, il mistero del Franscini celebrato oggi, ma qualche volta sottovalutato, frainteso e addirittura ripudiato con fastidio dagli uomini del suo tempo, stia proprio in questi suoi atteggiamenti innovativi in politica: infastidiva il suo "J'accuse" senza appello rivolto ai colleghi parlamentari, agli appaltatori scellerati, ai politici avidi, che al bene generale anteponevano l'utile privato o tutt'al più l’egoismo regionale e corporativo, infastidiva la sua avversione alle fazioni e alle contrapposizioni rigide, infastidiva la sua condanna di ogni forma di esclusivismo e della faziosità esasperata.
Il suo concetto di politica come "scambievole riconoscimento", come ricerca del negozio e della conciliazione strideva con la realtà del suo tempo che vedeva il paese spaccato in due tribù il cui obiettivo era la reciproca sopraffazione. Il concetto fransciniano della politica come arte della composizione, come mezzo di superamento delle conflittualità attraverso la ricerca del giusto compromesso fra le parti e della soluzione mediata fra posizioni diverse, ci rimanda a una visione della politica che sarà del secolo successivo. Una visione, la sua, sorretta dalla consapevolezza dell'enorme responsabilità che il politico si assume nei confronti dei cittadini: il politico per il Franscini deve esprimere le virtù dei migliori, perché a nulla valgono le buone leggi se la volontà dell’uomo di governo non si cementa costantemente con il bene pubblico "verace, sincero, disinteressato".

Il bene pubblico come obiettivo supremo, il rifiuto di qualsiasi forma di condiscendenza verso ogni manifestazione di integralismo settario, sono i principi guida che hanno permeato l'azione del Franscini e ne hanno fatto, e ne fanno, un esempio di perenne attualità. Il Franscini sicuramente unico per la sua infaticabile attività di forgiatore di programmi per la crescita economica, sociale, culturale del Paese, fu unico per la sua straordinaria attività di costruttore e di edificatore dello Stato liberale, ma fu soprattutto unico per la sua capacità di schiacciare gli avversari non tanto con il linguaggio del formidabile polemista quale egli era, ma col peso della sua onestà, della sua devozione assoluta e perfino intransigente alla cosa pubblica un esempio e un monito per tutti noi.

Unico anche per la sua capacità e la sua attitudine di principio, come sottolineò il Martinola in occasione del primo centenario della sua morte, ad “un diretto e aperto e fiducioso colloquio col popolo, senza riserve astute e misteri, una politica che si dispiegava alla luce del giorno, sotto gli occhi di tutti, all’insegna così rara del dir pane al pane, anche agli amici occorrendo, e nella forma della più consacrata pubblicità, la stampa”.
Da qui la modernità e l’attualità del suo pensiero.
lo non voglio tuttavia terminare, gentili Signore, egregi signori, senza un cenno doveroso e dovuto al fatto che questo evento- molto di più di quello del 1998 - è stato possibile grazie a un progetto comune che ha dato origine a una intensa, proficua e fruttuosa collaborazione fra il Cantone e la Città di Lugano, fra il DECS e il dicastero cultura retto da Giovanna Masoni. È il segno tangibile di un dialogo culturale che il Cantone intende perseguire con gli enti locali e che in particolare il Cantone vuole approfondire in primis con la Città di Lugano. Sviluppare una efficace politica culturale in una società sempre più multiculturale come la nostra significa combattere le spinte alla frammentazione e promuovere lo scambio, la comprensione interculturale, la comunicazione fra culture e realtà altrimenti giustapposte.
È compito del Cantone ed è compito di un grande centro di attrazione come Lugano ricercare gli strumenti più adattati per raggiungere insieme questi obiettivi. Obiettivi fransciniani, direi, perché si tratta appunto di riprendere il principio fransciniano dello scambievole riconoscimento, di individuare e fare interagire gli interessi comuni e cercare le vie più proficue per una loro realizzazione: il dialogo è stato proficuo attorno a questo evento, e lo è già attorno a problemi che richiedono soluzioni a lungo termine, come quello della politica museale o dei rapporti fra istituti culturali del Cantone e istituti cittadini.
Chiudo quindi ringraziando la Città di Lugano per il suo determinante contributo alla riuscita dell'evento e non voglio dimenticare i miei collaboratori del DECS, dell’Archvio di Stato e della Divisione della cultura e degli studi universitari, che con non poche difficoltà, sono riusciti a portare a termine un lavoro veramente impegnativo.

14 maggio 2007

L'ambizione di un modello ticinese nella formazione terziaria


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - all'USI di Lugano in occasione del "Dies Academicus" di sabato 12 maggio 2007)

[fa stato il testo parlato]

Signor presidente dell'USI,
autorità, ospiti delle altre università e dei politecnici federali,
Signore e signori professori,
Signore e signori,

ho il gradito compito e soprattutto l'onore di portare il saluto del Consiglio di Stato al Dies academicus dell'Università della Svizzera Italiana al quale partecipo con un sentimento di soddisfazione e di orgoglio: soddisfazione e orgoglio che si traducono in un sincero ringraziamento che rivolgo a tutti coloro che contribuiscono a sviluppare la realtà della formazione terziaria della Svizzera italiana in un contesto di qualità e di eccellenza.

Sappiamo che le università svolgono la loro missione di insegnamento e di ricerca attraverso un dialogo costante con la società; università che fungono da motore dell'innovazione, che rispondono ai bisogni della collettività e che garantiscono un contributo fondamentale per l'analisi, la comprensione e la risoluzione di problemi nazionali e internazionali. Per dire che il ruolo assunto dall'USI - e con essa l'intero settore della formazione terziaria - si traduce nel panorama formativo in opportunità di crescita scientifica, culturale e morale del nostro Paese.

Su un piano federale
Su un piano federale si discute in modo convinto ed appassionato sul futuro della formazione superiore, sul suo ruolo irrinunciabile per affrontare le sfide di domani. Il Consiglio federale ha recentemente licenziato il messaggio concernente il promovimento della formazione, della ricerca e dell'innovazione negli anni 2008- 2011. È un messaggio importante - oserei dire decisivo - che ha ben recepito le nuove disposizioni costituzionali accettate dal popolo nel maggio 2006. Sono disposizioni che impegnano tanto la Confederazione quanto i Cantoni e che si concentrano su due principali linee direttrici: la prima riguarda la formazione e mira ad assicurarne la sostenibilità e a migliorarne la qualità, mentre la seconda riguarda la ricerca e l'innovazione e mira a stimolarne la competitività e la crescita.

La formazione, la ricerca e l'innovazione sono considerate ambiti strategici per lo sviluppo sociale e per la prosperità economica del Paese e, conseguentemente, il Consiglio federale intende attribuire a questi settori le necessarie risorse proponendo una crescita media della dotazione finanziaria per la formazione, la ricerca e l'innovazione del 6% ogni anno a partire dal 2008. Rispetto alla dotazione disponibile per il periodo 2004-2007, la pianificazione 2008-2011 presenta un aumento pari a 3,3 miliardi di franchi.

Nello stesso tempo il Consiglio federale vuole accrescere l'efficacia delle risorse assegnandole in modo competitivo, cioè in modo selettivo a sostegno dei migliori progetti e dei migliori ricercatori. Questo vale in particolare per la ricerca con gli aumentati finanziamenti al Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica e alla Commissione per la tecnologia e l'innovazione. Non solo, vale anche per l’insegnamento attraverso progetti di cooperazione tra le università per creare centri di eccellenza di valore internazionale.

L'aumento delle risorse tiene conto dei "ritardi" accumulati nel corso degli anni in alcuni ambiti e dei nuovi obblighi legali della Confederazione. Va anche però detto in questa sede che non è tutto oro ciò che luccica: in realtà l'aumento della dotazione permette una compensazione del rincaro e il finanziamento dell'aumento del numero effettivo degli studenti che frequentano gli istituti di formazione superiore. Ricordo infatti che le università continuano ad essere confrontate con la forte crescita del numero di studenti: il loro numero è aumentato del 15 % circa tra il 2000 e il 2005; mentre il numero di studenti è praticamente raddoppiato dal 1980 ad oggi. In termini reali i sussidi risultano così essere costanti, e ciò spiega perché tutti gli ambienti vicini alla formazione (in particolare la Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione, la Conferenza universitaria svizzera e la Conferenza dei rettori delle università svizzere) avevano chiesto alla Confederazione un intervento di sostegno ben più generoso che andasse al di là della crescita media del 6% citata prima.

Sfide e obiettivi
In base alla Legge sull'aiuto alle università la Confederazione sostiene le dieci università cantonali nel loro sforzo di mantenere un eccellente livello di insegnamento e di ricerca in un contesto di accresciuta concorrenza. Concorrenza che ha spinto l'Unione europea a reagire e a darsi l'obiettivo - senz'altro ambizioso - di diventare la società della conoscenza più competitiva e dinamica al mondo entro il 2010, auspicando una riforma della ricerca e dell'insegnamento superiore.

Per l’USI, un ateneo giovane che ha da poco compiuto 10 anni, le scelte strategiche dei prossimi anni saranno determinanti e dovranno considerare le grandi tendenze in atto su un piano globale. Dopo un primo decennio improntato, come era naturale, allo sviluppo di base dell’insieme della struttura accademica, gli obiettivi relativi al prossimo quadriennio e la “visione” 2015 indicano che l’università tende verso un modello di sviluppo ben definito, così come ha descritto il presidente dell'USI, prof. Piero Martinoli.

Consolidare quanto è già stato realizzato finora nell’offerta formativa, nella ricerca e nei servizi è il nostro obiettivo prioritario. Direi di più: non solo consolidare, ma anche sviluppare ulteriormente l'offerta, puntando in particolare su una ricerca intesa come uno degli assi prioritari del futuro sviluppo dell’USI. La qualità dei risultati ottenuti nel campo della ricerca saranno dunque essenziali.

Una prima indagine: evoluzione del numero di studenti del settore terziario nella Svizzera italiana
Il Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport ha dato mandato al Servizio ricerca USI - SUPSI di raccogliere dati indicativi e di produrre indicatori dello sviluppo del sistema universitario e della ricerca nel Canton Ticino come supporto alla pianificazione strategica e alle decisioni di politica universitaria.

La raccolta dei dati ha permesso di disporre, per la prima volta, di una visione d'assieme, includendo tutte le scuole terziarie (quindi non solo USI e SUPSI) e di misurare l'impatto dell’istituzione di USI e SUPSI sulla formazione terziaria in Ticino.

Si è in particolare potuta esaminare l'evoluzione del numero di studenti negli ultimi 20 anni che indica una crescita continua e molto forte del numero complessivo di studenti del terziario, numero che è praticamente triplicato. Gli anni '80 sono stati caratterizzati da una forte crescita degli studenti universitari, mentre negli anni '90 l'aumento ha toccato soprattutto la formazione professionale superiore, come conseguenza della riforma del settore e l'introduzione della maturità professionale.

Lo sviluppo della formazione si è tradotto anche in un aumento del livello di formazione della popolazione lavorativa: in effetti la percentuale di giovani fra i 25 e i 34 anni che dispone di un diploma superiore è quasi raddoppiata, passando dall’11% del 1980 a poco più del 20% nel 2005. Questa evoluzione è particolarmente importante poiché, nell’attuale economia fondata sulla conoscenza e l’innovazione, il livello di formazione della manodopera rappresenta uno degli elementi chiave dello sviluppo economico.

Gli studenti del settore terziario sono circa 10'000. Gli studenti ticinesi fuori dal Ticino sono 5'000 mentre quelli che studiano nel Cantone sono più di 3'000. Gli altri 2'000 sono studenti non ticinesi che studiano in Ticino. Come auspicato l’istituzione dell'USI e della SUPSI non ha frenato la mobilità degli studenti ticinesi e circa il 60% degli studenti ticinesi nel settore terziario continua a studiare fuori dalla nostra regione. D'altra parte il numero di studenti non ticinesi che studiano da noi è assai consistente, visto che corrisponde ad oltre un terzo del totale degli iscritti; presenza di studenti non ticinesi che è particolarmente elevata all'accademia di architettura e nelle tre facoltà dell'USI - a testimonianza dell'internazionalità dell'ateneo - come pure alle scuole universitarie di teatro Dimitri e di musica del Conservatorio affiliate alla SUPSI.

La scelta dell’ambito di studio da parte degli studenti rappresenta infine un dato molto importante per lo sviluppo delle politiche della formazione. A livello svizzero è ben noto che gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da un forte incremento degli studenti in scienze sociali e allo stesso tempo da una stagnazione (o anche una diminuzione) di quelli nelle scienze esatte e tecniche. Non a caso il DECS ha recentemente promosso una campagna di sensibilizzazione dei giovani - che continuerà anche nel corso dei prossimi anni - alle formazioni tecniche e scientifiche.

Abbiamo inoltre constatato una tendenza importante rappresentata dallo sviluppo di una consistente offerta di formazione terziaria nella regione, che si è progressivamente strutturata attorno all'USI per la formazione universitaria generale e alla SUPSI per la formazione con orientamento professionale.

I dati raccolti dallo studio indicano che il processo di raggruppamento della formazione superiore è da considerarsi (quasi) realizzato, con l'eccezione rilevante della formazione dei docenti che avviene all'Alta scuola pedagogica, eccezione sulla quale sarà opportuno chinarsi.

Una seconda indagine: evoluzione della ricerca competitiva nella Svizzera italiana
Considerata l'importanza della ricerca abbiamo anche ritenuto opportuno approfondire l'evoluzione sull'arco di più anni dei finanziamenti alla ricerca. Anche qui i dati sono interessanti: il totale dei finanziamenti erogati dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica, dall'Unione europea, dalla Commissione per la tecnologia e l'innovazione e dal Campus virtuale svizzero ha raggiunto e superato i 12 milioni di franchi.

Si tratta di un aumento enorme se consideriamo che solo 10 anni fa i finanziamenti erano dell'ordine di 1 milione di franchi. La politica del Cantone nel campo dell'università e della ricerca - con l’istituzione di USI, SUPSI e il sostegno ad istituti come l'IRB di Bellinzona - ha quindi portato a risultati significativi in termini di inserimento nelle reti di ricerca internazionale, e ciò sebbene vi sia stato un forte aumento della competizione per i finanziamenti alla ricerca che ha visto diminuire fortemente i tassi di accettazione delle proposte di progetti.

Il Cantone crede molto nella ricerca quale motore di sviluppo di un paese moderno e in essa ha deciso di continuare ad investire. Ricordo che recentemente il governo ha licenziato un importante messaggio per il rilancio economico e di sostegno all'occupazione nonché allo sviluppo della ricerca scientifica, alla quale sono attribuiti 15 mio di franchi. Si tratta di un sostegno strategico finalizzato ad investimenti nella ricerca che persegue l'obiettivo di continuare in modo convinto, coerente e nel segno della continuità sulla strada di un Ticino in grado di attirare cervelli, di promuovere la produzione e la divulgazione del sapere, di creare opportunità di lavoro e di crescita non solo attraverso il sostegno di enti pubblici e parapubblici - penso in particolare al Centro svizzero di calcolo scientifico, all'IRB, allo IOSI - ma anche attraverso misure puntuali volte a sostenere lo sviluppo e il consolidamento di istituti di ricerca privati di riconosciuta qualità scientifica.

Una terza indagine: il sistema terziario e il contesto economico e sociale in cui opera
Il Consiglio di Stato si è pure interrogato sulle ricadute di tipo sociale e economico indotte dalla presenza sul territorio dell'USI e della SUPSI. La ricerca, affidata a tre professori, è del 2004, ma le tendenze generali ivi delineate sono ancora significative e attuali. Dalle analisi è emerso che il polo universitario è ormai bene innestato sul territorio cantonale ed è diventato un fattore di attrazione di flussi finanziari all'interno del Cantone, con un beneficio netto rilevante. Si è stimato che il moltiplicatore per unità di spesa pubblica netta del Cantone è pari a circa 3. È un polo universitario che ha l'opportunità di accompagnare l'evoluzione verso un settore industriale innovativo e soprattutto verso un maggiore orientamento ai servizi. È un polo universitario che è considerato come un fattore di rafforzamento in termini di competitività, di identità culturale e di visibilità.

Pensiamo ad esempio ai programmi di ricerca applicata e ai progetti di transfert tecnologico svolti in collaborazione fra gli istituti di livello universitario e l'economia. I finanziamenti competitivi, messi a disposizione principalmente per le PMI, costituiscono uno stimolo importante per le alte scuole a condurre una ricerca e uno sviluppo basati sulle necessità del mercato. Gli esempi concreti di iniziative recenti che vogliono contribuire a trasformare conoscenze in attività economiche e in benessere generale non mancano: pensiamo a Ticino Transfert, CP Start-up, Tecnopolo, Biopolo.

Altri indicatori infatti segnalano che il Ticino si trova ancora nella posizione di Cantone "esportatore" di accademici; i posti di lavoro per accademici creati dalle aziende e dai servizi è inferiore al numero dei diplomati formati. Il circolo virtuoso tra formazione, ricerca, applicazione, creazione di posti di lavoro va perciò sviluppato in tutte le sue componenti, se si vuole che i nostri sforzi si traducano in benessere culturale, sociale e economico per il Cantone.

A quali conclusioni possiamo giungere?
In sintonia con le scelte strategiche e di indirizzo maturate su un piano nazionale, il Ticino ha costruito una politica universitaria attraverso la quale vogliamo sviluppare ulteriormente l'offerta di formazioni terziarie e di ricerca scientifica inserite sempre più in una visione unitaria e coordinata. È il "modello ticinese" che consente una visione d'assieme, coordinata e unitaria dei vari enti di formazione e ricerca (USI, SUPSI, Alta scuola pedagogica, Istituto universitario federale per la formazione professionale).

Prossimamente il DECS presenterà un messaggio concernente la pianificazione 2008 - 2011 della politica universitaria. Sarà un messaggio importante e al contempo impegnativo nel quale verrà illustrato il quadro completo delle strategie e della pianificazione future che tiene conto delle indicazioni emerse da organi superiori - come la CUS e la CRUS - nell'ambito del Paesaggio universitario svizzero che prevede l'elaborazione di un'unica legge volta a dare maggiore coerenza e a rafforzare le sinergie fra le 10 università, le 7 scuole universitarie professionali e i due politecnici federali.

Nella Svizzera italiana le collaborazioni in corso e - soprattutto - quelle previste fra USI, SUPSI, Alta scuola pedagogica, Istituto universitario federale per la formazione professionale citate prima - devono fungere da stimolo per creare e sviluppare sinergie; le collaborazioni si devono inserire in un contesto di complementarità delle prestazioni assicurate, di messa in rete delle competenze, di impiego razionale delle risorse umane e finanziarie a disposizione.

La Legge cantonale USI/SUPSI ha d'altronde sempre ribadito la volontà di una stretta collaborazione fra gli enti di formazione, volontà ormai citata in molti documenti ufficiali della Confederazione.

In Ticino è una collaborazione che sinora si è sviluppata soprattutto nell’ambito dei servizi interni, ambito che sarà coronato dalla prevista coabitazione in due campus di Lugano (a breve termine con un investimento attorno agli 80 mio di franchi) e di Mendrisio (a più lungo termine). La collaborazione negli ambiti della ricerca e dell’insegnamento procede in modo sicuramente avanzato rispetto ad altre realtà svizzere, ma ancora piuttosto puntuale e non sempre perfettamente aderente ad una visione strategica coordinata. Da segnalare comunque che - oltre ad un istituto comune alle due istituzioni (l’IDSIA), ad unità condivise come il Servizio ricerca e a collaborazioni in progetti e in offerte di formazione continua per professionisti - con il Master in informatica USI-SUPSI dal settembre 2007 si compie una significativa tappa anche nella formazione di base degli studenti, tappa significativa che è anche espressione di una precisa volontà di dare forma ad una strategia di sviluppo coordinata da parte dei due Consigli di USI e SUPSI: i progetti di master comuni nel campo dell’architettura e dell’informatica sostenuti dalla Confederazione, sono un modello per ulteriori sviluppi.

Le sfide che le università dovranno saper affrontare nel prossimo futuro sono dunque quelle tipiche di un contesto sempre più competitivo per cui solo chi investe e si rinnova, solo chi sa cogliere le opportunità e lavorare su progetti forti e condivisi potrà affermarsi e ritagliarsi un ruolo di leader su un piano internazionale.

La Svizzera italiana ha capito per tempo che in un'economia sempre più fondata sulla conoscenza la diffusione del sapere e la messa in rete di un sistema scientifico coordinato e di qualità rivestono una notevole importanza e che è un compito prioritario dello Stato mettere a disposizione le necessarie risorse umane e finanziarie.

Ce l'aveva già insegnato il Franscini, di cui quest'anno commemoriamo i 150 della morte, che "spendere si deve per fondare e migliorare quelle istituzioni che centrali essere devono [ma] che senza cantonali sussidi non sorgeranno mai nel Cantone".

Noi crediamo molto in questo Modello ticinese che costituisce per noi una strada obbligata, ma che sarà sicuramente seguito da altri.

10 maggio 2007

Assemblea della Società Svizzera degli Impresari Costruttori sezione Ticino (SSIC Ticino)

(Intervento di Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione dell'Assemblea della Società Svizzera degli Impresari Costruttori sezione Ticino - SSIC Ticino - di giovedì 10 maggio 2007 a Mendrisio)

[fa stato il testo parlato]

Signori presidente, signor direttore,
signore e signori impresari,

sono particolarmente compiaciuto di portare il saluto del Consiglio di Stato all’assemblea della SSIC, che è un po’ la cartina di tornasole dell’economia ticinese: se il settore dell’edilizia sta bene, se è in buona salute, normalmente è in buona salute anche l’economia del Cantone.

Sappiamo che nel campo della formazione il Cantone Ticino viene spesso considerato come una palestra di innovazioni, un cantiere aperto, attento ai bisogni dell'individuo e, al contempo, alle nuove esigenze di una società moderna; un Cantone capace di dar vita a progetti pilota o a riforme che diventano poi modelli per altri cantoni.

Non mi riferisco unicamente alla politica universitaria del nostro Cantone, una politica unitaria e coordinata in collaborazione con l'industria, che mira a sviluppare ulteriormente l'offerta di formazioni superiori e la ricerca scientifica di base e applicata. In occasione della vostra assemblea penso in particolare al settore della formazione professionale. Ed è proprio in questo settore che mi piace sottolineare l'ottima, intensa e proficua collaborazione che si rinnova, anno dopo anno, fra i servizi del mio Dipartimento e la Società Svizzera degli Impresari Costruttori.

Il centro SSIC di Gordola
L'ultimo tassello importante di questa collaborazione è la recente approvazione del Gran Consiglio del contributo di 13 mio di franchi per il programma di ampliamento, ristrutturazione e messa in sicurezza del Centro professionale di Gordola della SSIC.

È un Centro che svolge un ruolo importante nella formazione di base e continua in cui si svolgono i corsi interaziendali per gli apprendisti delle professioni artigianali che gravitano nell'ambito dell'edilizia e del genio civile. Un Centro che definirei come un ulteriore "fiore all'occhiello" del panorama formativo ticinese; un Centro che accoglie anche giovani e operai provenienti dai Grigioni e italofoni residenti in altri cantoni.

Il convinto sostegno del Parlamento va interpretato come un esplicito e concreto riconoscimento dell'importanza di un Centro che ogni anno ospita circa 1'500 apprendisti ai quali si aggiungono altri 1'700 giovani e meno giovani iscritti ai corsi di formazione continua. Il sostegno del Parlamento. È anche espressione della volontà di continuare sulla strada della collaborazione fra l'ente pubblico e le organizzazioni del mondo del lavoro che condividono gli stessi spazi e che trovano - e troveranno sempre più - a Gordola un ambiente e le infrastrutture ideali per la formazione e il perfezionamento delle loro collaboratrici e dei loro collaboratori.
Non solo: il convinto sostegno del Parlamento va anche inteso come riconoscimento a chi ha diretto con passione e competenza il Centro. Al direttor Losa esprimo il mio sincero ringraziamento per tutto quanto ha fatto per la formazione, per averlo fatto con dedizione, con passione, per aver creduto sino in fondo a tutti i passi che il Centro ha compiuto per migliorare la formazione di migliaia di apprendisti; al contempo auguro soddisfazioni per il futuro al direttore entrante, Paolo Ortelli.

Una riflessione sul ruolo della SSIC nella formazione professionale
Nella formazione la SSIC svolge un ruolo di primo piano. Riconosco alla SSIC un tipo di approccio molto attento, sensibile e dinamico alla formazione professionale. È un'attenzione che si traduce in iniziative concrete come i corsi di qualifica e di riqualifica che offrono la possibilità a molte persone di acquisire e di perfezionare le loro competenze per svolgere nel migliore dei modi il loro lavoro nell’edilizia e nel genio civile e che consentono al contempo di valorizzare la dignità del singolo collaboratore, di soddisfare le ambizioni personali, di stimolare la curiosità e la voglia di imparare sempre qualcosa di nuovo, magari ottenendo una gratificazione sul piano morale (che è poi la valorizzazione del capitale umano) oppure materiale.

Non solo: so che la disponibilità delle imprese di costruzione a mettere a disposizione posti di tirocinio è generosa. In altre parole, nell'ambito del collocamento a tirocinio, l'offerta soddisfa la domanda. Tanto per dare un valore quantitativo del vostro impegno in materia di formazione professionale, nel Canton Ticino vi è più o meno lo stesso numero di apprendisti muratori che nel Canton Zurigo.

Mi sembra interessante sottolineare un dato: se nella seconda metà degli anni '90 i nuovi contratti di tirocinio stipulati erano circa 40 - 50 all'anno, a partire dal 2004 i nuovi contratti oscillano attorno alle 70 - 80 unità. Si tratta di un aumento significativo, di certo non casuale.

Probabilmente i fattori che hanno concorso ad aumentare il numero di posti disponibili sono molteplici: la congiuntura più favorevole come conseguenza della ripresa economica - il vostro presidente ha sottolineato come “stiamo attraversando un momento particolarmente felice per la [vostra] attività imprenditoriale” - ha senz'altro avuto un ruolo decisivo.
Credo che l'introduzione del criterio "formazione di apprendisti" nell'ambito dell’attribuzione delle commesse pubbliche abbia ulteriormente - diciamo - “stimolato” l'offerta di posti.
Forse potremmo anche aggiungere l’opera di sensibilizzazione sulle professioni tecniche e dell'edilizia e, in particolare, su una professione, quella di muratore, che presenta interessanti riscontri finanziari (già durante l’apprendistato gli standard retribuitivi sono senz’altro buoni) e altrettanto interessanti sbocchi professionali, di studio e possibilità di carriera. Sappiamo infatti che il nostro sistema formativo è sempre più flessibile, è sempre più in grado di rispondere alle esigenze e alle capacità del singolo. Ottenuto l'attestato federale di muratore è possibile frequentare una Scuola specializzata superiore, diventare capo muratore, impresario costruttore oppure, con la maturità professionale, iscriversi ad una Scuola universitaria professionale.

Anche i dati del collocamento a tirocinio per i muratori sono quest'anno confortanti: l'Ufficio dell'orientamento scolastico e professionale mi ha segnalato proprio ieri che i nuovi posti di tirocinio annunciati sono attualmente 74, di cui 60 sono ancora liberi, 8 in trattativa, 6 già occupati. Nelle prossime settimane confidiamo di poter aumentare l'offerta sino a 80-90 unità.

È anche vero che, a differenza di altri settori, come ad esempio quello commerciale o della vendita, il vostro settore corre il rischio di non trovare abbastanza apprendisti “indigeni”. L'offerta supera infatti la domanda. E per soddisfare la domanda circa 1/3 degli apprendisti muratori provengono dalle zone di confine, soprattutto dal Varesotto, senza dimenticare Como e Verbania-Cusio-Ossola.

L'interesse e l'importanza che la SSIC attribuisce alla formazione trova rispondenza anche attraverso azioni ben studiate come:
· il nuovo dossier illustrato sulla professione di muratore e di muratrice, allestito in collaborazione fra la SSIC e l’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale;
· il programma "il mio stage in impresa" che aiuta ad avvicinare i futuri apprendisti al mondo della costruzione e a capire se quest'ultimo risponde alle loro ambizioni e ai loro interessi, in altre parole se il "mestiere piace"; ma aiuta anche il datore di lavoro a pianificare in modo efficace e mirato lo stage.

Nei prossimi anni saremo tutti chiamati a compiere ancora nuovi sforzi per adeguare i percorsi formativi alle nuove esigenze del mondo del lavoro: l’intero settore della formazione professionale adotterà infatti le nuove ordinanze federali che sostituiranno progressivamente i precedenti regolamenti di tirocinio.

Due parole sui lavori pubblici
In questi mesi il Governo, attraverso i suoi servizi, sta allestendo il Piano finanziario per il quadriennio 2008-2011. Vi posso anticipare che, perlomeno al momento in cui vi parlo, si intende mantenere un alto volume complessivo degli investimenti, anche per avere risposte pronte nel caso in cui, dopo il picco di volumi di lavori nell’edilizia che si sta registrando, dovesse subentrare una fase di assestamento. Gli investimenti pubblici previsti dovrebbero contribuire ad assorbire una possibile ma evidentemente non augurabile né augurata stasi nell’edilizia privata, provocata dal rialzo degli interessi bancari che si sta lentamente delineando.

Nel complesso degli investimenti previsti dal Cantone nel quadriennio 2008-2011, un particolare spazio sarà dedicato al risanamento e alla conservazione del patrimonio immobiliare dello Stato, sulla scorta di un’analisi effettuata con un programma elaborato dalla Sezione della logistica in stretta collaborazione con la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana. Vedete come le strutture universitarie che sono state istituite in questi anni servono anche per muovere l’economia privata e in particolare l’edilizia.

D’altro canto, assieme agli investimenti pubblici promossi dal Cantone, vi sono pur sempre, nell’immediato e anche più lontano futuro, quelli dei grandi cantieri ferroviari, che hanno pur sempre un indotto anche per le imprese locali, perlomeno nei lavori di preparazione e nelle sistemazioni esterne.

Pertanto, pur con la necessaria prudenza, penso che possiate guardare al futuro, per quel che riguarda la parte pubblica, con un certo ottimismo.

Concludo con un accenno alle sfide per il futuro
Nel rendiconto 2006 il vostro direttore ha sottolineato il contributo dato dal vostro settore alla crescita economica, quindi al benessere, del Paese; ed ha anche sottolineato la necessità di affrontare problematiche ambientali, al punto tale che parecchie aziende sarebbero interessate ad “effettuare investimenti legati alla protezione della natura”.

È un tema, quello ambientale, attorno al quale ha riflettuto anche il Governo nella sua recente seduta al Monte Verità, cosciente che le grandi sfide del futuro si chiamano, ad esempio, energia, risorse, carichi ambientali e cosciente che gli effetti dei cambiamenti climatici sono ormai tangibili anche da noi. Pensiamo all’oro blu, all’acqua. La Svizzera è considerata il "tesoro idrico" dell'Europa e i momenti di siccità in estate non sono mai durati così a lungo da indebolire nelle persone la sensazione di vivere nell'abbondanza d'acqua. Ma c'è qualcosa oggi che fa traballare quell'idea di disporre di un bene essenziale considerato inesauribile.

Sono sfide che non conoscono confini e che chiederanno sempre più adattamenti nei nostri comportamenti individuali e collettivi, che chiederanno profonde riflessioni e forti investimenti; sono problemi globali che devono essere affrontati e risolti anche su un piano locale con un approccio di tipo interdisciplinare e senza tabù, un approccio che consideri il giusto equilibrio - sottolineo equilibrio - fra le esigenze dell’economia, della società e dell’ambiente.

È il principio dello sviluppo sostenibile che finalmente non viene più confuso – in modo superficiale e distorto – con la pura e semplice protezione della natura; che si è finalmente svincolato dall’etichetta di “freno allo sviluppo economico”; che sta pian piano diventando - e a giusta ragione - un metro di valutazione per tutte le politiche settoriali.

Sono sicuro che anche il mondo della costruzione, che vive e dialoga con il territorio, saprà affrontare queste nuove sfide con senso di responsabilità, con quello spirito aperto e innovativo necessario per poter cogliere le opportunità di crescita economica, sociale e culturale del Paese.

Vi ringrazio dell'attenzione.

07 maggio 2007

www.gendotti.ch

Buongiorno a tutti!

Rammento la disponibilità, in parallelo a questo mio blog, del mio sito web www.gendotti.ch, sempre di attualità e attualmente in fase di riorganizzazione e di aggiornamento, all'interno del quale trovare utili e interessanti informazioni politiche, ma non soltanto, e grazie al quale potermi facilmente contattare, per trasmettermi e comunicarmi idee, critiche, suggerimenti, osservazioni,... Sarò ben lieto di rispondere ad ogni vostra richiesta!
Cordialità,
Lele Gendotti

INPUT - INternational PUblic Television

(Intervento di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - di sabato 5 maggio 2007 a Lugano)


Gentili signore e signori,

porgo il saluto più cordiale, mio personale e del Consiglio di Stato, alle persone qui presenti, in particolare ai membri del Gruppo di progetto e del Comitato di pilotaggio e del Comitato editoriale, alle collaboratrici e ai collaboratori che operano nel campo dell’informazione audiovisiva.

In questo mese di maggio la Svizzera è al centro del mondo dell’audiovisivo. Anche il nostro Cantone, che ha una televisione tutta sua, dà così il suo apporto allo sforzo che in particolare il mezzo televisivo fa nel far conoscere il mondo, gli usi e i costumi delle varie popolazioni, i problemi che le politiche locali devono affrontare e risolvere perché ci sia un po’ più di giustizia e sopra tutto perché siano garantite le libertà fondamentali, tra le quali – per citarne due contenute nella direttiva “Televisione senza frontiere” – la libertà di ricezione dei programmi televisivi e la libera circolazione dei servizi televisivi.

Come direttore di un Dipartimento che si occupa della scuola e della cultura mi preme sottolineare l’importanza della televisione nella promozione della diversità culturale. E’ un aspetto dell’informazione che concerne da sempre il nostro Paese in cui le peculiarità delle regioni che lo compongono sono motivi di orgoglio - mi auguro non solo in occasione dei discorsi del primo di agosto. La libertà di ricezione dei programmi televisivi promuove la comprensione, la quale, a sua volta, passa attraverso la conoscenza delle lingue nazionali. Non è qui il momento di aprire un discorso che qualche dispiacere ce lo ha pur già dato.

A proposito di promozione di una televisione senza frontiere mi auguro che grazie alla tecnica – e sopra tutto alla politica – la TSI riconquisti presto quella parte di pubblico del Nord Italia che l’avvento del digitale terrestre ha letteralmente offuscato.

Parlando di scuola e dunque di giovani che crescono in una realtà non certo facile per loro, mi preme sottolineare l’importanza di compiere ogni sforzo per proteggerli non solo dai programmi diseducativi - a sfondo sessuale - e dei quali la televisione satellitare è riccamente dotata, 24 ore su 24, ma anche e soprattutto dai programmi di estrema violenza.

Lo so che le immagini di attualità che scorrono sul piccolo schermo sono ormai un evento di normale quotidianità - perché la violenza è purtroppo motivo ricorrente della cronaca di oggi, che sarebbe assurdo ignorare -. Meno giustificabile è invece la programmazione di programmi di cartoni animati per bambini e ragazzi in giovane età che inneggiano alla violenza, all’uccisione del così detto avversario, allo sterminio di chi non è della nostra idea. Ai giovani non possiamo somministrare giorno dopo giorno modelli negativi che costituiscono, i fatti lo dimostrano, potenziali di emulazione.

Diceva una voce fuori campo l’altra sera: “I nostri programmi si concludono con un film da non perdere”. Seguiva il titolo del film e l’orario: le 23.30. Dico, con un sorriso sulle labbra, che è anche bello vedere un film da non perdere in prima serata.

E’ solo una battuta, che mi permette però di augurare a voi tutti, con un sorriso di ottimismo, che questo incontro sia, come voi dite, “un’opportunità di sviluppo professionale”, ma anche un’occasione di riflessione sul ruolo della televisione nella realtà di oggi, una televisione sempre più presente nelle nostre case, una televisione che sempre più influisce sul nostro modo di comportarci, di vedere i problemi della vita, di presentarci agli altri.

E’ un mezzo di comunicazione potente e utile anche per le nostre scuole, a condizione che il prodotto televisivo sia accompagnato dalla capacità di giudizio del docente a scuola e dei genitori a casa. Vuol dire educare i giovani ad assumere un atteggiamento critico di fronte all’informazione.

Scrivete in un documento sui servizi audiovisivi e d’informazione: “La lotta contro la circolazione di contenuti dannosi per la dignità umana e la tutela dei minori è indispensabile per permettere lo sviluppo di nuovi servizi audiovisivi e d’informazione in un clima di fiducia.”

Allargando il campo dei servizi, si tratta della fiducia nel mezzo d’informazione che è l’autenticità dell’immagine che appare sullo schermo o delle parole di chi riferisce i fatti. E’ la verità dell’informazione, tema onnipresente, oggi come domani.

Il servizio pubblico e privato di informazione all'utente, che è anche cittadino, deve dunque passare attraverso l'autenticità dell'immagine e la ricerca della verità. È da qui che passa la credibilità dei servizi audiovisivi e di informazione.

Vi ringrazio dell’attenzione.

Maggio profumato

(Intervento di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - durante la conferenza stampa per la presentazione del "Maggio profumato", Campagna primaverile del DECS, di venerdì 27 aprile 2007 a Mezzana)


Gentile signora Bissegger,
Signore e signori della stampa,
Collega e colleghi dei servizi del DECS,
Caro direttore dell’Azienda agricola di Mezzana,

“E’ venuto il maggio con tutti i suoi bei fiori.” La maggiolata di Meret Bissegger suonerebbe forse così: “L’è vegnüd ul magg con tütt i so erbett, l’insalada növa e ‘l rusmarin, i verzitt, al basilic e i urtig”. Perché va bene i fiori che rallegrano la vista, ma anche lo stomaco vuole la sua parte!

Questo incontro ha un profumo tutto particolare: profumo di rosmarino, di origano, di basilico, di spezie che vengono da lontano; profumo dei prodotti dell’orto di casa e di piante selvatiche, di ortiche e di verzette, da sentirsi venir l’acquolina in bocca solo a pensare ai cibi conditi con queste erbette.

Diciamo che quanto ci propone Meret Bissegger è tutto il contrario di quello che ci è offerto dalle grandi, pur benemerite e ormai irrinunciabili catene di distribuzione, per le quali non ci sono piú i prodotti di stagione, perché la stagione dura dodici mesi come l’anno e i prodotti sono quelli conservati nelle celle frigorifere, con tanto di imballaggio munito della lista delle vitamine di cui gode indistintamente il forte e il fiacco mangiatore e del numero delle calorie, termometro regolatore moderno di chi teme di metter su pancia a dispetto di un fascino personale che sta svanendo.

Nell’era del fast food, sarà pur comodo e indispensabile per le massaie – compresi gli uomini – cucinare in fretta e poter consumare tutto l’anno mandarini, insalata fresca e minestroni preconfezionati in cellophane. Ma il food di Meret Bissegger è invece un altro: è quello della cucina naturale, quella che sfrutta quanto la terra ci dà nel corso delle stagioni, i prodotti di stagione.

Vive a Malvaglia. La sua casa è sempre aperta: in primavera per i prodotti integrali di casa nostra, in autunno per una “burbura” con le zucche maturate al sole dell’estate e cosí via. Direbbe al sciur maestru, l’Angiulin Frigeri, che ha lavorato anche qui in questa azienda: i è i dii da la tera. La vita e il cibo segnati dal ritmo delle stagioni. Ma il nostro non è piú tempo di rimpianti.

Il fil rouge che unisce la cucina di Meret Bissegger al DECS passa attraverso il suo Ufficio cantonale della refezione e dei trasporti scolastici che gestisce 9 ristoranti scolastici a conduzione statale e 14 ristoranti scolastici a gerenza privata. Il Servizio di consulenza alimentare ha sede nella Scuola superiore alberghiera e del turismo di Bellinzona. La preoccupazione comune è di promuovere la salute attraverso una sana alimentazione.

Occuparsi di scuole, oggi, è anche occuparsi di come le ragazze e i ragazzi vivono nei momenti in cui le lezioni sono sospese per la pausa del mezzogiorno. C’è una preoccupazione per così dire “sociale”, perché il DECS offre in primo luogo un aiuto a quelle famiglie in cui ambedue i genitori lavorano o sono assenti da casa o alle famiglie monoparentali, sempre più numerose ai nostri giorni.

Il bisogno è grande ed è confermato dalle numerose richieste di apertura di nuove mense anche a livello comunale. E’ un problema che coinvolge l’autorità cantonale con i suoi uffici dell’alimentazione e di sorveglianza, l’autorità comunale chiamata a programmare l’introduzione di nuovi servizi, le famiglie e naturalmente le ragazze e i ragazzi. E’ un problema di persone, ma che ha anche risvolti finanziari non insignificanti.

E c’è una preoccupazione che concerne la salute. Viviamo in un’epoca piuttosto disordinata per quanto concerne l’alimentazione, talvolta condizionata dalla fretta o dal bombardamento pubblicitario. I medici, i consulenti alimentari, gli psicologi, molti ci rendono attenti sulle conseguenze di una cattiva alimentazione, sul fisico, ma anche sul morale della persona.

Offrire nuovi servizi vuol dire condividere tutte quelle preoccupazioni e dunque assumere tutte le responsabilità legate alla nuova offerta. L’incontro di quest’oggi è un’occasione per ribadire i concetti fondamentali che informano la politica dello Stato in questo specifico settore, per riflettere su un aspetto della crescita e dello sviluppo della nostra gioventù e per coltivare rapporti tra Ufficio cantonale e persone che condividono le nostre preoccupazioni e dispongono della necessaria esperienza per arricchire le nostre conoscenze. Non soltanto offerta di pasti, dunque, ma anche controllo della qualità del servizio e di quanto vien servito a tavola.

Ecco il senso di questa iniziativa del DECS e di questo incontro con la stampa, che ringrazio del sostegno che ci dà nell’informare il grande pubblico, quello i cui figli varcano ogni giorno la soglia delle nostre scuole e l’altro pubblico, attento ai passi che il cantone compie per migliorare la qualità della vita.

Il filosofo Epicuro sosteneva che la vita è pratica della felicità e che tra i piaceri naturali e necessari, ai quali non si può rinunciare per ottenere la felicità, c’è anche il piacere del cibo. L’abbondanza invece è un piacere naturale, ma non del tutto necessario.

Per tornare alle nostre mense e a Meret Bissegger: non porzioni da abbuffata, ma alimentazione equilibrata e sopra tutto mangiare assieme perché, diceva il filosofo, “dilaniare carni senza la compagnia di un amico è vita da leone e da lupo.”

Grazie dell’attenzione.