09 luglio 2007


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della Giornata ufficiale della Festa federale del tiro della gioventù 2007 di domenica 8 luglio 2007 a Mendrisio)



Signor presidente del Comitato di organizzazione (Corrado Solcà)
Signor Carlo Croci, sindaco di Mendrisio,
Signora presidente della Federazione sportiva svizzera di tiro,
Signor Rappresentante del Consiglio federale,
Gentili signore e signori,
Care giovani e cari giovani che praticate lo sport del tiro,

alle parole di saluto e di compiacimento per i risultati ottenuti in questa Festa federale, che vi sono state rivolte da chi mi ha preceduto, aggiungo il mio saluto personale di direttore del dipartimento che si occupa di sport e il saluto cordiale del Consiglio di Stato.

E’ sempre con grande piacere che partecipo a una festa dello sport, che è anche festa dell’amicizia e occasione di incontri tra giovani di diversa lingua e origine. Il nostro Paese ha bisogno di sentirsi unito e manifestazioni come queste ci fanno sentire tutti uniti sotto la stessa bandiera.

Non a caso questa Cerimonia ufficiale si è aperta, dopo il passaggio sempre emozionante della pattuglia aerea acrobatica, con la marcia delle bandiere.

Ed è tanto più forte il senso di vivere sotto la stessa bandiera in quanto il tiro è una disciplina che ha origine proprio qui da noi in un tempo in cui storia e leggenda s’intrecciano e in una terra nella quale affondano le radici di una nazione.

Ma il piacere è ancora più grande quando lo sport viene praticato secondo regole chiare per le quali non è possibile barare. Mi auguro che la gioventù - ma non solo - continui a praticare uno sport pulito, senza sotterfugi; uno sport che onori i valori fondamentali di chi lo pratica: sano agonismo, rispetto dell’avversario, fair play, opportunità di conoscere i propri limiti e di misurarsi con se stesso.

Il motto del dipartimento che dirigo è "sport per tutti, a tutti i livelli e a tutte le età". Sport significa movimento e benessere; significa darsi obiettivi chiari e impegnarsi per raggiungerli con tenacia, costanza, impegno, passione; significa imparare a condividere momenti di esaltazione e di gioia; ma significa anche accettare una sconfitta, senza trascendere in manifestazioni di gratuita violenza o in tristi espressioni di intolleranza, che è uno dei peggiori mali della nostra società.

Il tiro poi è una disciplina sportiva che esige padronanza dei propri nervi, controllo delle proprie reazioni e assoluta concentrazione: sono qualità che valgono non solo in un poligono di tiro, ma anche fuori, cioè qualità che valorizzano la nostra vita.

Permettez-moi de saluer, à mon nom personnel et au nom du Conseil d’Etat tessinois, les jeunes tireurs, venus de Romandie. J’espère que cette Fête a été pour vous une occasion de montrer votre talent et la maîtrise de vos propres émotions quand il s’agit de faire mouche, mais aussi une occasion de faire de nouvelles connaissances et de se lier d’amitié avec des jeunes avec lesquels vous partagez la même passion pour ce sport. Merci d’être ici avec nous. Je vous salue avec tous mes vœux de prochains succès.

Ich begrüsse auch die Jugendlichen, die aus den Kantonen der Deutschschweiz zu uns gekommen sind. Ich hoffe, dieses Fest ist für alle Jugendlichen ein Erlebnis gewesen. Sie haben eure Begabung für einen Sport gezeigt, der von euch Beherrschung der Emotionen und höchste Konzentration verlangt. Ich hoffe auch, dieses Fest ist eine Gelegenheit gewesen, neue Freundschaften zu schliessen.
Für die Teilnahme hier im Tessin danke ich euch herzlich und wünsche euch weitere schöne Tage wie diese, die ihr in meinem Kanton verbracht habt.

Ringrazio il Comitato di organizzazione, la Federazione svizzera di tiro, le autorità e tutte le persone che hanno contribuito al successo di questa Festa e accomuno nel mio ringraziamento gli sponsor, il cui appoggio è essenziale per poter degnamente condecorare una festa come questa.

Chiudo rivolgendomi ai giovani tiratori ticinesi. Spero che queste giornate siano state un’occasione non solo per dimostrare il vostro talento e la vostra saldezza di nervi per centrare il bersaglio, ma anche un’occasione per stringere nuove amicizie.
Grazie di aver partecipato a questa festa federale e auguri di altri successi.

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05 luglio 2007

Cerimonia di consegna diplomi ASP 2007



(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi ASP 2007 del 2 luglio 2007 a Locarno)



Caro direttore,
Signore e signori docenti,
Care diplomate e cari diplomati,
Signore e signori,

poiché l’uomo (comprese le donne) è curioso per natura, magari qualcuno si attende che dica subito qualcosa su quanto riferisce la stampa scritta e parlata di questi tempi a proposto della nostra Alta scuola pedagogica. Sull’argomento del riconoscimento a livello federale del titolo ASP per i docenti di scuola media – perché di questo si tratta - riferirò più avanti anche perché la tematica in discussione non riguarda il riconoscimento dei diplomi delle diplomate e dei diplomati qui presenti tanto per quel che concerne l’abilitazione a insegnare nelle scuole dell’infanzia ed elementare, quanto per i diplomi che abilitano a insegnare nelle scuole medie del cantone Ticino.

Mi preme, prima di tutto, a nome mio personale e del Consiglio di Stato, felicitarmi con le diplomate e i diplomati qui presenti per il traguardo raggiunto e per il successo ottenuto negli studi.

Care diplomate e cari diplomati,

Avete scelto una professione ogni giorno più complessa e difficile. Complessa perché la scuola opera in una realtà in cui le certezze di un tempo sono cadute, le autorità di una volta non sono più riconosciute, la convivenza si fa ogni giorno più problematica. Senza dimenticare la velocità con la quale avvengono i mutamenti che toccano anche il nostro modo di interpretare e di vivere la quotidianità.

Una professione difficile perché siete chiamati a riflettere e a far riflettere su quanto si insegna e si impara – è uno dei compiti principali della scuola - e la riflessione esige un tempo lento che spesso si scontra con la mentalità di oggi che vuole tutto subito, senza particolare fatica e che genera superficialità e tante illusioni.

Ma difficile anche perché capiterà di ritrovarvi soli di fronte a situazioni delicate perché riguardano i giovani, cioè la persona umana, che ha un’anima, fatta di desideri, di sentimenti e di emozioni, difficili da racchiudere entro confini ben definiti o da descrivere secondo norme fisse o formule matematiche. La scuola è sempre piú sola e deve assumersi responsabilità che un tempo non ha avuto, perché assunte da altri, per esempio dalla famiglia.

Nemmeno quattro anni fa, si è voluto definire il ruolo del docente sulla base di tesi ben confezionate, secondo cui voi dovete: avere funzioni di gestione e di orientamento sociale, favorire l’integrazione sociale, essere persona esperta negli ambiti dell’apprendimento e dell’insegnamento e un formatore cosciente del proprio ruolo e dei propri limiti, essere esperto nell’affrontare i cambiamenti e nel confronto con l’eterogeneità; assumere il ruolo di docente con convinzione, sapersi muovere all’interno di un team di lavoro, essere coscienti di prestare un servizio pubblico; assolvere un lavoro di formazione sostenuto e riconosciuto pubblicamente. A tale proposito magari qualcuno ha motivo di lamentarsi perché non sempre la professione docente gode nell’opinione pubblica l’appoggio e il riconoscimento che si merita.

Voi siete tutto questo e in più ognuno porta nella classe la propria personalità, la propria voglia di insegnare - che vuol dire anche voler bene ai propri allievi - la voglia di suscitare in loro la curiosità di conoscere nuove cose. Perché, in fin dei conti, il segreto sta tutto qui (sottintesa la presenza della competenza professionale): nello svegliare e mantenere sveglia la curiosità di chi si presenta davanti a voi. E siete voi, dentro le quattro pareti di un’aula, i primi attori della qualità della scuola.

Certamente è imperativo oggi parlare di qualità della scuola e di garanzia della qualità della scuola. Vuol dire offrire a tutti gli allievi pari opportunità di imparare indipendentemente dalla sede scolastica frequentata; vuol dire valorizzare le risorse umane, in primo luogo dei docenti che grazie al loro spirito d’iniziativa stimolano la creatività propria e quella degli allievi, assicurano la varietà del loro lavoro; vuol dire anche preparare adeguatamente i giovani ad affrontare le difficoltà che incontreranno sulla strada che li porterà a essere adolescenti prima e aduli dopo.

Non si tratta solo di nozioni e di contenuti di un programma scolastico, ma anche di carattere: bisogna – i giovani prima di tutto - essere capaci di superare i momenti difficili, nella consapevolezza che quella strada presenta anche degli ostacoli che si superano con la fatica e la costanza e che è illusorio aggirarli affidandosi alle lusinghe di un paradiso artificiale che non porta da nessuna parte.

Molti casi, detti oggi difficili, derivano proprio da questo mondo di illusioni cui si affidano giovani senza guida o che rifiutano ogni genere di guida. Si sa che l’insuccesso nell’età giovanile, se porta all’abbandono prematuro degli studi o esclude vie alternative di formazione, porta all’esclusione sociale e a eventi di devianza e di violenza di cui, purtroppo, sono piene le cronache. Molto dipende dal grado di equità del sistema scolastico.

A tale proposito è a vostra disposizione la pubblicazione recente dell’Ufficio studi e ricerche dal titolo “Equi non per caso”. E’ un’ulteriore strategia per verificare la qualità di una scuola che passa anche attraverso l’offerta delle stesse possibilità di apprendimento, dunque nella scelta di un tipo di sistema scolastico in cui la scelta integrativa non conduce necessariamente – come qualcuno asserisce e sbaglia – a un livellamento verso il basso, ma a una strategia pedagogico-didattica che vuol limitare le disparità sociali di partenza. A proposito dell’indagine internazionale PISA abbiamo preso atto delle pecche registrate del nostro sistema scolastico, ma anche dei riconoscimenti per quel che di buono stiamo facendo. L’integrazione degli allievi è uno di quelli.

A proposito dei così definiti “casi ingestibili” – che sono da noi una sessantina rispetto agli oltre 50'000 allievi che frequentano le nostre scuole e a monte dei quali spesso manca la famiglia – sono stati recentemente oggetto di approfondimento e di decisioni importanti da parte del mio Dipartimento. Ma anche in questa sede mi preme precisare che è assolutamente fuori luogo parlare di bronx nelle nostre scuole come qualcuno sentenzia. La spettacolarizzazione degli avvenimenti non giova mai alla verità. Magari la vuole l’opinione pubblica, amante di sensazioni forti e di scandali più o meno autentici, ma a chi deve affrontare il problema – e la scuola lo deve affrontare con conoscenza di causa – non serve assolutamente.

L’anno scolastico appena concluso è stato anche l’anno dell’approvazione dell’Accordo intercantonale sull’armonizzazione della scuola dell’obbligo, chiamato HarmoS. La scuola elementare e la scuola media ticinese rimangono immutate nella loro durata. La scuola dell’infanzia diventa obbligatoria da 4 anni in sú. In sostanza si protrae la situazione attuale. Già oggi praticamente la totalità dei bambini di 4 e 5 anni frequenta la scuola dell’infanzia.

A livello svizzero, dunque, i nostri desideri sono stati ascoltati. Avremmo voluto mantenere il 31 dicembre come data di riferimento per l’entrata nella scuola. Volevano il 30 giugno. Siamo arrivati al compromesso 31 luglio. Peccato che qualche centinaio di bambini ticinesi dovrà attendere un ulteriore anno per iniziare la scuola che comunque inizierà obbligatoriamente a 4 anni, a prescindere dalle famiglie che già ora considerano prematuro mandare a scuola il bambino nato di novembre o di dicembre e che saranno contente della decisione.

Veniamo ora al mancato riconoscimento federale del diploma “secondario 1”, cioè scuola media, rilasciato all’ASP da parte della Conferenza svizzera dei direttori della pubblica educazione.

Il Dipartimento, visto il rapporto della Commissione federale di riconoscimento, ha chiesto di sospendere la procedura di riconoscimento a livello nazionale dei diplomi del secondario 1. La Commissione riconosce che questo ciclo di studio – cito il rapporto - è in costruzione e si sta sviluppando nella giusta direzione pur precisando piú oltre che – cito – l’ASP non dispone di un concetto strategico relativo alla ricerca.

Di conseguenza e per quel che concerne in particolare i diplomi distribuiti oggi:

1. Per chi è assunto nella scuola ticinese il mancato riconoscimento non ha conseguenze.
2. I singoli cantoni sono liberi di considerare o no i diplomi di un’altra scuola pedagogica che non ha ancora ottenuto il riconoscimento (A titolo esemplificativo potrebbe essere il caso dei Grigioni nelle classi di lingua italiana).

Quello che dev’essere sottolineata è la necessità che l’ASP compia definitivamente il salto al livello di scuola universitaria. Si legge nel rapporto della Commissione federale: si dovrebbe approfittare delle sinergie con le scuole di livello universitario vicine alludendo all’USI e alla SUPSI.

Fra i vari scenari di sviluppo e di consolidamento dell’ASP vi è anche quello che considera il suo avvicinamento o alla sua integrazione nella SUPSI. Ricordo che la SUPSI è la scuola universitaria che maggiormente si è distinta sul piano federale nell’ambito della ricerca.

A livello di Dipartimento le opinioni sono ancora contrastanti. E’ tuttavia indispensabile trovare una soluzione che sia accettata dalla Commissione federale e che tenga in considerazione le riserve e le raccomandazioni che questa Commissione ha espresso.
In particolare le riserve espresse, sicuramente condivisibili, vanno prese sul serio, specie quelle che riguardano la ricerca e il sistema di controllo della qualità

Concludo questo capitolo sottolineando tuttavia che la Commissione ha pur riconosciuti i miglioramenti che l’ASP ha fatto dopo il suo preavviso del 2006 e, tra i lati positivi, considera un punto di forza dell’ASP la relazione tra la teoria e la pratica. Cito: Tanto i contatti istituzionalizzati tra le diverse persone coinvolte nella formazione teorica e pratica quanto la tematizzazione delle esperienze della pratica in occasione di corsi possono essere qualificati come molto buoni.

Signore e signori,

si tratta ora di lavorare con la serietà che ha sempre contraddistinto il lavoro delle persone che operano nel settore della scuola e di giungere a soluzioni che facciano prima di tutto l’interesse di chi ha scelto di frequentare una scuola perché lo condurrà a un obiettivo ben preciso.

Alle diplomate e ai diplomati di oggi auguro successo e prima di tutto di trovare un posto di lavoro. So anche che diplomati dell’ASP proseguono gli studi per l’ottenimento di un master per esempio un master professionalizzante in gestione della formazione. Auguri anche a loro che hanno avuto la soddisfazione di vedersi riconoscere la formazione triennale dell’ASP, corrispondente a un bachelor, da parte dell’università.

Sono stato forse troppo lungo e le ragioni sono almeno due:

- la prima concerne la figura del docente che rimane la figura centrale di ogni cambiamento nel settore della scuola e attorno alla quale si muovono tutti i meccanismi – per esempio quello che assicura la qualità – che la vogliono migliorare;

- quest’anno sono successe molte cose che hanno toccato la vita del sistema scolastico e le trasformazioni in atto potranno avere successo solo se rimane ferma l’attenzione e sveglio l’entusiasmo di chi ha la responsabilità, assieme con tutte le persone che lavorano al fronte o negli uffici del Dipartimento, della scuola dal gradino più basso a quello più alto. Al docente si chiede di lavorare con competenza, passione e pari dignità, alla società si chiede di veder riconoscere il ruolo essenziale che la figura del maestro rappresenta per la sua crescita morale ed intellettuale.

Vi ringrazio dell’attenzione.

Milizia storica leontichese

(Saluto di Gabriele Gendotti, Consigliere di Stato e Direttore del DECS, alla milizia storia leontichese del 24 giugno 2007 a Leontica)


Caro presidente di questa milizia storica (Denys Gianora),
Signori membri della milizia storica leontichese,
Signor sindaco del giovane comune di Acquarossa (Ivo Gianora),
Signor Divisionario (Roberto Fisch),
Autorità civili, religiose e militari,
Signori Presidenti delle sezioni della Società ticinese degli ufficiali,
Rappresentanti dei comuni della valle, degli enti turistici e delle milizie di Aquila e Ponto Valentino,
Gentili signore e signori,
Care e cari leontichesi sempre uniti,

Mi rivolgo a voi con le parole stampate sul vostro stemma. L’unione – lo dice anche il proverbio – fa la forza. E’ sempre stato cosí. Lo è stato 195 anni fa, quando - tutti i leontichesi uniti in terra straniera - il bravo San Giovanni guardò giú tra i fiocchi di neve che cadevano sulla sterminata pianura russa e sui ghiacci della Beresina e ascoltò il loro voto. Una promessa mantenuta da coloro, i più fortunati, che tornarono sani e salvi, di condecorare le manifestazioni con soldati in uniforme militare.
Ecco perché,. quando mi hanno chiesto un aiuto finanziario per la dotazione di una nuova uniforme, ho detto subito di sì: perché noi vallerani le promesse le manteniamo.

Racconta Giulio Bedeschi – l’autore del libro Centomila gavette di ghiaccio in cui racconta la tragedia ripetuta della Beresina piú di un secolo dopo durante la seconda guerra mondiale - “come ciechi i marciatori continuarono affondando fino al ginocchio, piangendo, con estrema fatica avanzando di trecento metri in mezz’ora. Come ad ogni notte ciascuno credeva di morire di sfinimento sulla neve, qualcuno veramente s’abbatteva e veniva ingoiato dalla mostruosa nemica, ma la colonna proseguí nel nero cuore della notte.” Molto spesso la storia si ripete e, purtroppo, l’uomo non sempre trae dalle disgrazie di oggi un insegnamento per il domani. Non mancano gli esempi nell’epoca in cui viviamo.

Forse anche i leontichesi, pregando San Giovanni che li salvasse e facesse di tutto perché rientrassero in valle, intonarono il triste Canto della Beresina, quello che un tempo si imparava alle lezioni di canto nelle scuole e che comincia cosí:

La nostra vita somiglia al viaggio
Di un viandante nella notte…

Mi pare di vederlo il soldato delle nostre terre leggendo i racconti del conte de Rochechouart che aveva servito l’esercito russo quando descrive le sofferenze subite dai due eserciti durante la terribile ritirata:
“Dal primo di dicembre in poi, non si parlò più di battersi, ma di marciare il più rapidamente possibile verso Vilna. Dapprima, il 30 novembre, mi trovai sul posto dove l’esercito francese aveva effettuato il passaggio della Varesina. Nulla l mondo avrebbe potuto essere più triste e più straziante”

“Onore e fedeltà” era il motto dei soldati svizzeri che combatterono sotto bandiere diverse per difendere il sovrano che li aveva arruolati. “Onore e libertà” sono le parole simbolo che ci dettano il nostro comportamento quando, come oggi, salutiamo con fierezza la bandiera.

Napoleone ci fece liberi, ma quella libertà fu pagata con la vita di molti soldati che dovettero arruolarsi in una delle epoche piú burrascose della storia d’Europa che segnò la fine del Vecchio Regime e l’alba di nuove nazioni che conquistarono la libertà con il sangue. Anche il Ticino conquistò in quegli anni la libertà, l’indipendenza e la sovranità. E il prezzo fu alto: ticinesi arruolati negli eserciti stranieri e i passaggi devastanti delle armate attraverso le nostre valli. Ce lo ricorda Suvaroff, piú che la statua sul passo del San Gottardo il monumento del suo passaggio nella gola del Ponte del Diavolo.

Mi è parso giusto questo salto nel passato perché l’incontro di oggi - lo dice il vostro presidente della milizia - è d’importanza storica ed è una testimonianza dell’attaccamento della nostra gente alle tradizioni. E’ tanto piú importante oggi questo soffermarsi con fierezza – è ancora il vostro presidente che parla cosí – su quello che siamo stati una volta, proprio in un tempo come il nostro in cui sembra ormai valere solo quello che si ottiene subito e si consuma altrettanto velocemente.

Abbiamo perso molto del senso della profondità storica senza la quale le nostre radici s’indeboliscono e ci è difficile capire l’origine e il perché di certi eventi del presente.

Una festa come quella di oggi è un’occasione per rivisitare il passato, ma anche per rinvigorire quel sentimento di appartenenza a un mondo che è quello che viviamo oggi, ognuno dentro un paesaggio che gli è familiare, voi qui in Valle di Blenio, una valle verde che ha l’immensa fortuna di non essere attraversata né dall’autostrada, né da altre grandi vie di comunicazione.

Ma, come dite voi: “Per san Giovanni feste e nocino”. E’ un’altra tradizione radicata nei luoghi dove invecchia il noce davanti alla cascina. Mia nonna mi diceva: 9 noci per 1 litro di grappa, il massimo è di uva americana, l’Isabella per esempio, nome chiaro come il sole e che canta. Dicono che il nocino l’hanno inventato i frati. Sarà anche vero, ma noci e uva americana ce n’è talmente tanta che il nocino lo avranno inventato anche gli altri. Poi la vostra valle si chiama anche Valle del Sole per cui il nocino si sente proprio a casa propria.

Concludo con un ringraziamento per avere invitato me, che abito proprio qui dietro la Bassa del Nara, e ogni tanto a Leontica ci vengo anche a piedi, ed esprimo il compiacimento mio personale e del Consiglio di Stato per gli sforzi compiuti e l’impegno dimostrato nel confezionare e presentare la nuova uniforme della milizia.
Mio nonno mi ha insegnato di diffidare delle persone che ti fanno promesse senza chiedere nulla in cambio: i nostri e vostri antenati avevano fatto una promessa mettendo sull’altro piatto della bilancia il bene più prezioso che è la propria vita
Ringrazio tutte le persone e gli enti che hanno collaborato alla riuscita di questa festa.

Fa piacere per un politico vedere che i soldi attribuiti da enti statali sono stati spesi bene. Insomma, in un paese ipercritico come il nostro, non pare vero che tutto sia filato via liscio. Dunque bravi tutti quanti.

Grazie dell’attenzione.