31 agosto 2007

Inizio anno scolastico 2007/2008


(Lettera di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - inviata venerdì 31 agosto 2007 alle direzioni degli istituti scolastici cantonali, agli ispettorati scolastici e agli uffici del DECS, per l'inizio dell'anno scolastico 2007/2008)



Gentili signore e signori

come consuetudine trovo doveroso, all’inizio di un nuovo anno scolastico, rivolgermi a coloro che operano per la nostra scuola. Anche da noi non mancano le riflessioni su questo importante settore della società. Penso in particolare alle discussioni spesso contraddittorie sul mandato conferito alla scuola dalla politica, dalla famiglia, dalla società in generale oppure alle scelte di politica scolastica, alle strategie legate all’insegnamento e all’apprendimento, alle attese degli allievi e delle famiglie.

L’anno scolastico appena trascorso si è concluso con una nota di amarezza: il rinvio del riconoscimento intercantonale dei diplomi rilasciati dall’ASP per la scuola media. Questo fatto, che non ha influito sulle possibilità di assunzione dei docenti a livello cantonale, non ci esime dalla necessità di colmare le lacune evidenziate, lacune dovute principalmente all’insufficiente spazio dato alla ricerca in educazione e non alla struttura e ai contenuti dei curricoli di studio. Non c’è per il momento unanimità all’interno degli operatori scolastici sulla soluzione da adottare in futuro. Per quel che mi concerne ho già più volte espresso l’ opinione secondo cui è importante trovare modalità di collaborazione con le nostre scuole di livello universitario, che già godono di grande considerazione per delle attività di ricerca in stretto contatto con il territorio.

Non posso sottovalutare un certo disagio che affiora qua e là, soprattutto nella scuola media, scuola chiamata ad assumere la totalità degli allievi provenienti dalle elementari. Alle difficoltà provocate da un mandato di formazione delicato e complesso come quello che tocca i giovani da 11 a 15 anni, si aggiungono quelle che derivano dalla gestione dei casi definiti “difficili”, cioè con comportamenti che non solo disturbano lo svolgimento delle attività didattiche, ma che creano pure tensioni nell’animo di chi si dedica con impegno a “far lezione”. Il DECS ha elaborato nuove misure sulla gestione dei casi più problematici nell’intento di far fronte a questa situazione, che resta comunque contenuta, e per sostenere i docenti nel loro delicato compito.

Camminare e operare, con animo disponibile, all’interno di cambiamenti sempre più accelerati; favorire la riflessione e lo studio; orientare i giovani, in un momento in cui il disorientamento è grande, affinché possano trovare una strada per la vita e affermarsi come individui e cittadini: sono questi alcuni aspetti della professione docente che richiede impegno e che merita un adeguato riconoscimento della comunità.

Fa parte dei miei compiti di politico assumere le responsabilità e definire, insieme con i servizi del DECS, gli orientamenti della scuola e le condizioni quadro convenienti per il prossimo futuro e promuovere ogni iniziativa che possa favorire il riconoscimento, da parte della società, dell’impegno nei confronti di chi opera nella scuola.

Ringrazio tutte e tutti coloro che nelle forme più disparate contribuiscono ad adempiere quello che oggi è forse il compito pubblico prioritario dello Stato: quello di adeguatamente preparare, attraverso l’educazione e l’istruzione, i cittadini liberi ed indipendenti di domani.

Auguro a tutte e a tutti un buon anno scolastico.

24 agosto 2007

Inaugurazione della mostra “Mutamenti”


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - per l'Inaugurazione della mostra “Mutamenti” di venerdì 24 agosto 2007 a Bellinzona)


Gentili signore e signori,

ho accolto con molto piacere l’invito a partecipare a questa manifestazione conclusiva. Partecipo sempre volentieri a incontri il cui tema tocca aspetti della nostra comunità svizzera, perché sono convinto assertore dell’idea federalista che è alla base del nostro Stato, della sua storia, ma anche del suo futuro.

Interpreto così la vostra affermazione secondo cui “le trasversali alpine abbattono i tempi di percorrenza fra le regioni della Svizzera, toccando anche la vita degli abitanti.” Permettetemi dunque di non considerare i nuovi trafori attraverso le alpi solo come opere che riducono i minuti di treno che separano Lugano da Zurigo o solo dal punto di vista di chi si occupa di trasporti, ma anche come strumenti che – come dite - “toccano la vita degli abitanti”.

Insomma: potendo spostarsi più velocemente significa anche – è la mia speranza – che si intensificheranno di nuovo i rapporti tra gli svizzeri o tra le diverse svizzere. Perché l’auspicata mobilità promuove e rafforza l’affermazione dell’identità culturale intesa come qualcosa di dinamico. La propria identità si afferma nel confronto con altre identità. Il mondo globalizzato offre alla singola identità territoriale una platea più vasta, di quella che fu sinora, per potersi affermare e arricchirsi di nuovi contenuti. E’ una delle mille interpretazioni possibili della globalizzazione ed è quello che voi chiamate “dialogo tra le diverse culture e sensibilità che compongono la Svizzera”.

Allora “abbattere i tempi di percorrenza” significa per il Ticino avere maggiori occasioni di esprimere la propria identità e anche la propria forza che non è un fattore numerico, che dipende dal numero dei suoi abitanti, ma la convinzione nell’animo di chi abita questo cantone di rivestire un ruolo importante nel contesto svizzero, e di esprimerlo attraverso il proprio lavoro, le proprie capacità culturali e artistiche e la propria dedizione al bene della comunità, ciò che è compito fondamentale del politico.

Uno dei così definiti “mutamenti”, che offrono il titolo a questa iniziativa di Pro Helvetia, è certamente quello che concerne la struttura sociale della nostra comunità. In questi ultimi anni la nostra società è cambiata di molto. Viviamo l’incontro tra diverse etnie.

Il problema dell’integrazione di chi viene da noi con storie e filosofie di vita diverse è diventato uno dei più importanti già a livello di scuola dell’infanzia ed elementare. Anche le relazioni tra le persone hanno subíto una profonda trasformazione, non sempre né capíta né accettata, ciò che può essere all’origine di malintesi o scontri tra individui. E’ un mutamento importante che sta trasformando il nostro modo di pensare e di vivere, anche il nostro modo di organizzare la rete di relazioni tra gli individui.

Se considero però il campo della formazione – in cui opera il mio dipartimento - il mutamento più importante consiste nella definizione di una relazione equilibrata tra velocità dei cambiamenti e esigenza della scuola di soffermarsi su quello che si fa e di far riflettere. Se dunque da un lato la scuola vive, come altre istituzioni della democrazia, le contraddizioni del mondo moderno, la scomparsa di modelli validi fino a ieri, la mancanza di orientamenti sui quali progettare un futuro sicuro, dall’altro lato essa è obbligata a far l’elogio della lentezza senza la quale non c’è né approfondimento né costruzione di una coscienza individuale che vuol dire imparare a pensare e ad assumere uno spirito critico nei confronti di quello che si fa e di quello che fanno gli altri individui.

Apprezzo dunque il desiderio di Pro Helvetia di organizzare nel nostro cantone un evento significativo, aperto al grande pubblico, con l’obiettivo di rafforzare il legame tra la Svizzera italiana e il resto del Paese. Il veicolo che attraversa il tempo e unisce le varie epoche della storia dell’uomo è quello dell’espressione artistica nelle sue molteplici forme.

Questi luoghi, in cui si eterna l’arte della costruzione, accolgono le testimonianze del presente. E’ un genere di mobilità che attraversa i secoli – come l’idea dell’arte stessa – e l’espressione di una identità culturale che si trasforma e si rinnova con il trasformarsi della società stessa e il mutare delle abitudini di vita dell’individuo.

Rinnovo il mio plauso all’iniziativa di Pro Helvetia, mi congratulo, anche a nome del Consiglio di Stato, con gli organizzatori della manifestazione e esprimo agli autori delle opere artistiche il compiacimento mio e dell’autorità cantonale.

Grazie dell’attenzione.





Festeggiamenti per Hannes Flühler


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione dei festeggiamenti per Hannes Flühler, direttore uscente del Centro Stefano Franscini, di venerdì 24 agosto 2007 al Monte Verità di Ascona)


Gentili Signore e Signori,

nelle occasioni celebrative di un'attività che passa di mano, il piacere di portare il saluto ed il plauso al responsabile uscente è spesso un po' macchiato da qualche senso di nostalgia per un periodo che si chiude.
In questo caso, la coscienza della preziosissima attività del nostro Hannes offusca anche questi eventuali sentimenti negativi e si impone in tutta la sua freschezza e propositività.

Voglio quindi esprimere in questo momento di commiato e di celebrazione al professor Flühler un doppio ringraziamento: - in qualità di presidente del Consiglio di Fondazione del Monte Verità - in qualità di membro del governo ticinese e direttore del DECS.

Per il Ticino il Monte Verità è diventato un po’ il simbolo di una prima alleanza accademica di successo dopo lo smacco del progetto CUSI (Centro universitario della Svizzera italiana) che qualcuno ricorderà.
È il luogo in cui la collaborazione con l’ETHZ si è fatta concreta e in cui si è potuto valutare in prima istanza l’impegno della Confederazione, degli amici del politecnico di Zurigo e degli altri sostenitori di oltre Gottardo verso il Ticino

Come vi sarà probabilmente più volte oggi ripetuto, Hannes Flühler ha ripreso la direzione del Centro S. Franscini, dopo Konrad Osterwalder (primo direttore, che saluto pure cordialmente). Osterwalder aveva assunto la fase di pioniere, creando il Centro e contribuendo alla costituzione della Fondazione.

Hannes Flühler ne assunse invece la conduzione nell'ardua fase di consolidamento con una doppia preoccupazione di qualità: - garanzia di qualità scientifica dei seminari del Centro S.Franscini - garanzia di qualità dell’accoglienza

La costante cura della qualità scientifica dei seminari del Centro S. Franscini è stata al centro del costante e intelligente lavoro di Hannes Flühler (ci risulta che attualmente solo circa la metà delle richieste viene accettata).
La presenza di seminari di alto livello, con partecipanti delle migliori università e dei migliori centri di ricerca del mondo è stata e rimane un costante arricchimento della vita culturale del nostro cantone.

L’impegno di migliorare costantemente anche gli aspetti organizzativi ha pure certamente contribuito a creare buone premesse di successo. L’attenzione alla realtà culturali vicine e la collaborazione con il Cantone e con l’USI sono sempre state eccellenti.

Per gli aspetti quantitativi e qualitativi, ricordiamo che dall'inizio delle attività nel 1989 il Centro S. Franscini ha accolto circa 360 conferenze scientifiche con una frequenza di oltre 18'000 partecipanti di calibro internazionale.

Oltre alle conferenze scientifiche direttamente gestite dal Centro S. Franscini il Monte Verità ha ospitato, grazie anche all'iniziativa della direzione della fondazione (ne approfitto per salutare Claudio Rossetti), ateliers, conferenze ed eventi scientifici e culturali di grande rilievo ed organizzati da enti ed associazioni territoriali ed extra-territoriali.

Per quanto riguarda l'accoglienza, il Consiglio di Fondazione del Monte Verità ha intrapreso passi molto concreti per migliorare la struttura alberghiera e di ristorazione: per fortuna anche le disquisizioni non sempre elogiative sulla qualità della cucina appartengono decisamente al passato!
In questi ultimi anni, qualche volta anche un po’ turbolenti abbiamo saputo come Fondazione Monte Verità superare molte difficoltà, spesso anche di ordine finanziario: ma da un paio di anni riusciamo finalmente a chiudere i nostri conti con delle cifre nere.

E per di più altri importanti interventi sono pure all'orizzonte. Non da ultimo vorrei citare gli sforzi che l'ente pubblico (Cantone e comune di Ascona ) stanno dedicando al rilancio delle attività di grande spessore filosofico, scientifico e antropologico come quelle promosse dalla Fondazione Eranos, di cui il Monte Verità ha potuto ospitare già tre conferenze pubbliche in questi ultimi due anni.

Una delle visioni del Cantone é appunto quella di contribuire a creare in tempi brevi una sinergia triangolare fra le realtà di carattere seminariale: Monte Verità con tutte le sue molteplici attività seminariali e culturali, Eranos e Isole di Brissago, che si trovano raggruppate quasi per magia in questo angolo affascinante di paesaggio insubrico.

Questo connubio di lago, montagne ed eredità storico-culturale potrebbe diventare davvero un fiore all'occhiello dell'offerta di attività seminariale di qualità del Cantone Ticino.

Dopo queste brevi istantanee rivolte al futuro, vorrei decisamente ritornare al presente e concludere con due auguri:
Al prof Hannes Flühler affinché possa godere delle nuove opportunità che gli offre questa nuova fase di vita ; sappia che in Ticino ha amici sinceri e che le porte del Monte Verità gli saranno sempre aperte
Al prof Ermanni, nuovo direttore, perché trovi al Monte Verità stimoli per nuove iniziative e possa dare un ulteriore contributo al suo sviluppo.

Una lunga storia iniziata inconsapevolmente all’inizio del 1900 lascia evidentemente spazio per nuove e magari anche sorprendenti evoluzioni. Grazie prof. Flühler per tutto quello che ha fatto per il Monte. La posso rassicurare, caro professore, che ci impegneremo per continuare il suo lavoro e per dare ulteriore prestigio a questo luogo così pieno di storia e di fascino.

Riforma della scuola media


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS in occasione della giornata di studio "Riforma della scuola media: esperienze, riflessioni e prospettive" di venerdì 24 agosto 2007 a Bellinzona)



Gentili signore,
egregi signori,

ho il piacere di darvi il più cordiale benvenuto a questa giornata di studio dedicata al tema della Riforma 3 della scuola media.
In questi ultimi anni la scuola è al centro di ogni tipo di attenzione, ma soprattutto quello che colpisce sono le continue e molteplici aspettative che tutti mostrano nei confronti della scuola. Basta osservare il dibattito politico per accorgersi che quando qualcosa non va, quando c’è un problema, una difficoltà, allora viene chiamata in causa la scuola.
Nessuno vuole negare l’importanza della scuola e del sistema scolastico per assicurare lo sviluppo sociale, economico e culturale di una regione, anzi sono convinto che occorra fare tutto il possibile per avere una scuola sempre aggiornata e in grado di formare in modo intelligente i propri allievi. Bisogna però rendersi conto che la scuola non può assumersi tutti i compiti proprio perché istituzionalmente non dispone delle strutture, dei mezzi e delle risorse necessarie per rispondere a tutti i mandati che le si vorrebbero assegnare. Uno dei compiti che ci compete è proprio quello di riconoscere quali sono i compiti prioritari della scuola oggi in una società in piena evoluzione.
La Riforma 3 della scuola media rappresenta proprio un esercizio in questa direzione. Anzi direi che la scuola media, fin dalla sua creazione, si è posta il problema dello sviluppo e dell’aggiornamento. Già nei documenti fondatori si parlava di “riforma nella riforma”. Un principio che è stato pienamente rispettato nel senso che in 30 anni di esistenza la scuola media è evoluta sia sul piano delle strutture e dell’organizzazione, sia su quello dei contenuti e dei metodi d’insegnamento. Parecchi si sono addirittura lamentati che troppi sono i cambiamenti intervenuti, sottolineando come una scuola necessita anche di momenti di tranquillità per assestarsi e per consolidare le sue pratiche. Difficile, però, pensare ad una scuola diversa in un periodo confrontato con vere e proprie rivoluzioni sociali e culturali e dove la popolazione scolastica è mutata in modo considerevole.
La Riforma 3 rappresenta l’ultima fase di questo sviluppo istituzionale. Una riforma varata dopo numerosi anni di lavoro che hanno visti impegnati in particolare i docenti e i quadri scolastici di questo settore.
Definire ed attuare dei cambiamenti nella scuola non è sicuramente facile, come pure trovare un consenso e un’adesione convinta di tutte le componenti. La Riforma 3 della scuola media non è sfuggita a questa logica per cui, nonostante il paziente lavoro caratterizzato da dibattiti, consultazioni e verifiche, ha introdotto dei cambiamenti che non sempre hanno fatto l’unanimità. Pensiamo solo al discorso relativo all’apprendimento e all’insegnamento delle lingue. Se da una parte vi è stata una convergenza sulla necessità di rafforzare e potenziare il ruolo della lingua italiana, dall’altra vi sono state posizioni e approcci spesso divergenti in relazione alla posizione e al numero di lingue straniere da insegnare nella scuola dell’obbligo. Discussioni, questo è utile riconoscerlo, che ancora oggi proseguono in tutta la Confederazione e in numerosi altri Paesi. Il nostro Cantone ha proposto una soluzione che promuove e sostiene un approccio plurilingue, una sfida impegnativa per il mondo della scuola, che andrà sicuramente affinata e precisata nel corso dei prossimi anni. Ma la Riforma 3 ha contemplato numerosi altri cambiamenti sia sul piano strutturale, sia su quello pedagogico e didattico. Innanzitutto la scuola media si è dotata di un nuovo Piano di formazione, che ha preso il posto dei “vecchi programmi”. Il cambiamento non è solo legato al nome, ma contempla un vero e proprio riorientamento del progetto educativo della scuola media. Numerose sono poi le innovazioni di carattere strutturale: una nuova griglia oraria, l’introduzione di forme di insegnamento come i laboratori o i gruppi a effettivi ridotti, una nuova impostazione dei corsi opzionali, il ruolo assunto dagli istituti scolastici. Si potrebbe proseguire elencando tutti gli altri cambiamenti, ma si tratta di aspetti che conoscete molto bene in quanto attori primi di questo processo.
L’anno scolastico appena concluso ha rappresentato un momento significativo proprio perché l’intero progetto di riforma è stato generalizzato e ha coinvolto tutti gli allievi delle scuole medie.
Se da un profilo formale si può affermare che la fase di introduzione della Riforma è conclusa, tutti siamo pienamente coscienti che ora occorrerà fare in modo che i principi e i contenuti predisposti entrino effettivamente in tutte le aule, che i nuovi metodi d’insegnamento siano generalizzati. Gli specialisti dell’educazione ci avvertono, però, che questa è la fase più delicata e complessa dell’intero progetto. A questo riguardo, per evidenziare la dimensione del problema, mi piace ricordare una frase che un ricercatore ha ricordato in un suo intervento dedicato al tema dello sviluppo dell’innovazione della scuola : “ricordatevi - ammoniva in modo ironico il ricercatore - che la distanza più grande che esiste sulla nostra terra è quella che separa un programma scolastico dalla sua applicazione nelle classi”.
Questa affermazione ben evidenzia quali siano le difficoltà e i tempi necessari per assicurare la coerenza tra quanto viene sancito nei programmi e la realtà educativa delle singole classi. Occorre quindi fare tutto il possibile per evitare che i cambiamenti auspicati - per esempio nell’ambito di una riforma – non restino sulla carta ma si riscontrino nelle pratiche quotidiane in tutte le aule e in tutti gli istituti.
Sono convinto che giornate di incontro e di studio come quella odierna rappresentano dei momenti importantissimi per dare visibilità, per presentare e discutere i molteplici progetti sviluppati dai docenti e dagli istituti nell’ambito della riforma. Si tratta indubbiamente di un’occasione privilegiata per cercare di ridurre quella “famosa” distanza e soprattutto per diffondere e progressivamente generalizzare i progetti innovativi che contribuiscono a migliorare la nostra scuola, attualizzando i principi della Riforma 3.
Il fatto che a questo incontro siano presenti più di 200 persone attive nel settore medio non può lasciare indifferenti. Si tratta di un’ulteriore dimostrazione dell’impegno, della disponibilità e della volontà degli operatori scolastici di assicurare un personale e concreto contributo al miglioramento della scuola.
Anche per questo vi esprimo un sentito ringraziamento per aver saputo assumere in modo responsabile e competente questa nuova sfida.

14 agosto 2007

Ricevimento di Swisslos in occasione del Festival internazionale del film di Locarno




(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - per il Ricevimento di Swisslos del 8 agosto 2007, in occasione del Festival internazionale del film di Locarno)



Gentili signore e signori,

l’autorità cantonale ha il piacere, attraverso il suo Ufficio che amministra i fondi della lotteria intercantonale Swisslos, di assicurare il finanziamento di questo Festival del film con una partecipazione annua di 2,5 mio di franchi. Non è solo un piacere, è anche un onore poter contribuire a promuovere e a rafforzare sul territorio innumerevoli iniziative di carattere culturale, oltre alle altre attività e ai molti progetti di carattere sociale e sportivo.

Il contributo del cantone è un segno dell’importanza attribuita dall’autorità cantonale a questa manifestazione e un atto di fiducia nei confronti di chi la progetta, la dirige e la trasforma in incontri con personalità del mondo del cinema, attraverso i quali il nome di Locarno – e per riflesso il nome del Ticino – è conosciuto nel mondo.

All’interno del nostro Paese, il Festival è un occasione per rafforzare la posizione della cultura italiana come elemento essenziale della Confederazione attraverso eventi di carattere internazionale. Una cultura esprime la sua peculiarità e la sua forza non isolandosi dal mondo, ma nel confronto con altre culture. La cultura non è qualcosa di statico, ma di dinamico: accanto alla cura delle opere del passato, rafforza la sua posizione nel presente attraverso nuovi progetti, nuove idee, rinnovate iniziative di apertura al mondo come è il caso di questo Festival.

Dobbiamo tuttavia, noi ticinesi, renderci conto che il futuro del Festival dipende anche da decisioni che la regione dovrà saper prendere entro breve tempo. L’ho già detto in un’altra recente occasione: Non ha senso rinviare una decisione di anno in anno e non ha senso investire ogni anno soldi in infrastrutture provvisorie da ricostruire l’estate successiva. Ho parlato anche di nubi nere che si affacciano all’orizzonte. Sono i problemi irrisolti e sono anche, concretamente, le nubi nere che scaricano pioggia, la sera, su Piazza Grande e che ostacolano il normale svolgimento della manifestazione.

Concludo con una nota di ottimismo, come si addice a un politico che crede nel futuro del proprio Paese. Confido cioè nel senso di realismo e di lungimiranza di chi oggi ha la possibilità di decidere e dunque di assicurare lunga vita a un evento che ci fa conoscere nel mondo e ci mette a contatto con persone e avvenimenti con altre realtà sociali, altre filosofie di vita, per crescere assieme.

Grazie dell’attenzione.


Ricevimento in onore di Pascal Couchepin, ospite del Festival del film di Locarno


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - per il Ricevimento del 3 agoisto 2007 al Monte Verità di Ascona in onore di Pascal Couchepin - Consigliere federale - ospite del Festival internazionale del film di Locarno)

Saluto con particolare piacere
il Consigliere federale Pascal Couchepin,
i consiglieri nazionali e agli stati qui presenti,
i sindaci di Locarno Carla Speziali e di Ascona Aldo Ramazzi,
le autorità politiche operanti nel Cantone,
il presidente del Festival Marco Solari e il direttore artistico Frédéric Maire,

Gentili signore e signori,

Porgo a tutte le persone qui presenti il saluto cordiale mio personale e del Consiglio di Stato. In particolare dò il benvenuto al Consigliere federale Pascal Couchepin. E’ sempre un piacere e un onore accogliere nel Ticino un Consigliere federale.

Monsieur le Conseiller fédéral,
Soyez le bienvenu dans notre canton. Nous voilà encore tous réunis au Tessin, ce qui me réjouit énormément, d’autant plus que cette rencontre survient dans le cadre de la manifestation la plus prestigieuse que la Suisse puisse exhiber au niveau international. Le Festival du film fait partie du patrimoine culturel du Tessin, voire de Suisse. J’apprécie votre fidélité à cette manifestation, par laquelle vous manifestez la volonté de l’homme politique qui agit surtout au-delà de la chaîne des Alpes de considérer la culture italienne comme un des éléments essentiels de la Confédération.

Lo sforzo finanziario che il cantone fa per sostenere questa manifestazione e il ruolo assunto dalla Confederazione sono prove dell’importanza data a questa manifestazione. Grazie a un fondo alimentato in parti uguali dal Ticino e della Confederazione è stato inoltre possibile istituire, alcuni anni fa, il Fondo FilmPlus, il fondo regionale e di aiuto alla produzione cinematografica indipendente della Svizzera italiana con lo scopo di aiutare produttori e registi domiciliati nella Svizzera italiana. L’accordo verrà rinnovato proprio in questi giorni. Inoltre, le tre borse assegnate, grazie alla collaborazione tra cantone e RTSI, a sostegno di progetti cinematografici di qualità, sono un’ulteriore prova dell’attenzione che il cantone riserva a questo specifico ambito della produzione artistica.

Ma ci sono, purtroppo, ancora troppe nubi nere all’orizzonte, lungo la strada che segna il futuro del Festival. Per esempio e tanto per riallacciami alle speranze espresse l’anno scorso alla presenza dello stesso consigliere federale Pascal Couchepin, il “bambino continua ad aspettare il regalo sotto l’albero di Natale”, parole, l’anno scorso, del presidente Solari e del direttore artistico Frédéric Maire[1]. L’idea del “Palacinema” sembrava sul punto di trasformarsi in progetto, non necessariamente “Torre del cinema”, comunque progetto concreto in quanto a contenuti e collaborazione tra chi tiene in mano le redini dello sviluppo di questa regione.

L’abbraccio davanti alla telecamere della TSI provocò un sospiro di sollievo in chi continua a credere nel futuro della regione e del Festival. Oggi quel sospiro di sollevo si è spento di fronte ad avvenimenti che non toccano direttamente il Festival, ma incidono fortemente sull’ambiente in cui il Festival dovrebbe assestarsi in futuro, perché la concorrenza di altri festival è forte e l’offerta del territorio rispetto alla esigenze del Festival è invece piuttosto debole.

Che cosa, insomma, si deve fare affinché la speranza di chi vuol bene a Locarno e al suo Festival “ne dure que du matin jusques au soir!”[2] tanto per dirla nella lingua del nostro consigliere federale? Che cosa insomma si deve fare perché quel “O sole mio” – titolo del film del Festival proiettato il 23 agosto di 60 anni fa – diventi il sole che illuminerà i prossimi 60 anni di Festival a Locarno?[3] La parola ricorrente nella stampa di questi giorni è “disgelo”. Mi auguro che la stagione calda aiuti a sciogliere gli elementi glaciali del dibattito.

Come uomo venuto dalla montagna rimango, comunque, ottimista e con i piedi ben piantati per terra. Se è vero che la politica non è una scienza esatta, ma un’arte[4], ci deve pur essere una soluzione di compromesso che venga incontro alle esigenze degli uni e degli altri. Ma la premessa è comunque la volontà comune di dare al Festival una base solida che ne assicuri il futuro.

Perché ora. al di là delle parole dei discorsi ufficiali, ma alla fine anche in politica contano solo i fatti, questa volontà deve saper contagiare tutta la regione che ospita la manifestazione, coinvolgendo il cantone che raccoglie i frutti di una politica culturale aperta al mondo, dunque Festival libero, aperto e autonomo, e naturalmente anche la Confederazione. Non ha senso rinviare anno dopo anno la decisione che metta fine a discussioni ormai interminabili e alquanto ripetitive. E non ha senso investire ogni anno soldi in infrastrutture provvisorie, da ricostruire ogni anno, come se si trattasse di un grande gioco del Lego.

E non ha senso rinviare la soluzione a un futuro piú o meno lontano perché ogni anno che passa è un anno perso. Guardiamo avanti, tutti assieme con spirito costruttivo e lungimirante: concludo dunque il mio intervento con l’ottimismo di chi affronta i problemi per trovarne la soluzione, e dunque con l’augurio al sindaco di Locarno, Carla Speziali, che il sogno prenda finalmente forma e che si ripeta - almeno in senso metaforico - quell’abbraccio, che un anno fa fece tirare un sospiro di sollievo non solo ai locarnesi, ma a tutti i ticinesi.

Dice un nostro politico che stimo molto: “La politica è un gioco rischioso. Per quanto mi riguarda, non cerco di piacere, ma di convincere.”[5] Cari sindaci di Locarno e di Ascona: i limiti della politica li conosciamo tutti oramai. Continuate nella vostra azione politica, insieme con tute le persone coinvolte nella gestione del Festival, a convincere l’opinione pubblica che è importante che quel regalo finisca il piú presto possibile sotto l’albero di Natale.
A proposito: la frase citata non è mia, è di Pascal Couchepin.

Grazie dell’attenzione.

[1] Vedi discorso dell’anno scorso - Bismarck
[2] Ronsard, Mignonne, allons voir si la rose
[3] Sessant’anni di festival, Ticino Radio TV, 29.07 – 4.08.2007, pag. 6
[4] Vedi finale del discorso dell’anno scorso
[5] Pascal Couchepin, op. cit., pag. 23

Commemorazione del 150° della morte di Stefano Franscini


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della Commemorazione del 150° della morte di Stefano Franscini del 19 luglio 2007 a Bodio)

Signor Presidente del Consiglio di Stato del Canton Sciaffusa, Dr. Erhard Meister,
Signor Sindaco del Comune di Bodio, Prof. Marco Costi,
Signori Municipali e Consiglieri comunali,
Signore e Signori,

lasciatemi dapprima ringraziare il Comune di Bodio per l’invito che è stato rivolto all’autorità cantonale per partecipare attivamente a questa commemorazione.
E’ per me un onore poter esprimere il messaggio del Consiglio di Stato in occasione di questo significativo momento celebrativo, e - come leventinese e responsabile del Dipartimento dell’educazione -, non senza commozione..

Il 18 luglio 1857, Franscini scriveva da Berna all’editore Pasquale Veladini:
Pregiatissimo signore,
finalmente posso spedirvi un plico contenente 39 pagine della guida. Non mi è possibile per causa di malattia sopraggiuntami domenica passata (attacco di dolori reumatismali) di rispondere a certi punti importanti della vostra lettera, né di mandarvi gli articoli riguardanti l’esposizione.
Nella speranza di essere presto ristabilito e di potere riprendere i miei lavori, vi saluto.
Franscini sperava dunque di presto ristabilirsi, e com’era nel suo costume, di poter riprendere i suoi lavori (qui si riferiva alle pagine iniziali di un suo nuovo libro, una Guida del viaggiatore nella Svizzera Italiana). La morte invece lo colse, inaspettatamente, il giorno dopo, sessantunenne, Consigliere federale in carica, ma ormai disilluso e amareggiato, desideroso da tempo di lasciare il Governo e disposto di tornare in Ticino - dopo che gli era stata negata la possibilità di insegnare al Politecnico federale di Zurigo – e di accettare anche un oscuro posto di archivista e direttore degli stampati ufficiali, per poter almeno sostentare la sua numerosa figliolanza.

Oggi, si celebra dunque, nel suo paese natale, il 150° della sua scomparsa.
Dobbiamo però chiederci il perché di queste celebrazioni.
Soprattutto del perché ci ritroviamo con regolarità di fronte a questa cappella mortuaria a commemorare la nascita e la morte di Franscini.
Perché non ha mai cessato questo pellegrinaggio laico?
Perché Bodio e il Cantone si mobilitano con manifestazioni, mostre, convegni, pubblicazioni, per ricordare le date che scandirono l’esistenza di quest’uomo?
O detto altrimenti, perché non avviene per altri pur illustri personaggi della nostra storia cantonale? Per l’abate Vincenzo Dalberti, che pure fu il primo presidente del Governo di questo Cantone; per il landamano Gian Battista Quadri, che resse le sorti della nostra giovane Repubblica per un quindicennio; per Gian Battista Pioda, amico fraterno del Franscini, che gli succedette in Consiglio federale; la lista potrebbe essere ben più lunga.
Credo che si possa affermare che il nome di Franscini, a 150 anni dalla morte, sia riuscito a sfuggire a quell’oblìo che è toccato agli altri protagonisti della nostra storia, sfidando il tempo. Il suo nome ancora oggi ci parla, ci dice qualcosa.

Ma chi commemoriamo quando commemoriamo Franscini?
Il maestro, l’educatore, aperto anche alle più innovative esperienze pedagogiche?
L’autore di testi per le scuole, alcuni dei quali ebbero una buona fortuna editoriale?
L’autore di articoli di storia patria, di economia, di statistica?
La ficcante penna di libelli che fecero tremare il governo assolutista del Quadri?
L’autore di opere fondamentali di statistica, come La Statistica della Svizzera o il suo capolavoro, La Svizzera italiana, apprezzati anche fuori dai confini cantonali e nazionali?
Oppure l’uomo politico: il Segretario di Stato, il Consigliere di Stato, il Consigliere federale, cariche che costellarono la sua stagione politica, lunga quasi un trentennio?
Il deputato alla Dieta, chiamato a dirimere complessi problemi doganali, postali, commerciali?
Oppure il diplomatico, capace di affrontare delicate missioni nell’esacerbato Vallese del dopo Sonderbund o tra le truppe mercenarie svizzere al soldo del Re di Napoli, accusate di massacri nei confronti di rivoltosi durante dei moti popolari?
Sembra impossibile riassumere in poche parole l’attività di Franscini, tanto fu vasta, incessante e incisiva.

Per noi, per la nostra giovane repubblica, Franscini ha assunto soprattutto il ruolo di padre.
Franscini è stato additato come il padre del Politecnico federale di Zurigo.
E’ stato riconosciuto come il padre della statistica svizzera.
Per noi ticinesi, è soprattutto il padre della popolare educazione.
Franscini è stato anche il primo Consigliere federale ticinese ed è stato definito come il più grande uomo di Stato che il Ticino abbia avuto.
Tutto ciò, dovrebbe bastare.
E pure mi sembra di poter dire che c’è di più.
Ed è quanto enuncia una scritta che campeggia sulla lapide che sta alle nostre spalle:
“Nacque povero, visse povero, morì povero”, che riassume un tratto distintivo dell’esistenza del Franscini: le umili origini, malgrado le quali riuscì col suo ingegno e la sua tenacia a raggiungere le più alte cariche dello Stato, e soprattutto la povertà, che lo accompagnò anche quando era Consigliere federale, e che è rimasta impressa nelle coscienze di generazioni di Ticinesi, che quella dignitosa povertà hanno condiviso. Una povertà che rappresenta più che un destino, ma una scelta etica: la scelta di chi assume il compito, nei confronti dello Stato, di servirlo, anziché di servirsene.

Franscini, il nostro pater patriae, è per certi aspetti quanto di più antieroico possiamo attenderci. Al momento della Riforma costituzionale del 1830, a cui contribuì largamente con un magistrale opuscolo che fece letteralmente crollare il governo assolutista del landamano Quadri, Franscini – scrive lo storico Giuseppe Martinola – “per la verità si era mostrato alquanto sprovveduto e impacciato nelle qualità che occorrevano, o sembravano indispensabili a un politico; non aveva il dono della parola facile, rifuggiva dai fragori della tribuna, non era popolare e alieno fu sempre alle complicate manovre politiche”.
Ma quell’“invidiabile povertà immacolata” - come la definisce ancora il Martinola - che accompagnava “quell’uomo dal corpo fragile e minuto”, fu un’arma potente, che forse più di ogni altra sua virtù, gli permise di traghettarlo dalla storia al mito.

Franscini è il nostro eroe repubblicano, che a Francesco Cherubini confessa “A me non cospicuo di ricchezze, non atto agli intrighi, non ligio alle fazioni, sarebbe poco acconcio un posto nel nostro Consiglio composto di uomini pel massimo numero de’ quali son ragione di riso o almeno di indifferenza quelle cose che a me sono potentissimo motivo di riverenza e amore”.

Ma che cosa chiedeva agli uomini politici Franscini? Ce lo dice nel Saggio di cronaca ticinese del 1833: “ …ordine, applicazione, integrità. Quanto più risplenderà il Governo per tali virtù, tanto più appoggio troverà ne’ rappresentanti, tanto più rispetto negli amministrati.”

Integrità morale, spirito di abnegazione e di servizio, impegno per il bene comune, al di là dei vieti campanilismi e dalle faziosità politiche settarie; dopo la secolare inerzia della dominazione landfogtesca e i decenni dell’assolutismo dei landamani, la repubblica richiedeva una rigenerazione politica, che per essere tale doveva essere una rigenerazione della coscienza morale.

Franscini la incarnò, guidando il paese verso una difficile opera di modernizzazione, democratizzazione e liberalizzazione, durante una lunga e intensa carriera politica, che evidenzierà doti politiche e umane che gli permetteranno di essere eletto nel 1848 in Consiglio federale.

Il riconoscimento della probità, della tenacia e dell’ingegno del piccolo contadinello di Bodio, povero ma meritevole, e la ricompensa finale con l’elezione a Consigliere federale sarebbe in fondo stato il giusto happy end di una vicenda umana esemplare che non a caso figurerà in un celebre volume di Michele Lessona, intitolato Volere è potere, pubblicato a Firenze nel 1869, su modello dell’opera inglese di Samuel Smiles, Self-Help, tradotto nel 1865 in italiano con l’eloquente titolo Chi si aiuta Dio l’aiuta, ovvero Storia degli uomini che dal nulla seppero innalzarsi ai più alti gradi, in tutti i rami dell’umana attività.
Nel volume del Lessona, Franscini stava in buona compagnia con personaggi come Gioacchino Rossini, Giuseppe Verdi, Vincenzo Vela e tanti altri uomini di scienze, letterati, industriali.

Tuttavia la storia aveva previsto altro per il Franscini, per il quale nel 1854 scoccò l’ora di una clamorosa e umiliante sconfitta.
Erano infatti previste per quell’anno le votazioni per il rinnovo del Parlamento federale e la situazione politica in Ticino era assai tesa e confusa. Per contrastare la politica governativa che aveva portato fame, disoccupazione e disordini nel Paese, a causa dell’intransigente atteggiamento nei confronti dell’Austria e al conseguente blocco economico e all’espulsione di migliaia di Ticinesi dalla Lombardia, oppositori di destra e di sinistra, Conservatori e Democratici, si coalizzarono nel movimento fusionista che ottenne una clamorosa vittoria elettorale, sconfiggendo il Pioda, il Luvini e il Consigliere federale Franscini, che benché operasse a Berna, era considerato l’ispiratore di quella politica.
Ma al tossico calice servito al Franscini nel suo Ticino, si preparava intanto un inaspettato antidoto dall’altra parte della Confederazione, sulle rive del Reno. Nel canton Sciaffusa infatti, le elezioni al Nazionale non avevano dato nessun esito, complice anche la bassa partecipazione alle urne. Il Governo decise di multare chi non avesse votato al turno successivo: misura quanto mai convincente, se infatti la percentuale superò poi l’80%. Al secondo turno, solo il consigliere nazionale uscente Fueg risultò però eletto, ma assieme ai voti destinati ai candidati ufficiali vi fu una sorpresa: le urne contenevano anche tre schede col nome di Franscini. Chi vergò quel nome? Ticinesi che abitavano a Sciaffusa? Ammiratori del Consigliere Federale di Bodio? Non lo sappiamo. Di fatto furono la scintilla che innescò un’azione di sostegno del magistrato sconfessato nel suo stesso Cantone, supportata dal “Tagblatt”, che non esitò a scrivere “la nostra soluzione è Franscini”.
Al terzo turno ancora nessuno raggiunse la maggioranza richiesta, ma Franscini era già salito al quarto posto. La “Neue Zürcher Zeitung” commentava quel voto affermando: “ Ciò avvenne senza alcun accordo particolare negli ambienti politici, senza una pubblica proposta, bensì unicamente come conseguenza di un sentimento patriottico di singole persone desiderose di testimoniare la loro stima e attenzione a un uomo cui il suo cantone d’origine e la Confederazione devono molto, non ché di dimostrare ai loro miopi concittadini a sud delle Alpi che né la lingua né la confessione possono impedire di sostenere uomini meritevoli”.
Il 19 novembre 1854, al quarto turno avrebbero dovuto partecipare i primi tre candidati del turno precedente, ma per non escludere Franscini venne fatto ritirare, non senza aspre polemiche, lo sciaffusano Oschwalb. Franscini venne plebiscitato dagli elettori di Sciaffusa, staccando nettamente gli altri due candidati del cantone, divenendo così Consigliere Nazionale Sciaffusano.
La notizia giunse in Ticino dove l’indomani vennero fatte sparare 22 salve di cannone da Castelgrande.
Franscini, il 25 novembre, da Berna, scrisse di suo pugno al Governo di Sciaffusa una lettera in italiano, e - come ha notato Adriana Ramelli - senza una sola parola che potesse sminuire quel Ticino che l’aveva in qualche modo tradito, esprimeva la sua gratitudine al governo e al popolo di Sciaffusa “a testa alta, sereno, consapevole di quanto [avrebbe potuto] ancora dare al Paese”.
Il 6 dicembre infine, l’Assemblea federale rielesse Franscini in Consiglio federale e Sciaffusa poté così poi eleggere un proprio deputato.

In quei giorni Franscini probabilmente pensava a come esternare pubblicamente i suoi ringraziamenti ai suoi Sciaffusani e decise di farlo a modo suo, cioè nel modo di serio studioso qual era. Ce lo rivela una lapidaria nota in un angolo del primo foglio di abbozzi per una prefazione del volume storico a cui da tempo stava lavorando “Vite d’uomini illustri della Svizzera” che dice:“dicembre 1854. Risolto di dedicare quest’opera (se Domeneddio mi concede di finirla) al Popolo del Canton Sciaffusa”.

A 150 anni dalla morte di Franscini, il Governo del Canton Ticino, rinnova i suoi ringraziamenti al Cantone di Sciaffusa nella persona del presidente del suo Consiglio di Stato, per un gesto di cui rimane debitore e che è ben presto entrato a far parte degli annali della storia del nostro paese. Un gesto che non solo permise a Franscini di continuare a sedere in Consiglio federale e al Ticino di avere un suo rappresentante in Governo, ma che premiava soprattutto un uomo le cui capacità politiche e umane sembravano utili a tutto il paese, superando con lungimiranza steccati linguistici e confessionali.

Problemi nuovi e nuove scelte si impongono al mondo politico del XXI secolo rispetto a quelli che dovette affrontare Franscini. Egli fu e rimane figlio del suo tempo, che fu quello del liberalismo dell’Ottocento.
Il suo pensiero, le sue riflessioni, il suo metodo, i suoi scritti, la sua azione politica, la sua condotta umana continuano tuttavia ad essere fonte di ammaestramento.
Per questo, per quell’inestimabile apporto che diede al Paese, il Ticino ha il dovere di ricordarlo e di esprimergli coralmente la sua gratitudine.