21 giugno 2007

Consegna dei diplomi dell’Istituto universitario federale



(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della Consegna dei diplomi dell’Istituto universitario federale del 21 giugno 2007 ad Ascona)



Signora Direttrice dell’Istituto universitario federale per la formazione professionale,
Signor Direttore nazionale della formazione,
Signor Direttore regionale,
signore e signori docenti neodiplomati,
signore e signori ospiti,

fra qualche minuto potrete apprendere come liberarvi dallo stress. Lo stress è quasi diventato un nostro compagno di vita.
Penso che questa giornata sia, per voi neodiplomate e neodiplomati, liberatoria in tal senso anche senza particolari istruzioni. Infatti è la giornata che corona il vostro impegno nell’accompagnare, alla vostra preparazione disciplinare o professionale specifica, quella pedagogica che è indispensabile per poter entrare in aula.
Oggi è impensabile, salvo forse in pochi casi di doni di vita, che una persona si improvvisi docente sulla scorta della pura e semplice competenza in un ambito disciplinare o in un ambito lavorativo. Occorrono, per farlo, precisi strumenti d’ordine pedagogico e didattico, già per il fatto che oggi il docente, in classe, non si confronta solo con il compito dell’insegnamento, ma con tutta una serie di altri compiti che gli sono sempre più spesso delegati dalla famiglia, nella varie forme in cui oggi questa si coniuga, o dalla società
.
Penso di poter partecipare anch’io ai vostri sentimenti di sollievo per il traguardo raggiunto e, letteralmente, di alleggerimento dal peso di un impegno che è certamente notevole, sia pure con le facilitazioni del caso, perlomeno per chi segue il curricolo lungo di abilitazione, facilitazioni che è bene tener presente anche alla fine del percorso.
E’ l’impegno di chi deve conciliare la normale attività d’insegnamento, che è già parecchio onerosa nelle sue varie articolazioni – lezioni, preparazione, correzioni, amministrazione, partecipazione - con le lezioni all’Istituto e il lavoro e lo studio personali e infine ancora con la vita privata in tutti i suoi risvolti, sia “obbligatori” (penso a chi ha famiglia, figli) sia facoltativi (penso a momenti ricreativi che fanno pur parte ormai della normalità).

Tenuto conto dunque del cammino che avete percorso per giungere al traguardo – mi rivolgo qui ai neodiplomati – i miei complimenti sono doverosi, anche perché al vostro successo personale si accompagna quello istituzionale.
Infatti, con i vostri diplomi il sistema scolastico e formativo cantonale guadagna sicuramente in qualità e, soprattutto, ne traggono beneficio i giovani e adulti affidati alle vostre competenze.

In questa circostanza, di fronte a un pubblico così qualificato, sembra però opportuno accompagnare alle parole rituali di congratulazione qualche breve riflessione d’ordine generale proprio sul sistema formativo di cui andrete ora a incrementare la qualità.

La prima riflessione riguarda proprio l’Istituto, per sottolinearne la sua nuova esistenza.
E’ pur vero che una parte notevole dei diplomi oggi consegnati ha le radici ancora nel “vecchio” Istituto svizzero di pedagogia della formazione professionale.
Però da orami sei mesi ci troviamo interamente nel nuovo Istituto, nato dalla nuova Legge federale sulla formazione professionale e nato anche dagli sforzi dei parlamentari ticinesi di assicurarne prima di tutto l’esistenza, esistenza che ancora oggi, a Palazzo federale, è messa in discussione con vari pretesti, fra i quali non manca naturalmente – e in questo caso è un vero pretesto – l’aspetto finanziario, perché il nuovo Istituto universitario non costa più di prima. In secondo luogo, i parlamentari ticinesi si sono anche particolarmente battuti per assicurarne l’articolazione in tutte le regioni linguistiche del Paese, ed è sicuramente grazie al loro impegno se oggi, in questa significativa cornice del Monte Verità, in cui si riuniscono scienza e spiritualità, si possono consegnare i diplomi da parte di una delle sedi regionali.

La seconda riflessione riguarda il nuovo statuto dell’Istituto. Assumendo lo statuto universitario, così come lo prevede esplicitamente la nuova Legge federale, appare più che scontato che esso abbia assunto anche l’autonomia dall’amministrazione pubblica, che in tutto il mondo si riconosce alle istituzioni universitarie.

D’altra parte neppure il Ticino ha tentennato in quest’ambito, quando si è trattato di avviare le sue realtà universitarie, prima l’Università – l’USI - e poi la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana – la SUPSI. Istituzioni che sono legate allo Stato dalla loro connotazione di ente di diritto pubblico ma che poi funzionano con ampia autonomia dall’Amministrazione cantonale, regolata da un contratto di prestazione tra i rispettivi Consigli universitari e il Consiglio di Stato e analogo a quello in allestimento per l’Istituto universitario federale per la formazione professionale e che legherà quest’ultimo al Consiglio federale.

Proprio per completare questo quadro di autonomia, occorre ora, nel Cantone Ticino, fare un ulteriore passo nella costruzione di un sistema coerente degli istituti di rango universitario, assegnando a tutti loro lo stesso statuto. Il pensiero va naturalmente all’istituto parallelo per la formazione degli insegnanti nel Cantone Ticino, cioè all’Alta scuola pedagogica, per la quale appare legittimo avviare, perfezionare e concludere le riflessioni sulla sua collocazione istituzionale più coerente con quella degli altri curricoli universitari, anche alla luce delle suggestioni che vengono direttamente o indirettamente dagli organismi di accreditamento nazionali, quando essi si chinano a valutarne l’impianto, le prestazioni e le esigenze di sviluppo.
Collocazione che non dovrebbe peraltro complicare ulteriormente il quadro universitario del Cantone, fortemente caratterizzato da USI e SUPSI, a loro volta già parecchio unite da accordi di collaborazione e servizi comuni.

La terza e ultima breve riflessione parte proprio dalla constatazione della presenza di più istituzioni di grado universitario che si contendono il compito di formare i docenti delle scuole, ma non solo quelli. Infatti, insegnamento e formazione non sono certo più solo una prerogativa dell’aula scolastica, ma avvengono in contesti sempre più diversificati, si può dire in ogni contesto dell’attività umana. Sempre più nuove e diversificate sono pertanto le figure dei formatori e si capisce anche che vi sia anche una certa diversificazione nell’offerta di formazione per queste figure.
Offerta cui partecipa l’USI, nell’ambito della Facoltà di scienza della comunicazione, la SUPSI, con il suo Dipartimento di scienze aziendali e sociali, e, certamente, più naturalmente indirizzate a questo compito, l’Alta scuola pedagogica e l’Istituto universitario federale per la formazione professionale.

La presenza di tutti questi attori, esige, in un territorio in cui la potenziale utenza ha sicuramente limiti quantitativi, un forte impegno nel coordinamento, che può essere fatto in varie forme, per esempio logisticamente – e qui sto pensando al futuro campus universitario di Lugano e alla possibilità che vi si insedi anche l’Istituto universitario federale per la formazione professionale – oppure nella ripartizione dei compiti, per evitare doppioni asfittici, oppure ancora nella riunione delle risorse laddove soltanto la loro concentrazione – per esempio nel campo della ricerca – consente di raggiungere risultati sostenibili sul piano nazionale e, soprattutto, internazionale.
Poiché i parametri di giudizio sulla qualità delle istituzioni di formazione, della loro ricerca di base e della loro ricerca applicata non sono più locali, nemmeno nazionali, ma sono oramai internazionali.

Con questo monito e con queste prospettive, concludo il mio intervento.
Rinnovo i miei complimenti ai neodiplomati di ogni categoria che oggi terminano ufficialmente un curricolo formativo, compiacendomi per il contributo che certamente sapranno dare per lo sviluppo qualitativo dell’intero sistema formativo ticinese, sia esso a scuola sia esso nei laboratori, nelle officine e in ogni altro contesto. Ringrazio i collaboratori dell’istituto, dalla direttrice nazionale fino ai docenti e al personale amministrativo, per il contributo che hanno dato in tal senso.

Un particolare complimento va ai giovani apprendisti che hanno partecipato al concorso per il miglior lavoro conclusivo della loro formazione e naturalmente ai premiati e ai loro docenti.

A tutti auguro una pausa serena e rinnovatrice delle forze, per un rientro ad agosto con le migliori prospettive per il nuovo anno scolastico.


20 giugno 2007

Fine anno scolastico 2006/2007



(Lettera aperta di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - per la fine dell'anno scolastico 2006/2007)




Gentili signore e signori,

rinnovo anche quest’anno la consuetudine, doverosa ma gradita, di rivolgermi a tutte le persone che operano nel campo della formazione, sia negli uffici dipartimentali, sia nelle scuole, ed esprimo la mia gratitudine per l’impegno dimostrato nell’assolvimento di compiti sempre più complessi, perché sempre più complessa diventa la realtà in cui siamo chiamati a operare.

E’ doveroso in questa occasione ringraziare chi mette a disposizione le proprie competenze, il proprio lavoro e la propria intelligenza perché la nostra scuola rimanga un luogo in cui non solo si acquisisce nuovo sapere, ma si è anche consapevoli dell’importanza di imparare.

E’ una consuetudine gradita perché consente di prendere contatto diretto con chi condivide il piacere di costruire qualcosa per il Paese, ma anche le preoccupazioni che la società in cui viviamo fa nascere e coltiva dentro di sé per le trasformazioni in atto, la messa in discussione di valori considerati finora indiscutibili e la susseguente mancanza di orientamento.

Ci siamo parecchio occupati, quest’anno, delle proposte dell’accordo intercantonale HarmoS. Il Dipartimento ha condiviso le preoccupazioni provenienti da diverse cerchie della nostra scuola e si è impegnato per una riforma dell’ordinamento scolastico che non affossa quello che di positivo è già stato fatto e la cui bontà ci è riconosciuta anche fuori dei confini cantonali.

Ma la soluzione non sarà quella di estraniarci da quanto viene proposto – conseguenza, per esempio, della nuova realtà in movimento, delle migrazioni internazionali, della convivenza tra differenti provenienze culturali, della necessità di favorire la mobilità – ma di essere presenti e attivi con le nostre esigenze e la nostra esperienza laddove si fa necessaria un’armonizzazione, non un’uniformazione, di sistemi diversi.

E’ certo che fare dell’integrazione – interpretata come opportunità - uno degli obiettivi della politica scolastica vuol dire esserci incamminati su una strada non priva di difficoltà. Anche se l’integrazione non è solo della scuola, essendo altri attori sociali chiamati a dare il loro contributo e a sostenerci in questa azione, non vediamo come sia possibile fare un passo indietro, di fronte all’eterogeneità divenuta ormai elemento centrale della nostra società e dunque delle classi delle nostre scuole.

Preoccupano oggi gli atti di violenza entrata nelle nostre scuole, derivanti spesso da situazioni familiari difficili o compromesse, da vite vissute lontane dai nostri criteri di giudizio, da modelli di riferimento discutibili o persino sbagliati.

Il Dipartimento ha recentemente illustrato una nuova serie di misure per far fronte con successo, ma anche con ragionevolezza, a quella decina di casi definiti “ingestibili” che hanno turbato recentemente docenti, famiglie e giovani delle nostre scuole. Le misure previste vanno dalla diversificazione dell’insegnamento a progetti individualizzati all’interno della scuola. Non potrà ovviamente venir meno la collaborazione di enti e servizi esterni alla scuola. La situazione viene presa sul serio senza incorrere in interpretazioni strumentali o lasciarci trascinare da reazioni emotive.

Le vacanze che stanno per cominciare – lunghe o meno lunghe che siano - serviranno a recuperare le energie spese durante questi mesi in un lavoro spesso gratificante, ma talvolta anche fonte di qualche delusione. La pausa può servire anche a approfondire studi lasciati in sospeso, a leggere nuovi libri, ad acquisire nuove conoscenze ed esperienze.

Buona estate a tutte e a tutti.

Inaugurazione dell’Istituto comunale di Preonzo

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione dell'inaugurazione dell’Istituto comunale di Preonzo del 16 giugno 2007)

Caro sindaco (Fabio Pasinetti),
autorità civili e religiose,
caro direttore del centro scolastico (Michele Bedolla),
gentili signore e signori docenti,
care ragazze e ragazzi che frequentate questa scuola,
signore e signori,

questa è una festa. Una bella festa che più bella non si può. Perché inaugurare una scuola o una scuola rimessa a nuovo e ampliata come questa è qualcosa che riempie tutti di soddisfazione e di orgoglio: le autorità, la popolazione e voi, ragazze e ragazzi, che ogni giorno passate per quella porta. E’ anche il segno di una politica lungimirante che sa che le cittadine e i cittadini di domani si formano sui banchi di scuola e che l’esercizio della democrazia e della libertà passa attraverso la formazione di persone consapevoli dei propri diritti, ma anche dei propri doveri.

E’ una bella festa anche per un Consigliere di Stato che si occupa di scuola e che ha la possibilità di abbandonare il suo ufficio per immergersi in una delle tante realtà che sono le sedi scolastiche del cantone. Abbiamo belle scuole: belle perché sono accoglienti, perché convenientemente arredate, perché vi lavorano docenti preparati e sensibili alle necessità dei giovani. Allora dico che siamo fortunati perché fortunato è quel paese che costruisce scuole.

Ci riempiono di gioia le immagini che ogni tanto ci vengono dalla televisione e che mostrano i volti sorridenti di ragazze e ragazzi che possono finalmente andare a scuola in una parte del mondo in cui fino a quel momento non c’è stata una scuola, perché ci sono stati disordini che hanno turbato il normale vivere della gente. Molte nostre organizzazioni umanitarie che vanno in paesi lontani costruiscono dapprima la scuola. Imparare a leggere, a scrivere e a far di conto – come si diceva ai tempi di Stefano Franscini, ricordato proprio in queste settimane – ma anche imparare a capire la realtà e a rendersi conto di quello che possiamo fare o che dobbiamo fare, vuol dire diventare e essere uomini liberi. La libertà è il dono più grande che ci sia.
E noi siamo fortunati, perché possiamo dire con una certa fierezza, parafrasando Benjamin Franklin, che “dove c’è la libertà, quello è il mio paese”.

Certo il mondo oggi è diventato più difficile di un tempo: più difficile per chi in un comune è investito della gestione della cosa pubblica perché le esigenze della gente sono aumentate ed è difficile accontentare tutti; più difficile per i genitori che non sono più in grado di rispondere a tutte le domande, che figlie e figli pongono, e che sono suggerite da una realtà che le immagini della televisione fanno ogni giorno più vasta e complicata; più difficile per le docenti e i docenti che si trovano a lavorare davanti a classi che sono, ognuna, una piccola comunità di ragazze e ragazzi con dietro di sé esperienze di vita diverse, mentalità diverse e anche lingue diverse.

Si dice anche che il paesaggio ha un’anima che è la nostra, nati e cresciuti qui. Non possiamo però dimenticare che il paesaggio che ci circonda – questa aspra valle Riviera, che nasconde in alto angoli di silenzio a ridosso delle cime – racconta a chi vive qui storie ormai diverse: a chi è cresciuto qui con la propria famiglia; a chi ci è arrivato da poco perché il destino – si dice così – ha voluto che fuggisse dal paese dov’è nato e arrivasse qui da noi.

Anche qui ormai, la realtà di una classe non è più quella che abbiamo vissuto noi, genitori o nonni. Ma se da un lato si chiede alle docenti e ai docenti di assumere una parte attiva nel nuovo contesto sociale perché la strada che abbiamo scelto è quella dell’integrazione, con tutti i problemi che tale scelta comporta, dall’altro abbiamo bisogno anche della collaborazione della famiglia perché insegnare ai giovani a vivere gli uni vicino agli altri, a rispettare le idee dell’altro, a condividere le difficoltà del vivere quotidiano - anche nell’ambito della scuola - è compito che non si esaurisce nel minuto in cui suona il campanello di fine lezione (se ne avete uno). E fa piacere vedere bambine e bambine che giocano e imparano assieme nonostante le tante diversità. Sono d’esempio per noi grandi. La tolleranza, ma anche l’attitudine alla convivenza civile, la si impara da piccoli.
La scuola è terreno fertile per queste lezioni di vita.

Purtroppo non sempre basta la buona volontà e il mondo di oggi – anche il nostro piccolo mondo ticinese – è scosso da avvenimenti particolarmente gravi di intolleranza e di violenza. Il dipartimento sta mettendo in atto nuove misure per far fronte a situazioni ritenute insostenibili all’interno di un istituto scolastico e la messa a disposizione dei mezzi finanziari necessari.

Ma voglio dire anche un’altra cosa: Non siamo il bronx: i casi di comportamenti veramente ingestibili o difficili sono una decina su 50'000 allieve e allievi che frequentano le nostre scuole. Chiudo questa parentesi doverosa perché mi piace agire con realismo, lontano da qualsiasi sensazionalismo anche se capisco che certi fatti turbano più noi di altre persone che vivono in realtà ben più tormentate.

Il sasso che frantuma il vetro della finestra di una scuola è più di uno stupido atto di vandalismo. E’ qualcosa di riprovevole ma anche fonte di tristezza, perché è un tentativo di spegnere la voce di chi insegna, a chi è al primo traguardo sul cammino della vita, è il tentativo di colpire un’istituzione pubblica che si prefigge di insegnare ai giovani a pensare, a far uso della ragione critica, che costituisce la premessa per diventare donne e uomini indipendenti e liberi.

Gentili signore e signori,

Torno volentieri ai sentimenti di soddisfazione e di gioia che una festa come questa suscita nel nostro animo.

Esprimo la gratitudine dello Stato alle autorità politiche di questo paese: hanno capito l’importanza della funzione di una scuola il cui compito educativo è fondamentale per il futuro del cantone, delle sue cittadine e dei suoi cittadini che sono le ragazze e i ragazzi di oggi. Le ringrazio anche di questo sguardo in avanti che concretamente si esprime attraverso progetti di possibile ampliamento futuro del rinnovato centro scolastico.

Ringrazio gli architetti Canonica e Rosselli, le ditte e gli artigiani che hanno trasformato idee e progetti in qualcosa di concreto che è lo stabile che ci sta qui davanti.

Esprimo la gratitudine dello Stato anche alle famiglie della simpatia e dell’attenzione con cui seguono il diventar grandi delle loro figlie e dei loro figli e seguono il lavoro delle docenti e dei docenti nella consapevolezza che la famiglia non può abdicare al suo ruolo di educatrice accanto alla scuola.

Concludo rivolgendomi alle ragazze e ai ragazzi, perché la festa è prima di tutto la loro.

Care ragazze e cari ragazzi,

Voi passate quella porta ogni mattina per andare a scuola. Penso che nella vostra cartella non ci siano solo libri e quaderni, ma anche tanta curiosità di imparare. Perché il segreto sta proprio qui: nell’essere curiosi, curiosi di sapere perché una cosa è fatta così e non cosà, curiosi di imparare cose nuove e di scoprire altri mondi.

Io mi auguro che la sera, quando uscite dalla stessa porta per tornare a casa, abbiate lo stesso sorriso della mattina, la stessa voglia di continuare a imparare cose nuove.

Se è cosí vuol dire che avete brave maestre e bravi maestri. Esprimo dunque anche a loro la gratitudine dello Stato per ciò che fanno che è qualcosa di prezioso e di indispensabile per il futuro della nostra gente e per la loro felicità.

Grazie dell’attenzione.


13 giugno 2007

Gestione dei casi problematici nella scuola


(Intervento di Gabriele Gendotti, Consigliere di Stato e Direttore del DECS, in occasione della Conferenza stampa del 13 giugno 2007 "Misure aggiuntive per la gestione dei casi problematici nella scuola")



[fa stato il testo parlato]

Signore e signori,

vi saluto cordialmente alla conferenza stampa durante la quale vi presenteremo alcune nuove misure specifiche per far fronte a situazioni gravemente problematiche o "ingestibili" nella scuola. Le misure saranno introdotte a titolo sperimentale in alcune sedi già a partire dal prossimo anno scolastico.

Parliamo dunque di quelle situazioni difficili che sono fonte di preoccupazione e di disagio per tutte le componenti della scuola: genitori, allievi e docenti.

Dapprima una doverosa premessa
Ciò che succede nelle aule non è nient’altro che lo specchio della società. Va anche ricordato che gli allievi che frequentano le scuole ticinesi sono più di 50'000 e che i casi veramente difficili o "ingestibili" - cioè i casi che presentano derive comportamentali particolarmente gravi che si possono tradurre in espressioni di violenza o di inaccettabile indisciplina e quindi inficiare la vita di una classe o, addirittura, di un intero istituto scolastico - questi casi difficili o "ingestibili" si riducono a qualche decina.

Si tratta dunque di un fenomeno che non ha assunto una valenza di portata generale. È dunque fuori luogo parlare di Bronx nelle nostre scuole, così come è fuori luogo un'eccessiva drammatizzazione di un fenomeno di società come già sentenziato da qualcuno.

La stragrande maggioranza dei nostri allievi si comporta in modo educato e si impegna con successo negli studi.

I casi ingestibili esistono e vanno affrontati
Vi sono però casi particolarmente gravi che non vanno né banalizzati né sottaciuti. Per questi casi dobbiamo adottare tutte le misure che consentono:
· da un lato, di seguire tutti gli allievi nella loro crescita; allievi inseriti nel modello scolastico integrativo, caratteristico della scuola pubblica ticinese;
· dall'altro lato dobbiamo intervenire con convinzione e con il necessario rigore affinché tutti rispettino alcune regole di comportamento.

Casi ingestibili: una novità?
I casi difficili sono sempre esistiti. Probabilmente nel corso degli ultimi anni il fenomeno è diventato più “visibile” e oggetto di una particolare attenzione dei media; le sensibilità sono aumentate, così come è aumentata la gravità di talune derive.

Alcuni anni or sono – siamo nel 2001 - avevo ventilato la realizzazione di strutture con scolarizzazione interna nelle quali far confluire i casi particolarmente gravi, senza ottenere però un grande riscontro. I tempi non erano per così dire ancora maturi.

Un approccio pragmatico
Contemporaneamente il DECS dava allora avvio ad alcune riflessioni su come gestire allievi difficili proponendo alcune iniziative per contenere i fenomeni di violenza. A fianco delle riflessioni fatte in vari istituti scolastici come pure a livello di Divisione della scuola e di Divisione della formazione professionale (quest'ultima ha ad esempio elaborato un sorta di vademecum destinato ai suoi dirigenti scolastici), nel 2002 è stato costituito il Gruppo di coordinamento interdipartimentale "allievi problematici" DECS, DSS, DI.

Il DECS ha dunque voluto riflettere a fondo e:
· descrivere il quadro della situazione in relazione alle tipologie di disadattamento, l’assenteismo, i disturbi gravi di comportamento e le varie possibilità di modelli scolastici, dal modello segregativo alla sospensione a tempo indeterminato, dalla formazione di classi speciali a classi atelier in preparazione dell’insegnamento professionale;
· studiare misure specifiche – anche innovative - con lo scopo di monitorare in permanenza le forme di disagio, di rendere più stabili le misure sui così detti “casi difficili” e, come nuove misure, di formare personale specializzato che sappia gestire anche un distacco dall’attività scolastica.

Il DECS continua a puntare su una politica di integrazione che si fonda sul principio di non escludere nessuno a causa di una sua diversità. Di fronte alla crescente brutalità degli atti di violenza si vede però costretto, da un lato, a ricercare soluzioni alle situazioni di disagio che si manifestano a scuola, d’altro lato, a proteggere chi segue regolarmente il suo percorso formativo.

Le misure fatte proprie dal Consiglio di Stato nella seduta del 12 giugno 2007
Esaminato l'esito delle misure sinora adottate, sulla scorta delle esperienze maturate nel corso degli ultimi anni e considerate le esigenze manifestate da tutte le componenti della scuola, la Divisione della scuola ha elaborato una serie di nuove misure specifiche e complementari in merito alle situazioni gravemente problematiche o ingestibili.

Sono studi che hanno evidenziato le necessità di affinare e, nel limite del possibile, di distinguere le modalità di intervento e le risorse a disposizione degli istituti. Si va da forme di diversificazione dell’insegnamento a proposte di riforma dei Servizi di sostegno sino alla creazione di "zone cuscinetto" temporanee all’interno degli istituti gestite da personale appositamente formato o alla creazione di reti di collaborazione con istanze esterne, pubbliche e private, disposte ad accogliere per un lasso di tempo gli allievi che svolgono un’esperienza diversa da quella scolastica.


Il Consiglio di Stato ha deciso di liberare le necessarie risorse umane e finanziarie per poter avviare alcune sperimentazioni già a partire dal prossimo anno scolastico: sono previste l'assunzione di personale supplementare (indicativamente 3 persone a tempo pieno) con uno statuto di educatore o affine e l'attribuzione di un credito supplementare di circa 300'000 franchi.

Riassumo e concludo
Siamo coscienti che il problema dei casi "ingestibili" esiste e va affrontato. Non siamo però nel Bronx.

Le componenti della scuola – genitori, allievi, docenti – chiedono di elaborare regole chiare e condivise la cui violazione sia seguita da sanzioni adeguate e certe. Stiamo attentamente valutando affinamenti dei regolamenti e la messa a disposizione delle scuole di indicazioni sulle modalità di intervento.

Abbiamo riflettuto a fondo su come affrontare e risolvere situazioni particolarmente gravi -a monte delle quali spesso manca la famiglia – proponendo soluzioni che si ispirino nel limite del possibile e del ragionevole al concetto di scuola integrativa sempre partendo da un’ottica educativa.

Il Consiglio di Stato ha deciso di adottare, in via sperimentale e già a partire dal prossimo mese di settembre, misure per affrontare le situazioni più gravi e ha liberato risorse umane e finanziarie supplementari, attualmente valutate in 300'000 franchi, ma che potrebbero raggiungere, in caso di generalizzazione delle misure sull'intero territorio, un importo attorno a ca. 3 mio di franchi all'anno.

Per il momento - e in attesa dell'esito della sperimentazione - rimane dunque in sospeso la misura che considera il possibile collocamento dei casi particolarmente difficili in istituti con scolarizzazione interna. Anche su questo punto stiamo riflettendo e verificheremo, sulla scorta delle sperimentazioni del prossimo anno scolastico, la necessità di creare Istituti con scolarizzazione interna a partire dai prossimi anni scolastici.

11 giugno 2007

I 20 anni del Museo cantonale d'arte di Lugano

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione dell'inaugurazione della mostra “affinità e complementi" per i 20 anni del Museo cantonale d'arte di Lugano di mercoledì 6 giugno 2007)



Autorità cantonali e comunali,
Gentili direttrice e direttore,[1]
Signori membri del comitato scientifico,
Gentili signore e signori,

esprimo dapprima, a nome mio personale come direttore del dipartimento a cui è affidata la gestione della politica culturale, e a nome delle colleghe e dei colleghi del Consiglio di Stato, le più vive felicitazioni per il traguardo dei vent’anni di attività di questo Museo cantonale d’arte. Alle persone che durante questo ventennio hanno lavorato per affermare la presenza del Museo nel panorama culturale, non solo ticinese, esprimo la gratitudine e la riconoscenza dello Stato.

Il Museo cantonale d’arte è, per dirla alla Baudelaire[2], “un phare allumé sur mille cittadelles” che sono tutti quei luoghi disseminati nel cantone, in cui si lavora nella consapevolezza che esiste un legame indissolubile tra conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e progresso della società civile, e nei quali si esprime in varie forme l’identità culturale, non certo elemento racchiuso in immagini e realtà immutabili, ma - mi piace citare ancora il poeta della bellezza classica eterna e muta – patrimonio dinamico che “roule d’âge en âge”.

Cultura dunque intesa come “campo dinamico in continua trasformazione”, – come afferma un assessore alla cultura della vicina Italia – che guarda al futuro “rielaborando continuamente le esperienze del passato, ripercorrendo criticamente quella complessa e dinamica “archeologia” di saperi e conoscenze.”[3] L’arte e la produzione artistica contribuiscono a dare il senso di quella trasformazione. E’ il mutare eterno della percezione della realtà attraverso l’arte.

A tener viva la luce del faro che illumina le mille cittadelle della cultura dovrà contribuire il progettato Osservatorio delle politiche culturali che si occuperà di coordinare le varie iniziative del pubblico e del privato, troppo spesso dipendenti da un eccessivo dipartimentalismo che anche nell’ambito culturale ha sempre impedito di fare un discorso coerente. Dovrà anche interrogarsi su temi fondamentali come quello della definizione e della proprietà del patrimonio culturale, dei suoi costi e della sua redditività.

La nostra è epoca di monitoraggi. E’ tempo e luogo di svolgere monitoraggi puntuali sulle attività dei musei, delle biblioteche e degli archivi che diano dati concreti su cui definire forme di cooperazione, disegnare curricoli di formazione per gli addetti al settore e, come obiettivo fondamentale, raggiungere un equilibrio ottimale tra conservazione e fruizione del nostro patrimonio culturale.[4]

A tale proposito – e così mi esprimo anche nel mio contributo per il catalogo della Mostra – mi piace sottolineare i rapporti con altri attori della politica culturale attivi nel nostro cantone, in primo luogo con la città di Lugano. Le edificazioni in corso nella città e le prospettive future sui contenuti che saranno accolti nei nuovi spazi lasciano prevedere collaborazioni costruttive in ambiti culturali specifici tra Stato, comuni, istituti e associazioni culturali. Si sa che la cultura “in rete” promuove l’esercizio del diritto al pubblico accesso dei centri della cultura, come un museo, una biblioteca o un archivio, ciò che risponde a un principio democratico che non può essere eluso.

La mostra che si inaugura oggi ha altri pregi, oltre a quello di offrire al pubblico la visione di opere d’arte significative provenienti da importanti collezioni pubbliche. Essa è un’occasione per dar risalto alla rete di relazioni che questo Museo ha intessuto con altri centri e enti culturali e al prestigio di cui oggi esso gode sia a livello nazionale sia a livello internazionale. Che questa Mostra sia stata allestita sotto l’Alto Patronato della presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey è un segno di quel prestigio.

Per riprendere la citazione di prima, questo Museo è un “campo dinamico in continua trasformazione”, cioè che opera nel presente con uno sguardo al futuro definendone i possibili sviluppi futuri.[5]

E’ evidente che qualsiasi progetto ha a che fare con problemi di ordine finanziario. Se da un lato viene affermata la volontà di mettere a disposizione i mezzi finanziari perché un progetto si realizzi, d’altro lato si sa che le risorse finanziarie non sono illimitate, specie di questi tempi in cui l’intervento dello Stato è invocato da più parti.

Musei, biblioteche e istituti culturali vanno infatti oggi gestiti con criteri rigorosi di efficienza e di efficacia, nel pieno rispetto della loro missione, il cui esercizio è posto sotto l’alta sorveglianza e la vigile attenzione dello Stato.

Restano certo le priorità nei campi della formazione, della sanità, della socialità e della sicurezza, preoccupazione sempre piú sentita dalla popolazione. Ma se siamo dell’avviso che la crescita civile di uno Stato dipende anche dalla valorizzazione del suo patrimonio culturale, dobbiamo pure essere consapevoli del fatto che lo Stato, cioè la collettività, deve assumerne i costi necessari attraverso una politica intelligente e cooperativa con tutti quegli enti e associazioni, pronti a assicurare la loro collaborazione, in armonia con lo spirito che discende dal titolo di questa mostra: Affinità e complementi.

L’augurio che faccio al Museo è che possa proseguire con successo sulle strade sinora imboccate: quella della conservazione, lo studio e l’incremento del patrimonio di proprietà cantone; quella della presentazione e dell’arricchimento della sua collezione permanente e la strada dell’animazione attraverso eventi come quello che inauguriamo oggi.[6] L’appoggio dello Stato discende dal suo dovere di preservare, valorizzare e gestire la propria memoria. Il Museo cantonale d’arte, Signore e Signori, è diventato un tassello insostituibile della memoria artistica del paese, ma me ne rendo conto, se la sua missione è chiara a tutti, occorre però che lo Stato faccia uno sforzo ulteriore per dare al Museo gli strumenti per svolgerla al meglio: occorre qualche intervento sul contenitore e occorre adeguare gli spazi alle esigenze e agli standard di un museo moderno. Le difficoltà non mancano ma sapremo trovare a breve le soluzioni auspicate.

Consentitemi, prima di concludere, di gettare uno sguardo, proprio da questo faro, sulle altre mille cittadelle, fari di questo Ticino che negli ultimi anni ha compiuto grandi passi nei campi della conoscenza, della comunicazione, della formazione, delle relazioni e delle collaborazioni con altre cittadelle irradianti cultura e scienza, prima di tutto nella vicina Lombardia, ma anche in tanti paesi di qua e di là dalle Alpi e dagli oceani.

E’ un Ticino vivace, nei cui centri di studio, di ricerca e di cura del proprio patrimonio culturale si ottengono risultati riconosciuti a livello mondiale. E’ appena capitato di nuovo la settimana scorsa.[7] Purtroppo, l’immagine di un cantone volto al futuro, che lavora con costanza e progettualità per una formazione moderna e dinamica della sua gioventú o che coltiva, con iniziative come questa del Museo cantonale d’arte, la memoria del proprio passato, è talvolta offuscata dalla nostra propensione ad assumere atteggiamenti di reticenza o di critica negativa persino di fronte a realizzazioni che in altre parti sono considerate un modello da seguire.

C’è dunque ancora molta strada da fare perché il Paese si renda pienamente conto delle proprie potenzialità e perché sia vivo in tutti quel senso di identificazione che ci fa capire il vero significato di eventi come quello che stiamo inaugurando: quello di appartenenza a un Paese che ha dietro di sé un passato, la cui memoria è degna di essere coltivata, e un futuro ricco di attese.

Rinnovo i ringraziamenti
- alla direttrice Manuela Rossi-Kahn
- al direttore in carica Marco Franciolli
- ai membri del comitato scientifico
- agli amici del Museo
- alla città di Lugano
- agli sponsor privati
- alla presidente della Confederazione per il patrocinio accordato all’evento
- a tutte quelle persone che in modo o nell’altro hanno contribuito a dare prestigio e autorevolezza al Museo cantonale d’arte.

Grazie inoltre a tutte le persone intervenute a questa cerimonia d’inaugurazione.


[1] Rossi-Kahn? Franciolli? Tutt’e due?
[2] Baudelaire, Les fleurs du mal, Les Phares
[3] Mariella Zoppi in Culturae, www.cultura.toscana.it
[4] Da: Andrea Ghiringhelli, appunti sui beni culturali (anche paragrafo precedente)
[5] www.exibart.com/profilo/eventi - comunicato stampa del MCA
[6] www.lugano-tourism.ch
[7] Istituto di ricerche in biomedicina di Bellinzona

06 giugno 2007

Inaugurazione del Museo del manifesto ticinese

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - del 25 maggio 2007 a Morcote, in occasione dell'inaugurazione del Museo del manifesto ticinese)

Caro dottor Cavalli,
Gentili signore e signori,

Una poesia dei miei tempi di scuola comincia cosí: C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico. Mi è venuta in mente osservando questi manifesti d’altri tempi: c’è il sole che rallegra le immagini. E c’è l’antico, un mondo ormai scomparso o che rimane nella mente di chi è già in avanti negli anni.

Nel cielo dei manifesti del Ticino, gli aquiloni di Giovanni Pascoli sono sostituiti dalle rondini che roteano intorno al campanile di Tesserete sullo sfondo dei Denti della Vecchia con il “Denciòn”, oggi palestra di arrampicata degli “scoiattoli”. Per un uomo della montagna come me, un angolo di silenzio tra alberi e pareti di roccia. Ce ne sono ancora nella nostra bella “terra di libertà e di avventura”, come diceva uno che veniva da fuori e che amava molto le nostre terre.

Titolo del manifesto con le rondini “Ferrovia elettrica Lugano-Tesserete, anno 1924". Sono appena stato al Museo di Cevio per una mostra che ricorda un’altra ferrovia elettrica: la Valmaggina. I vecchi manifesti delle due ferrovie, alle quali si aggiunge la Biasca-Acquarossa, mi ricordano i sogni di qualche bambino in cui ci sono ancora trenini variopinti che collegano la città alla valle.

E magari è anche il sogno di qualche adulto, davanti al paesaggio di oggi, che non si ritrova nei manifesti di questa mostra. A poco a poco cresce, per fortuna, nella coscienza della gente il senso del rispetto del verde e dell’aria pulita: è l’aria che si respira sul ponte in legno di Lucerna e sulle rive dei laghi di Lugano, del Lago Maggiore e del lago di Como, nel manifesto della Gotthard-Bahn. E proprio qui a Morcote se ne sa qualcosa. Non consola nessuno – l’hanno detto i morcotesi stessi in tv la settimana scorsa - l’introduzione della zona 30.

Augusto Giacometti dipinse nel 1930 un manifesto dal titolo “La bella Svizzera”. Rappresenta una farfalla dalle tinte forti su un cielo azzurro chiazzato di bianco. Forse la Svizzera è ancora bella, ma il cielo di questi manifesti non lo ritrovi più nemmeno guardando giù il lago dal Monte Generoso o dal Monte San Giorgio. Il fumo che la vaporiera dei manifesti sputava dal fumaiolo prendeva nell’aria forme diverse a coronare il manifesto. Lo sostituisce oggi la striscia dell’aereo che ci passa sopra la testa a 10 mila metri di altitudine e si dissolve nel cielo.

E intanto sogniamo l’Alptransit. Mi sono chiesto come saranno i manifesti che prenderanno il posto di questi della Gotthard-Bahn o della Gotthardlinie im elektrischen Betrieb, autore Daniele Buzzi. Appariranno forse manifesti colorati di nero: sono i muri delle gallerie. Mi viene in mente un’altra lettura di scuola: Dante che esce dall’inferno, “per un pertugio tondo; e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Speriamo, di giorno, di uscire dal “pertugio tondo” che è la galleria a rivedere le farfalle di Giacometti a volare nel verde, sfidano le nuvole di CO2.

Caro dottore,
Gentili signore e signori,

Magari avrei dovuto tenere un discorso veramente ufficiale, dire che questi manifesti sono la testimonianza dell’epoca dei viaggi, sono le armi del turismo di un tempo e, per quelli moderni, le armi del turismo di oggi; aggiungere che il manifesto è l’immagine della grafica moderna e del suo sviluppo attraverso gli anni; parlare dell’importanza del turismo per il Ticino e del manifesto come strumento per presentare il nostro paese fuori dei nostri confini.

Dire che un manifesto affisso alla parete del nostro appartamento è magari l’espressione di una grande nostalgia per un momento della nostra vita che è passato, o essere semplicemente un “souvenir” come la cartolina o l’uccello in vetro di Murano.

Avrei potuto parlarvi della politica culturale di casa nostra; dell’importanza dei tanti musei che conservano la memoria del paese. Mi sono invece lasciato trascinare dalle emozioni e dai ricordi che queste immagini suscitano nell’animo di chi è sensibile ai cambiamenti del mondo che sono anche i cambiamenti del nostro modo di vita e di interpretare la vita; dunque nell’animo di voi che siete accorsi a questa inaugurazione.

Esprimo dunque il mio personale piacere, come ticinese e come consigliere di Stato, per essere stato invitato a questa mostra ed esprimo la gratitudine dello Stato per ogni iniziativa, frutto dell’amore per il Paese, che arricchisce il patrimonio culturale del Ticino, ne conserva la memoria, affinché non venga mai meno la consapevolezza di quello che è stato prima di noi, senza la quale è difficile capire il presente.

Vi ringrazio dell’attenzione.