29 settembre 2006

La gestione delle politiche culturali nel Canton Ticino

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - al Convegno "Le proposte culturali del Cantone Ticino", organizzato dalla Comunità di lavoro Regio Insubrica lunedì 25 settembre 2006 a Locarno)

[fa stato il testo parlato]

Gentile Signore,
Egregi Signori,

io credo, anzi sono fermamente convinto, che oggi più che mai una riflessione attenta da parte di coloro che hanno la responsabilità diretta della politiche pubbliche sul ruolo e sulla funzione della cultura e in particolare sui problemi di gestione, tutela, conservazione, promozione e valorizzazione del patrimonio culturale – e quindi sul ruolo di istituti come musei, archivi, biblioteche ecc. – sia quanto mai necessario e indispensabile. Perché c’è indubbiamente un legame diretto fra patrimonio culturale e società civile. Diceva uno studioso che il grado di civiltà di paese si valuta anche dal numero delle biblioteche. Noi diciamo che il patrimonio culturale è una risorsa che un paese civile non può in alcun modo dimenticare.

La politica di contenimento delle spese dello Stato tocca oggi tutti i settori dell’amministrazione e anche il settore culturale fa la sua parte con tagli qualche volta pesanti e ripetuti. Constato, per esempio, che negli ultimi anni le risorse finanziarie a disposizione delle biblioteche cantonali sono diminuite del 30% e pure il personale ha dovuto subire le misure di riduzione applicate a tutta l’amministrazione.

E anche gli altri istituti culturali, in primis i musei, fanno i conti con sempre minori risorse da investire nella ricerca scientifica e nelle esposizioni. Visto il trend negativo, il problema che mi pongo è quello d’un canto di ridurre al minimo i disagi generati dai tagli finanziari grazie al reperimento di forme di finanziamento indiretto, e dall’altro di sollecitare gli istituti culturali ad ottimizzare le risorse attraverso la massima razionalizzazione possibile delle attività, nuove forme di collaborazione fra gli istituti, l’adozione dei mandati di prestazione ecc.: e a tale proposito voglio ricordare che proprio pochi giorni fa il Parlamento ticinese ha dato via libera al progetto pilota che fa di due istituti culturali come l’Archivio di Stato e la Biblioteca cantonale di Bellinzona due unità amministrative autonome con l’intento di dare a questi due istituti una flessibilità di manovra tale da consentire loro di utilizzare al meglio le risorse disponibili.

A livello politico, il maggior pericolo che scorgo – e non lo nascondo - è rappresentato da tutte quelle forze influenti che ritengono la cultura un bene voluttuario, un surplus, un lusso, un bene superfluo di cui si può fare a meno, e che sostengono che la privatizzazione, l’appalto a privati e addirittura le vendita di musei e istituti culturali vari possa essere una buona soluzione per scaricare lo Stato degli oneri che il settore comporta.

C’è insomma chi ritiene che, siccome i musei dello Stato non coprono che minimamente i costi, sia opportuno affidarne la gestione ad esterni remunerati in funzione dei risultati.
Alla base di questa proposta vi è evidentemente una visione aziendalista che considera il bene culturale un fattore di produzione che deve dare reddito. E’ il tema dibattuto un po’ ovunque del rapporto fra eventi culturali e merchandising. In Italia è soprattutto la virulenta polemica di chi si scaglia contro il dilagante “beneculturalismo”, ossia la propensione, mentre il patrimonio culturale langue e boccheggia, a privilegiare esclusivamente le “mostre-evento”che generano un consumo di massa spesso acritico e dannoso per il 90% dei casi.

Il problema è complesso e non è questa la sede per affrontarlo. Voglio semplicemente far notare che questa visione aziendalista genera una serie di contraddizioni pericolose che qui voglio solo rammentare: intanto il patrimonio culturale è pubblico per definizione, e come tale non può essere alienato a privati; in secondo luogo non è possibile subordinare alla logica del profitto la missione affidata dalla collettività ai musei dello Stato: la memoria collettiva non può essere consegnata alla gestione privata e tanto meno subordinata a logiche di profitto.

Voglio essere categorico per essere chiaro. C’è una scelta di fondo da fare: se riteniamo che la valorizzazione del patrimonio culturale sia indispensabile per la crescita civile di un paese, la collettività e quindi lo Stato debbono essere pronti a sopportarne i costi necessari pur auspicando una qualche forma di collaborazione intelligente e cooperativa con i privati; se viceversa riteniamo che qualsiasi discorso che metta in relazione il patrimonio culturale con l’identità della società civile sia del tutto secondario e irrilevante, possiamo pensare a forme di alienazione che privilegino essenzialmente l’aspetto economico. Personalmente sostengo che musei e istituti culturali debbono essere gestiti con criteri rigorosi di efficienza ed efficacia ma nel pieno rispetto della loro missione che impone la vigile attenzione da parte dello Stato.

Il Cantone Ticino investe parecchio, nella gestione dei suoi istituti e nella promozione della cultura, e si colloca in posizione dignitosa fra i cantoni svizzeri per quanto concerne le spese procapite. Negli ultimi 20 anni gli investimenti sono raddoppiati e oggi arrivano a 34 milioni di franchi (ai costi di gestione degli istituti si aggiungono gli interventi a favore della promozione delle iniziative culturali ecc).

Tuttavia - bisogna pur dirlo - è sempre mancata una politica pubblica coerente e guidata da una solida strategia costruita in funzione delle priorità del paese: il dipartimentalismo ha generato forme di lottizzazione delle iniziative culturali, e fra i vari istituti, gestiti da dipartimenti diversi, non vi è mai stata fino allo scorso anno una riflessione comune.

D’altro canto la nostra gestione degli aspetti culturali è ancora troppo vincolata a una visione che concepisce il ruolo dello Stato in termini di interventi conservativi e perciò risulta poco preoccupata di ragionare in termini di valorizzazione, di fruizione di massa o di indotto economico. Ecco, in questo ambito ci sono ampi margini di miglioramento: non si tratta – come detto - di cedere alle lusinghe della privatizzazione e del “beneculturalismo” che riduce tutto al grande evento, ma di capire come sia possibile sviluppare una politica culturale che consenta allo Stato, senza venir meno ai suoi doveri, di assecondare attività economicamente interessanti, di capire come si possa promuovere il patrimonio culturale nell’ambito di una valorizzazione integrata del territorio che non escluda un concorso controllato di privati.

Da questo primo incontro non possiamo pretendere delle risposte, ma sicuramente il confronto fra la realtà nostra ticinese e quella di altre regioni offrirà spunti, suggerimenti, proposte che ci aiutino ad elaborare nuove strategie di intervento, a costruire le condizioni quadro per la migliore valorizzazione della nostra cultura e della nostra memoria storica. Che non significa chiudersi sul passato, ma al contrario, in una società in cui coesistono sensi di appartenenza plurimi, ciò significa affidare al patrimonio culturale un ruolo sociale e politico di straordinaria importanza: perché è proprio là dove la collettività ha perso qualsiasi contatto con la propria memoria che si generano gli spaesamenti e le lacerazioni.

Nel Ticino oggi - nonostante che, qui come altrove, a quattrini per la cultura non siamo messi benissimo – parecchie cose si stanno muovendo e stiamo lavorando sodo per dare – ripeto, nonostante le limitate risorse finanziarie - per dare efficacia ed efficienza ai nostri interventi e soprattutto per dare risposte convincenti alle esigenze di tutela e valorizzazione del nostro patrimonio, inteso sempre nel suo legame stretto con la società civile, come elemento fondante e irrinunciabile della nostra identità, e soprattutto come referente indispensabile del dialogo in una società multiculturale.

Molte cose, dicevo, si stanno muovendo: lo Stato sostiene iniziative culturali con cospicui contributi alle pubblicazioni, a tante manifestazioni artistiche, alle compagnie teatrali, al cinema; promuove in prima persona programmi di ricerca; elargisce borse di studio, finanzia musei (come i musei regionali) e istituti di ricerca, come l’Osservatorio linguistico e, come l’Osservatorio della vita politica.

E in cantiere vi è il progetto importante di Museo del Territorio, la risistemazione del Museo cantonale d’arte, nuove forme di collaborazione con i poli culturali regionali. Ma soprattutto, dal prossimo gennaio il Cantone metterà in funzione un nuovo strumento conoscitivo: l’Osservatorio culturale il cui intento sarà il monitoraggio attento delle realtà culturali, la ricerca di nuove strategie culturali, l’elaborazione di progetti di aggiornamento e formazione degli addetti culturali. Compito dell’Osservatorio sarà pure quello di alimentare il dibattito attorno alla definizione di patrimonio culturale; di interrogarsi sul suo significato; di approfondire il tema della proprietà del patrimonio culturale, dei suoi costi, della sua redditività, della conservazione e della valorizzazione contestuale ecc.

Si tratta di un grande cantiere aperto dove le opzioni possono essere diverse e diversificate. Ma l’obiettivo è uno solo ed è quello che ho additato ai miei collaboratori come intangibile: ricerchiamo pure nuove strade, sinergie e collaborazioni con enti pubblici e privati, ma ricordiamoci – e cito le conclusioni di uno studioso che condivido per intero – “che la vera, la grande redditività del patrimonio culturale non è nella sua commercializzazione, e nemmeno nel turismo e nell’indotto che esso genera, bensì in quel profondo senso di identificazione, di appartenenza, di cittadinanza, che stimola la creatività delle generazioni presenti e future con la presenza e la memoria del passato.”

Vi ringrazio.