20 giugno 2007

Inaugurazione dell’Istituto comunale di Preonzo

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione dell'inaugurazione dell’Istituto comunale di Preonzo del 16 giugno 2007)

Caro sindaco (Fabio Pasinetti),
autorità civili e religiose,
caro direttore del centro scolastico (Michele Bedolla),
gentili signore e signori docenti,
care ragazze e ragazzi che frequentate questa scuola,
signore e signori,

questa è una festa. Una bella festa che più bella non si può. Perché inaugurare una scuola o una scuola rimessa a nuovo e ampliata come questa è qualcosa che riempie tutti di soddisfazione e di orgoglio: le autorità, la popolazione e voi, ragazze e ragazzi, che ogni giorno passate per quella porta. E’ anche il segno di una politica lungimirante che sa che le cittadine e i cittadini di domani si formano sui banchi di scuola e che l’esercizio della democrazia e della libertà passa attraverso la formazione di persone consapevoli dei propri diritti, ma anche dei propri doveri.

E’ una bella festa anche per un Consigliere di Stato che si occupa di scuola e che ha la possibilità di abbandonare il suo ufficio per immergersi in una delle tante realtà che sono le sedi scolastiche del cantone. Abbiamo belle scuole: belle perché sono accoglienti, perché convenientemente arredate, perché vi lavorano docenti preparati e sensibili alle necessità dei giovani. Allora dico che siamo fortunati perché fortunato è quel paese che costruisce scuole.

Ci riempiono di gioia le immagini che ogni tanto ci vengono dalla televisione e che mostrano i volti sorridenti di ragazze e ragazzi che possono finalmente andare a scuola in una parte del mondo in cui fino a quel momento non c’è stata una scuola, perché ci sono stati disordini che hanno turbato il normale vivere della gente. Molte nostre organizzazioni umanitarie che vanno in paesi lontani costruiscono dapprima la scuola. Imparare a leggere, a scrivere e a far di conto – come si diceva ai tempi di Stefano Franscini, ricordato proprio in queste settimane – ma anche imparare a capire la realtà e a rendersi conto di quello che possiamo fare o che dobbiamo fare, vuol dire diventare e essere uomini liberi. La libertà è il dono più grande che ci sia.
E noi siamo fortunati, perché possiamo dire con una certa fierezza, parafrasando Benjamin Franklin, che “dove c’è la libertà, quello è il mio paese”.

Certo il mondo oggi è diventato più difficile di un tempo: più difficile per chi in un comune è investito della gestione della cosa pubblica perché le esigenze della gente sono aumentate ed è difficile accontentare tutti; più difficile per i genitori che non sono più in grado di rispondere a tutte le domande, che figlie e figli pongono, e che sono suggerite da una realtà che le immagini della televisione fanno ogni giorno più vasta e complicata; più difficile per le docenti e i docenti che si trovano a lavorare davanti a classi che sono, ognuna, una piccola comunità di ragazze e ragazzi con dietro di sé esperienze di vita diverse, mentalità diverse e anche lingue diverse.

Si dice anche che il paesaggio ha un’anima che è la nostra, nati e cresciuti qui. Non possiamo però dimenticare che il paesaggio che ci circonda – questa aspra valle Riviera, che nasconde in alto angoli di silenzio a ridosso delle cime – racconta a chi vive qui storie ormai diverse: a chi è cresciuto qui con la propria famiglia; a chi ci è arrivato da poco perché il destino – si dice così – ha voluto che fuggisse dal paese dov’è nato e arrivasse qui da noi.

Anche qui ormai, la realtà di una classe non è più quella che abbiamo vissuto noi, genitori o nonni. Ma se da un lato si chiede alle docenti e ai docenti di assumere una parte attiva nel nuovo contesto sociale perché la strada che abbiamo scelto è quella dell’integrazione, con tutti i problemi che tale scelta comporta, dall’altro abbiamo bisogno anche della collaborazione della famiglia perché insegnare ai giovani a vivere gli uni vicino agli altri, a rispettare le idee dell’altro, a condividere le difficoltà del vivere quotidiano - anche nell’ambito della scuola - è compito che non si esaurisce nel minuto in cui suona il campanello di fine lezione (se ne avete uno). E fa piacere vedere bambine e bambine che giocano e imparano assieme nonostante le tante diversità. Sono d’esempio per noi grandi. La tolleranza, ma anche l’attitudine alla convivenza civile, la si impara da piccoli.
La scuola è terreno fertile per queste lezioni di vita.

Purtroppo non sempre basta la buona volontà e il mondo di oggi – anche il nostro piccolo mondo ticinese – è scosso da avvenimenti particolarmente gravi di intolleranza e di violenza. Il dipartimento sta mettendo in atto nuove misure per far fronte a situazioni ritenute insostenibili all’interno di un istituto scolastico e la messa a disposizione dei mezzi finanziari necessari.

Ma voglio dire anche un’altra cosa: Non siamo il bronx: i casi di comportamenti veramente ingestibili o difficili sono una decina su 50'000 allieve e allievi che frequentano le nostre scuole. Chiudo questa parentesi doverosa perché mi piace agire con realismo, lontano da qualsiasi sensazionalismo anche se capisco che certi fatti turbano più noi di altre persone che vivono in realtà ben più tormentate.

Il sasso che frantuma il vetro della finestra di una scuola è più di uno stupido atto di vandalismo. E’ qualcosa di riprovevole ma anche fonte di tristezza, perché è un tentativo di spegnere la voce di chi insegna, a chi è al primo traguardo sul cammino della vita, è il tentativo di colpire un’istituzione pubblica che si prefigge di insegnare ai giovani a pensare, a far uso della ragione critica, che costituisce la premessa per diventare donne e uomini indipendenti e liberi.

Gentili signore e signori,

Torno volentieri ai sentimenti di soddisfazione e di gioia che una festa come questa suscita nel nostro animo.

Esprimo la gratitudine dello Stato alle autorità politiche di questo paese: hanno capito l’importanza della funzione di una scuola il cui compito educativo è fondamentale per il futuro del cantone, delle sue cittadine e dei suoi cittadini che sono le ragazze e i ragazzi di oggi. Le ringrazio anche di questo sguardo in avanti che concretamente si esprime attraverso progetti di possibile ampliamento futuro del rinnovato centro scolastico.

Ringrazio gli architetti Canonica e Rosselli, le ditte e gli artigiani che hanno trasformato idee e progetti in qualcosa di concreto che è lo stabile che ci sta qui davanti.

Esprimo la gratitudine dello Stato anche alle famiglie della simpatia e dell’attenzione con cui seguono il diventar grandi delle loro figlie e dei loro figli e seguono il lavoro delle docenti e dei docenti nella consapevolezza che la famiglia non può abdicare al suo ruolo di educatrice accanto alla scuola.

Concludo rivolgendomi alle ragazze e ai ragazzi, perché la festa è prima di tutto la loro.

Care ragazze e cari ragazzi,

Voi passate quella porta ogni mattina per andare a scuola. Penso che nella vostra cartella non ci siano solo libri e quaderni, ma anche tanta curiosità di imparare. Perché il segreto sta proprio qui: nell’essere curiosi, curiosi di sapere perché una cosa è fatta così e non cosà, curiosi di imparare cose nuove e di scoprire altri mondi.

Io mi auguro che la sera, quando uscite dalla stessa porta per tornare a casa, abbiate lo stesso sorriso della mattina, la stessa voglia di continuare a imparare cose nuove.

Se è cosí vuol dire che avete brave maestre e bravi maestri. Esprimo dunque anche a loro la gratitudine dello Stato per ciò che fanno che è qualcosa di prezioso e di indispensabile per il futuro della nostra gente e per la loro felicità.

Grazie dell’attenzione.