24 maggio 2007

Mostra "Stefano Franscini 1796-1857. Le vie alla modernità"


(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione dell'inaugurazione della mostra "Stefano Franscini 1796-1857. Le vie alla modernità" a Villa Ciani, Lugano, di mercoledì 23 maggio 2007)


Gentili Signore, Egregi Signori,

come responsabile del Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport sono particolarmente felice di partecipare all'inaugurazione di questa grande mostra su Stefano Franscini in occasione del 150° della sua morte.
Per sottolineare degnamente l'evento, il Cantone, doverosamente, ha previsto una serie di manifestazioni che si affiancheranno ad altre promosse da enti e associazioni. Oltre ad aver appoggiato e sostenuto, con la Città di Lugano, questa grande mostra a Villa Ciani, ha affidato all'Archivio di Stato e alla Biblioteca cantonale di Bellinzona il compito di allestire, a complemento, una seconda piccola mostra che si aprirà ad ottobre, e che sarà un'occasione per scrutare con discrezione il Franscini intimo attraverso le sue lettere e i suoi scritti, presentare alcune fra le opere maggiori di un autore che, da vivo, non fu sempre gratificato dal Ticino e qualche volta fu addirittura ripudiato in modo indegno dai ticinesi – si ricordi lo sgarbo vergognoso subito dal Franscini nel 1854 - ma che fu senza dubbio, e a lungo, fra i ticinesi più tradotti in Svizzera, e non dimentichiamo infine la triste pagina dei manoscritti fransciniani, alcuni ritrovati e altri smarriti forse per sempre.
Il Cantone Ticino riproporrà poi, a cura di un gruppo di studiosi coordinati da Raffaello Ceschi, una edizione nuovissima e enormemente ampliata, dell’Epistolario di Stefano Franscini, che consentirà di chiudere le celebrazioni con un’opera di valore, sicuramente uno stimolo per nuove prospettive di ricerca sullo statista leventinese. Questo per dire dell’importanza del personaggio.

Nella storia cantonale, dal 1803 ad oggi, sono molti gli uomini politici che hanno dato un contributo determinante al processo di edificazione e al consolidamento dello Stato cantonale. Nell'atrio della sala del Gran Consiglio sono esposti i busti di alcuni di loro, da Vincenzo Dalberti a Giacomo Luvini-Perseghini a Giovan Battista Pioda a Carlo Battaglini a Giuseppe Motta a Giuseppe Cattori - e altri come Gioachimo Respini, Rinaldo Simen, o Guglielmo Canevascini e parecchi ancora - sono nella memoria collettiva o, meglio, erano parte integrante della memoria collettiva: perché è pur vero che, generazione dopo generazione, la loro immagine si è appannata e affievolita fino a scomparire quasi del tutto.
Tuttavia, il Franscini è lui sempre lì, e gode di universale consenso. Tanto che, in un modo o nell'altro, tutti ne rivendicano l'eredità, o quantomeno ne riconoscono i meriti indiscussi. Il Franscini insomma non fa parte della cultura di partito perché appare come l'unica personalità condivisa, un patrimonio e un’eredità comune che non genera antagonismi e passioni partigiane.

Sul Franscini sono stati scritti e si continuano a scrivere libri, saggi, tesi di laurea, un’ infinità di articoli e sono organizzati seminari e convegni: oggi conosciamo molto del Franscini statistico, e tanto è stato scritto sul Franscini uomo di scuola, e sul Franscini politico impegnato a edificare lo Stato con buone leggi e a diffondere l'istruzione che emancipa gli uomini dall’ignoranza e ne fa dei cittadini maturi e responsabili; e pagine illuminanti sono state scritte sul Franscini storico, che sorregge l'azione politica con lo studio del passato che gli consente di capire a fondo la natura e i bisogni del presente. E sicuramente questa mostra luganese e le altre manifestazioni che seguiranno daranno atto di questi aspetti e costituiranno un ulteriore contributo di conoscenza.
Lungi da me l'intenzione di elencare i meriti del Franscini, e ancor meno di ripercorrere le tappe della sua azione politica fra il Ticino e Berna. Consentitemi però di ricordare un aspetto qualche volta trascurato: quello del Franscini ribelle, dell’innovatore, del precursore di una visione della politica intesa come azione volta a promuovere e cementare lo sviluppo materiale del paese con il progresso delle menti. Quando il Franscini proclama la necessità dell’ “incivilimento del paese” pensa proprio a questa sintesi fra sviluppo materiale e maturità delle coscienze. Mi pare che, almeno in parte, il mistero del Franscini celebrato oggi, ma qualche volta sottovalutato, frainteso e addirittura ripudiato con fastidio dagli uomini del suo tempo, stia proprio in questi suoi atteggiamenti innovativi in politica: infastidiva il suo "J'accuse" senza appello rivolto ai colleghi parlamentari, agli appaltatori scellerati, ai politici avidi, che al bene generale anteponevano l'utile privato o tutt'al più l’egoismo regionale e corporativo, infastidiva la sua avversione alle fazioni e alle contrapposizioni rigide, infastidiva la sua condanna di ogni forma di esclusivismo e della faziosità esasperata.
Il suo concetto di politica come "scambievole riconoscimento", come ricerca del negozio e della conciliazione strideva con la realtà del suo tempo che vedeva il paese spaccato in due tribù il cui obiettivo era la reciproca sopraffazione. Il concetto fransciniano della politica come arte della composizione, come mezzo di superamento delle conflittualità attraverso la ricerca del giusto compromesso fra le parti e della soluzione mediata fra posizioni diverse, ci rimanda a una visione della politica che sarà del secolo successivo. Una visione, la sua, sorretta dalla consapevolezza dell'enorme responsabilità che il politico si assume nei confronti dei cittadini: il politico per il Franscini deve esprimere le virtù dei migliori, perché a nulla valgono le buone leggi se la volontà dell’uomo di governo non si cementa costantemente con il bene pubblico "verace, sincero, disinteressato".

Il bene pubblico come obiettivo supremo, il rifiuto di qualsiasi forma di condiscendenza verso ogni manifestazione di integralismo settario, sono i principi guida che hanno permeato l'azione del Franscini e ne hanno fatto, e ne fanno, un esempio di perenne attualità. Il Franscini sicuramente unico per la sua infaticabile attività di forgiatore di programmi per la crescita economica, sociale, culturale del Paese, fu unico per la sua straordinaria attività di costruttore e di edificatore dello Stato liberale, ma fu soprattutto unico per la sua capacità di schiacciare gli avversari non tanto con il linguaggio del formidabile polemista quale egli era, ma col peso della sua onestà, della sua devozione assoluta e perfino intransigente alla cosa pubblica un esempio e un monito per tutti noi.

Unico anche per la sua capacità e la sua attitudine di principio, come sottolineò il Martinola in occasione del primo centenario della sua morte, ad “un diretto e aperto e fiducioso colloquio col popolo, senza riserve astute e misteri, una politica che si dispiegava alla luce del giorno, sotto gli occhi di tutti, all’insegna così rara del dir pane al pane, anche agli amici occorrendo, e nella forma della più consacrata pubblicità, la stampa”.
Da qui la modernità e l’attualità del suo pensiero.
lo non voglio tuttavia terminare, gentili Signore, egregi signori, senza un cenno doveroso e dovuto al fatto che questo evento- molto di più di quello del 1998 - è stato possibile grazie a un progetto comune che ha dato origine a una intensa, proficua e fruttuosa collaborazione fra il Cantone e la Città di Lugano, fra il DECS e il dicastero cultura retto da Giovanna Masoni. È il segno tangibile di un dialogo culturale che il Cantone intende perseguire con gli enti locali e che in particolare il Cantone vuole approfondire in primis con la Città di Lugano. Sviluppare una efficace politica culturale in una società sempre più multiculturale come la nostra significa combattere le spinte alla frammentazione e promuovere lo scambio, la comprensione interculturale, la comunicazione fra culture e realtà altrimenti giustapposte.
È compito del Cantone ed è compito di un grande centro di attrazione come Lugano ricercare gli strumenti più adattati per raggiungere insieme questi obiettivi. Obiettivi fransciniani, direi, perché si tratta appunto di riprendere il principio fransciniano dello scambievole riconoscimento, di individuare e fare interagire gli interessi comuni e cercare le vie più proficue per una loro realizzazione: il dialogo è stato proficuo attorno a questo evento, e lo è già attorno a problemi che richiedono soluzioni a lungo termine, come quello della politica museale o dei rapporti fra istituti culturali del Cantone e istituti cittadini.
Chiudo quindi ringraziando la Città di Lugano per il suo determinante contributo alla riuscita dell'evento e non voglio dimenticare i miei collaboratori del DECS, dell’Archvio di Stato e della Divisione della cultura e degli studi universitari, che con non poche difficoltà, sono riusciti a portare a termine un lavoro veramente impegnativo.