25 maggio 2007

Attualità del pensiero di Franscini per la scuola di ieri e di oggi



(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della Commemorazione per la celebrazione del 150° della morte di Stefano Franscini a Bodio, suo paese natale, di giovedì 24 maggio 2007)






1. INTRODUZIONE

Egregi signori,

vi prego dapprima di accogliere il mio sentito plauso per questa iniziativa, promossa dal Comune di Bodio, che si inserisce nel ricco calendario delle manifestazioni e delle iniziative delle celebrazioni del 150° della morte di Stefano Franscini.

Il paese natale di Franscini non poteva non fare la sua parte, e anche in quest’occasione, come già in passato, si è fatto promotore di un’iniziativa lodevole e stimolante.

Non posso nascondervi il piacere - ma anche la sincera commozione che provo, come leventinese e come Capo del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport a ritrovarmi questa sera fra amici e fra amici della scuola -, per avere il privilegio di ricordare il più illustre dei nostri convallerani, unanimemente ricordato come il “padre della popolare educazione".

2. FRANSCINI E LA SCUOLA: IL MITO

Ebbene, cosa fece il Franscini per la scuola. E’ presto detto. Allo storico Giuseppe Martinola sono bastate cinque frasi:

Ci volevano scuole: le creò.
Ci volevano libri: li scrisse.
Ci volevano maestri: li preparò.
Ci volevano leggi: le dettò.
Ci volevano denari: li trovò”.

Un densissimo condensato di solo cinque lapidarie frasi. L’effetto è quello di delineare i contorni di un gigante, di un titano, capace, da solo, con inusitata tenacia, di dar scacco a un còmpito ìmpari, in una partita apparentemente disperata, come quella a cui si appresta un novello Davide contro Golia.
La storia, verrebbe da dire, cede il passo al mito.

3. LA SITUAZIONE DELL’ISTRUZIONE IN TICINO

Ma vediamo di tracciare, seppur sommariamente, un quadro della situazione dell’educazione e dell’istruzione in Ticino nei primi anni dell’Ottocento, così come poté conoscerla Franscini.

Egli dovette confrontarsi con condizioni complessivamente insufficienti, quando non gravi.
La scuola primaria risultava generalmente deficitaria, malgrado che il Cantone, sorto nel 1803, l’8 giugno 1804, si era affrettato a promulgare una legge che stabiliva come “in ogni comune vi sarà una scuola ove si insegnerà almeno a leggere e scrivere ed i principi di aritmetica”, che rimase però a lungo lettera morta.

Di fatto sia comuni che parrocchie erano perlopiù privi di scuole, e dovevano fare affidamento su un corpo insegnante – formato essenzialmente di sacerdoti -, che per vari motivi risultava essere impreparato, mal retribuito e dedito a incombenze di ogni genere.

Sporadica e limitata era d’altronde la frequenza, e assai diffusa l’evasione scolastica da parte dei ragazzi, che venivano sistematicamente utilizzati come forza lavoro nelle occupazioni domestiche e nella attività agricole, soprattutto a partire dalla primavera o che se ne andavano oltre i confini cantonali a lavorare come emigranti, in Lombardia, in Piemonte ma anche altrove.

Inadeguatezza dei locali– limitati in gran parte alla sacrestia, alla cucina del parroco o ad altro locale di fortuna messo a disposizione dalla parrocchia o dal comune – e della necessaria attrezzatura, si accompagnavano a metodi educativi tradizionali superati e inefficaci, perlopiù basati su un mero apprendimento mnemonico di concetti di cui spesso l’allievo non capiva il senso, e non raramente assommati a punizioni corporali.

Nel suo testo "la Svizzera italiana" il Franscini sottolineava come "le scuole si direbbero istituite la massima parte per avvezzar la gioventù a compor sonetti, anacreontiche e simili piuttostoché per erudirla nelle più utili discipline".

Non sorprende se i risultati fossero poi ampiamente carenti, caratterizzati da una limitata capacità di lettura e da scarse competenze nello scrivere e far di conto.

Assai scarsamente apprezzata dalle istituzioni e dalle famiglie stesse, l’istruzione femminile era poi quasi totalmente trascurata.

Il livello generale – in queste condizioni - non poteva che essere così assai basso, e soprattutto nelle zone più discoste del cantone si registrava un tasso di analfabetismo esteso.

La formazione professionale, che in altri cantoni e stati europei destava sempre maggior attenzione, rimaneva affidata unicamente all’apprendimento per imitazione e all’utilizzo pratico degli strumenti tradizionali di lavoro, presso i luoghi in cui da sempre si imparava il mestiere.

L’insegnamento superiore era limitato ai soli figli di famiglie benestanti, in grado di assicurare finanziariamente il proseguimento degli studi.

Qualche scuola privata di scarsa rilevanza e sei istituti confessionali, perlopiù alieni dai rinnovamenti culturali dell’epoca, continuavano ad impartire un insegnamento di tipo tradizionale, incapace di formare individui in grado di affrontare in modo critico e consapevole le problematiche della realtà che li circondava.

Apprendimento precoce del latino, capacità di comporre versi d’occasione, applicazione di precetti retorici astratti, non lasciavano spazio ai problemi economici o alla funzione comunicativa delle lingue vive, né alle scienze naturali o alla storia svizzera, a cui si preferiva quella greca e romana.

Mancando infine del tutto una struttura accademico-universitaria, per la preparazione di chi voleva formarsi in una professione liberale o alla carriera ecclesiastica, gli studenti erano obbligati ad andare fuori cantone, sobbarcandosi oneri finanziari ragguardevoli e dovendo seguire insegnamenti subordinati ad una concezione politica assolutista e antidemocratica.

4. L’AZIONE REALIZZATIVA DEL FRANSCINI

Vi propongo alcune riflessioni sull'azione realizzativa di Franscini. Un Franscini che entra nel Governo cantonale nel 1830, dopo la riforma costituzionale del ‘29, come segretario di Stato, alternando questa carica a quella di Consigliere di Stato fino al 1848.

La scuola elementare venne fortemente potenziata per meglio diffondere l’istruzione indispensabile a tutti, anche ai più poveri.

Quando Franscini, nel 1848, divenuto Consigliere federale, si apprestava a partire per Berna, in Ticino non si contavano ormai più comuni senza scuola. Le scuole elementari risultavano frequentate complessivamente dal 77% delle alunne e dall’87% degli scolari obbligati.

Tra i traguardi raggiunti, uno dei più rilevantI, a detta dello stesso Franscini, fu l’istituzione
dei corsi teorici-pratici di metodica, che consentirono, grazie ad una frequenza sempre crescente di insegnanti e aspiranti tali, un significativo innalzamento qualitativo dell’insegnamento.

Il corpo insegnanti d’altronde, dai 150 maestri - per tre quarti ecclesiastici - salì a 430 unità ( di cui 147 laici e 159 maestre), di cui la metà circa aveva seguito la scuola di metodica, e abbandonato l’inefficace pratica individuale, per praticare il metodo simultaneo, propugnato da Franscini.

Istituita nel 1841, la scuola maggiore, destinata ad una formazione più elevata per artigiani, commercianti, possidenti, agricoltori – coloro insomma che costituivano la gran parte del ceto medio di allora -, offriva lungo un ciclo triennale, l’insegnamento di principi di letteratura italiana, geografia, storia, elementi di storia naturale, economia agraria, contabilità, lingue vive, calligrafia, canto, ed esercizi militari, in funzione dell’educazione fisica e civile.

Rafforzata ulteriormente nel 1852, divenne obbligatoria e quadriennale, organizzata in due cicli biennali che permettevano da un lato di dare un’istruzione di base agli allievi orientati ai mestieri e alle attività manifatturiere e dall’altro di assicurare un’istruzione secondaria moderna in funzione del passaggio al ginnasio o al corso di architettura connesso al liceo, agevolando così la mobilità tra livelli scolastici.

Vennero inoltre istituite nel 1840 delle scuole di disegno, obbligatorie per ogni distretto, con la funzione di garantire gli stretti rapporti tra educazione e lavoro, mirando a sviluppare e perfezionare la preparazione pratica alle arti meccaniche e alla carriera dei capimastri, non solo nel settore delle belle arti, ben radicata nel paese.

Nel 1846 si giunse alla promulgazione della legge che regolamentava il settore delle Scuole secondarie classiche: i collegi letterari venivano posti sotto le stesse normative dei ginnasi pubblici o privati di nuova istituzione, aprendo le porte alla legge del 1852, che segnò il definitivo passaggio dell’istruzione ginnasiale e superiore dalle congregazioni ecclesiastiche allo Stato.

Due i cicli in cui erano organizzate le scuole: uno di grammatica e uno di umanità, con insegnamenti in lingue antiche e moderne, storia, geografia, elementi di matematica e di scienze naturali.

Quale fu l’orientamento delle riforme intraprese è testimoniato dal contributo che intellettuali del calibro di Carlo Cattaneo e di Giovanni Cantoni (che divennero insegnanti del Liceo cantonale di Lugano), richiesto dai governanti ticinesi: accentuazione delle“cognizioni positive ed esperimentali” e sul valore culturale e formativo delle scienze naturali: fisica, chimica, geologia. Parallelamente un’attenzione viva per le scienze umane e sociali: storia della geografia, del diritto, economia, senza però sacrificare il ruolo educativo dei classici della letteratura e della filosofia.

A livello universitario, conscio dell’impossibilità di puntare su un’università completa, Franscini propose il progetto di un’ Accademia, concepita come una facoltà filosofica, con insegnamenti in logica, metafisica, etica e storia della filosofia, e discipline scientifico sperimentali (fisica, chimica, matematica, storia naturale), e una facoltà legale, dove ci si formava nei diversi diritti (diritto naturale delle genti, diritto comune o romano, diritto canonico, diritto pubblico della Svizzera e del Ticino e codici del Cantone).

Prevedeva poi insegnamenti complementari comuni in religione, letteratura italiana e classica, storia, agraria, economia politica e statistica; la costituzione di una Biblioteca pubblica di ampie dimensioni, ancora assente in Ticino, e un di Museo fornito di ampie collezioni.

Ma difficoltà finanziarie e l’atavica rivalità tra le città che avrebbero voluta ospitarla, non permisero mai al progetto di trovare attuazione.

L’azione realizzativa di Franscini fu dunque ampia, costante e incisiva.

Traendo ispirazione dal moderno spirito democratico e liberale, l’istruzione senza dubbio, visse uno sviluppo vasto e articolato. Ciò non significa che non mancassero limiti e problemi aperti, ma Franscini, con l’acutezza che lo contraddistingueva, ne era cosciente.
Le basi di un sistema formativo moderno e coerente erano state tuttavia gettate.

L’impegno fransciniano nei confronti della scuola non terminò tuttavia in Ticino. Divenuto Consigliere federale e ottenuto il Dipartimento degli interni, competente per le questioni legate all’istruzione, portò avanti i progetti dell’Università federale e del Politecnico federale.

L’Università federale, che Franscini concepiva come uno strumento per innalzare il livello degli studi accademici del paese e come luogo di incontro delle diverse componenti linguistiche, confessionali ed economiche della Svizzera e delle future élites della Confederazione, naufragò scontrandosi contro gli interessi delle Università cantonali, e delle forti resistenze romande che temevano l’egemonia svizzera-tedesca.

Passò invece il progetto di Scuola politecnica federale, ampliata con una sezione filosofico-letteraria, che verrà inaugurata a Zurigo nel 1855, assicurando alla Svizzera una moderna istituzione per la formazione di ingegneri, architetti e tecnici dei vari settori scientifici, richiesti dall’industrializzazione.

Per Franscini fu una mezza vittoria, o una mezza sconfitta, anche perché i meriti di questa operazione se li assunsero, più che il Consigliere federale ticinese, soprattutto altri uomini politici, in particolare l’influentissimo presidente del governo zurighese Alfred Escher.

5. RIFORME FRANSCINIANE E SOCIETA’

L’azione riformatrice di Franscini e un bilancio sulla sua attività acquisiscono tuttavia senso solo se calati all’interno di quelle che erano le coordinate politiche, sociali e culturali del tempo.

La difesa del mutuo insegnamento ad esempio – contestatissimo dalle frange clericali – non era che una scelta funzionale all’allargamento dell’alfabetizzazione delle masse popolari, che Franscini riteneva necessaria e urgente.

Sottrarre l’insegnamento ad istitutori indipendenti dall’autorità dello Stato, tanto più se renitenti ai nuovi valori, significava rimuovere operatori ormai inadatti a formare una rigenerata classe dirigente, chiamata ad occupare le cariche pubbliche della nuova Repubblica, col compito di rafforzarne le fondamenta.

Dotare lo Stato di una direzione centrale dell’educazione, rispondeva all’esigenza di disporre di un apparato di indirizzo e di controllo efficiente per superare i numerosi ostacoli esistenti, contrastare inerzie diffuse, assumere iniziative precise.

Ciò gli permise di creare scuole, anche domenicali e serali di ricupero, di attivare l’azione sin lì troppo blanda del corpo ispettivo, di sapientemente stimolare l’azione dei comuni sostenendoli finanziariamente, rafforzandone le competenze e coinvolgendo così dal basso la gestione delle scuole presenti sul territorio.

Ma accanto a questa scelta centralistica, tipica del liberalismo del suo tempo, cercò sempre di far sì che la società civile potesse assumere a sua volta iniziative, parallelamente al ruolo del governo, facendosi promotore in prima persona di due sottoscrizioni per raccogliere fondi per la scuola, sostenendo la diffusione dei giornali e delle associazioni.

Tutto ciò quale risposta alle sollecitazioni di quel Ticino più moderno desideroso di dare una svolta al passato. Il nostro paese usciva infatti dal secolare letargo del dominio landfogtesco e da non pochi decenni di potere oligarchico e assolutista, ed era alla ricerca di strumenti e energie per superare un’atavica inerzia, sostenuta semmai da paternalistiche azioni intese al rafforzamento dei privilegi di ceti interessati al mantenimento dello status quo che non certo alla promozione di istanze innovatrici.

Il Ticino, detto altrimenti, stava vivendo anni di grande fermento per lasciarsi alle spalle una generale situazione di arretramento politico, istituzionale, economico e culturale, sulla spinta dei grandi principi illuministici giunti dalla Francia ed esportati da Napoleone, e dei nuovi valori ottocenteschi democratici e liberali, tendenti alla modernizzazione.

6. ATTUALITA’ DEL FRANSCINI

a) La scuola come esperienza vissuta
La scuola non fu per Franscini un’esperienza astratta, meramente accademica o solamente un esercizio politico, da esercitare nel chiuso delle stanze del potere.

La scuola fu sempre, per tutta la sua esistenza, un’esperienza vissuta, in prima persona.

Dapprima nella sua Leventina, come allievo della scuoletta di Personico, dove Franscini cominciò a conoscere la scuola dal di dentro, e poi al Seminario di Pollegio, che offriva ai ragazzi di modesta estrazione sociale l’unica via per studiare, avviandoli alla formazione ecclesiastica.

Poi nella grande Milano della Restaurazione, dove poté proseguire gli studi presso il Seminario Maggiore, decidendo poi però di abbandonare, non provando la vocazione al sacerdozio e dove intraprese la sua professione di insegnante, dapprima come precettore privato, in seguito come maestro. In quell’occasione seguì pure il corso di metodica e fece le sue prime prove di autore di testi didattici, speranzoso di trovare una fonte di finanziamento parallela a quella di insegnante.

In Ticino, o meglio a Lugano, iniziò ad insegnare in un istituto caratterizzato dal mutuo insegnamento, aprendo poi istituti maschili e femminili con la moglie Teresa Massari. Con riferimento all'istruzione femminile scrisse infatti "va male per i maschi, ma va peggio per le femmine"! Bisognava fare qualcosa. E lo fece.

b) Scuola di valori e per un progetto di società

Ovviamente le riforme fransciniane rispondevano a esigenze concrete per quanto concerne cognizioni, saperi, istruzione che si ritenevano più adeguati per permetter ai giovani di inserirsi nel mondo produttivo, oltre che nella vita attiva di cittadini.

Franscini voleva una scuola al passo coi tempi, e si impegnò affinché il nuovo sistema scolastico potesse garantire adeguate competenze all’evoluzione economica che si stava delineando.

Egli aveva d’altronde ben in chiaro il nesso che lega economia e educazione, considerando quest’ultima – alla stregua di Adam Smith e di Melchiorre Gioia –condizione necessaria allo sviluppo moderno del paese.

Lo sviluppo del sistema formativo che Franscini portò avanti non rifletteva tuttavia semplicisticamente la situazione del momento né si limitava a reagire di fronte a richieste che la società civile di volta in volta poneva. Ma, con notevole lungimiranza, guardava più avanti, già ponendo le premesse per sviluppi futuri e additando obiettivi a lungo termine, che altri, dopo di lui, avrebbero dovuto perseguire.

Infine, per Franscini, la scuola rimaneva il luogo deputato all’educazione: educazione ai nuovi valori democratici, liberali, laici.

Se da un lato la scuola doveva assicurare i saperi teorico-pratici per permettere l’ammodernamento della società e del suo sistema produttivo, col fine di un generale miglioramento delle condizioni di vita, sociali, economiche e politiche, per permettere insomma quel progresso e quell’”incivilimento” che rimaneva l’obiettivo finale, dall’altro doveva garantire l’educazione civile dei futuri cittadini, chiamati un giorno ad esercitare la sovranità popolare alla base della rigenerata repubblica.

Il pensiero e l'agire di Franscini mantengono dunque una grande attualità. Un pensiero e un agire che sfuggono a qualunque connotazione di parte perché era personalità al disopra di antagonismi e passioni partigiane. Aveva capito che il progresso dello Stato – economico, sociale, il grado della qualità di vita dei suoi cittadini – passa attraverso l’efficienza e l’efficacia del suo sistema formativo, la presenza di strutture che promuovono la conoscenza e la diffusione del sapere, la messa in rete di un sistema scientifico coordinato e delle necessarie risorse umane e finanziarie. A 150 anni dalla morte, ricordiamo che proprio Stefano Franscini ammoniva che “spendere si deve per fondare e migliorare quelle istituzioni che centrali essere devono [ma] che senza cantonali sussidi non sorgeranno mai nel Cantone.”

Ma il progresso dello Stato passa anche attraverso la conoscenza e il confronto con quello che viene fatto oltre i confini cantonali. Il Franscini propugnava lo studio delle “cose svizzere, ché noi altri Ticinesi ne abbiamo gran bisogno”, avvertimento che ben si addice anche al momento attuale in cui si coordinano i cicli di studio universitari a livello europeo, si elaborano basi comuni per il controllo della qualità della scuola e si definiscono gli obiettivi generali di ogni tappa della formazione. L’affermazione del proprio lavoro e delle proprie qualità non si esprime rinchiudendosi in una sorta di torre d’avorio (che può essere anche segno di incapacità di confrontarsi con altri o vuoto di idee innovatrici o fastidiosa immodestia), ma nel confronto stesso con il lavoro e le qualità degli altri.

La grande, importante e variegata attività lungo anni di esperienze personali permise al Franscini di avere nei confronti della scuola una molteplicità di approcci che ne fanno una caratteristica sua peculiare, e che rappresenta una ricchezza ancora oggi per noi preziosissima e attuale.
Anche perché questa straordinaria poliedricità non è solo il frutto di una individualità particolarmente vivace, ma è connessa ad una capacità di affrontare le problematiche del mondo educativo con una visione d’assieme.
Le sue lotte sia politiche che culturali in Ticino e in Svizzera, si assommavano ad una cultura vasta, solida e avanzata, che il Franscini si era in gran parte formato come autodidatta nelle grandi biblioteche milanesi dell’Ambrosiana e di Brera prima, e poi in severi studi statistici e di economia politica e di storia, sempre attento a ritenere quanto innovativo veniva elaborato nei vari paesi europei più avanzarti.

Anche nel campo pedagogico il Franscini fu sensibile alle proposte che si confrontavano sia a livello svizzero che europeo, guardando con interesse alla lezione di Pestalozzi, di Fellenberg, di Girard.

Per dire che l’azione riformatrice del Franscini, progressista e mai conservatore, è sempre stata orientata all’innovazione, al confronto con altre realtà ed esperienze. Per lui, precursore dei tempi, è sempre stato importante il concetto di un progredire all’interno di una realtà sempre meno rinserrata entro fragili confini e fondato su un coerente insieme di valori e un saldo progetto di società.

Il Franscini fu unico per la sua straordinaria attività di costruttore ed edificatore dello Stato liberale, ma anche per la sua capacità di schiacciare gli avversari con il peso della sua rettitudine, della sua onestà, della sua devoluzione assoluta e persino intransigente alla cosa pubblica

Concludo con una sua frase che è espressione di grandissima umanità e umiltà.

"Non mi vanto di essere perfetto nell’adempimento dei doveri della mia carica. Di questo bensì mi vanto, che i miei doveri mi stanno a cuore, e che fo ogni sforzo perché le persone giuste e imparziali mi abbiano ad annoverare tanto tra i buoni cittadini quanto tra i buoni e fedeli funzionari.”

E aggiungeva: “Né per povertà né per ambizione non ho mai abiurato i princípi di libertà, non resa servile la mia penna.”

Per questo nacque povero, visse da povero e morì povero.