23 ottobre 2006

Numero speciale di "arte e storia" su Maria Corti

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della presentazione del numero speciale di "arte e storia" su Maria Corti del 18 ottobre 2006 a Lugano)


Gentili signore e signori,

A nome dell’Autorità cantonale porgo il più cordiale benvenuto ai due condirettori della rivista Arte & Storia, ai professori dell’Università per stranieri di Siena e dell’Università degli studi di Pavia. Un saluto altrettanto cordiale porgo agli scrittori di casa nostra, Giuseppe Curonici e Giorgio Orelli, e a tutte le persone presenti in quest’aula magna. Un grazie particolare esprimo alla Casa editrice di Ticino Management e al Centro manoscritti dell’Università degli studi di Pavia.

Chi interverrà dopo di me illustrerà con competenza e sulla base delle esperienze di vita e di lavoro vissute a diretto contatto con Maria Corti alcuni aspetti della sua attività di studiosa e di scrittrice, di lei che qualcuno chiamò “La signora dei manoscritti” e della quale il professor Segre qui presente scoperse il grande amore, quello vero, e la definì “La ragazza che si innamorò di Dante”.

Il mio saluto vuol essere breve, per non rubare tempo a coloro che ebbero la fortuna di incontrarla e di lavorare con lei e che fra poco illumineranno spicchi della sua personalità, delle sue imprese letterarie e di studiosa.

Permettetemi solo due considerazioni.

La prima concerne i rapporti di studio tra il Ticino e l’Università di Pavia e, in genere, gli istituti accademici d’Italia. Numerosi docenti ticinesi si sono formati alla Scuola di Pavia. Per dire dell’importanza di contatti continui e di collaborazioni non occasionali tra i nostri istituti di formazione della Svizzera italiana e quelli della vicina Italia. Scriveva qualche decennio fa un politico di casa nostra[1]: “Gli svizzeri italiani devono sottolineare la loro presenza culturale in Svizzera, se vorranno tener fede al principio giuridico della parità della loro lingua e della loro cultura con le altre, con altrettanta, almeno in qualità, mole di opere e di prodotti.”

Non è che al giorno d’oggi ci giungano dai nostri confederati del Nord incoraggianti segnali di attenzione per la nostra identità culturale, né la falcidia alle cattedre d’italiano, decisa sciaguratamente per considerazioni di natura puramente contabile, lascia presagire tempi migliori per il futuro. Ma è appunto per questo che la Svizzera italiana deve aumentare gli sforzi per salvare l’italianità all’interno delle nostre frontiere e, di conseguenza, l’essenzialità del nostro Stato. Lo può fare attraverso la consapevolezza della sua origine culturale. L’apporto di Maria Corti è stato, in questo senso, esemplare.

La seconda considerazione concerne il gran parlare che si fa oggi di competitività e si fa riferimento quasi esclusivamente ai mercati, all’economia, a profitti anche miliardari. Si dimentica tuttavia che la competitività è figlia dell’esperienza, dell’intelligenza umana allenata a produrre non solo cose ma anche idee; è figlia della qualità della formazione, cioè di serietà di metodo e di lavoro, di correttezza scientifica, di impegno, ma anche di generosità nel trasmettere il proprio sapere perché altri possa produrre nuovo sapere. E’ la lezione che Maria Corti ha lasciato a molti docenti che oggi insegnano nella Svizzera Italiana.

Il Ticino ha aperto un’università; ha istituti di formazione e di ricerca che hanno contatti con altri istituti sparsi in tutto il mondo. Non lo ha fatto per risparmiare ai ticinesi il viaggio oltre Gottardo o all’estero – come qualche scettico della prima ora asseriva - ma per aprirsi al mondo, per scambiare sapere ed esperienze con chi lavora in altre realtà economiche, sociali e culturali e per accogliere cervelli provenienti da ogni dove. Per il nostro Paese chiudersi nel proprio guscio e camminare da soli vuol dire allontanarsi dai luoghi in cui nascono le idee. Qualcuno non lo ha ancora capito oggi.

In un libro di recente pubblicazione[2], lo scrittore mette in bocca alla giovane protagonista di umile condizione: “Sono diventata ricca, perché ho scoperto i libri”.
Sarebbe piaciuta a Maria Corti un’allieva cosí, lei che i libri li voleva far parlare. E diceva che “le Carte resteranno e non sapranno mai che noi non ci siamo piú.”

Un plauso a chi ha avuto l’idea del numero speciale della rivista Arte & Storia e grazie dell’attenzione.


[1] Brenno Galli
[2] Salvatore Niffoi, La vedova scalza, Adelphi, 2006