23 ottobre 2006

Assemblea per il 60mo dell’Associazione ticinese dei giornalisti sportivi

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - all'Assemblea per il 60.imo dell’Associazione ticinese dei giornalisti sportivi del 22 ottobre 2006 a Lugano)


Gentili signore e signori

A una festa di compleanno è d’obbligo fare gli auguri: auguri dunque – a nome mio personale e a nome dell’Autorità cantonale - a questa Associazione ticinese dei giornalisti sportivi, alle giornaliste e ai giornalisti che si muovono su questo immenso pianeta sport, scrivono e discutono di sport, riferiscono dei vizi e delle virtù di chi vive di sport, di chi lo pratica e di chi fa parte di quello che oggi si chiama il “management”.

Gianni Mura dice che il giornalista della stampa scritta oggi è messo in crisi dalla straripante “dose di sport” che rimbalza dalla televisione ad internet, ai canali tematici della televisione che sparano immagini di sport 24 ore su 24. Si riferisce alla situazione della vicina Repubblica e non so dire se la crisi tocchi anche voi, giornaliste e giornalisti della stampa scritta di casa nostra.

Certo che, da quando questa Associazione ha visto la luce, il mondo è cambiato. E’ cambiata la percezione della competizione sportiva: un tempo si respirava negli stadi aria se non proprio di festa, pur sempre di sano antagonismo e l’intensità dei contrasti tra le tifoserie si smorzava sulla via del ritorno a casa. Oggi i tifosi giungono allo stadio scortati, separati e ingabbiati sugli spalti. E certe scene di violenza, che un tempo scoppiavano lontano dai nostri stadi, talvolta riempiono purtroppo anche le cronache locali.

E’ cambiato anche il modo di percepire la notizia sportiva. E’ cresciuta tra la gente la voglia di scoop, di notizie sensazionali, la voglia di vedere oltre l’immagine televisiva perché è lì che il diavolo semmai ci ha messo la coda. La moviola viviseziona spietatamente il particolare, lo spazio reale di un secondo si amplifica e amplifica l’intensità del sentimento di meraviglia per il cucchiaio che beffa il portiere o della rabbia per il rigore non concesso. “Dalli all’arbitro”, insomma.

E’ fuori discussione che la difesa della libertà di espressione e dell’indipendenza del giornalismo sportivo – uno degli scopi di questa Associazione ancorato nello statuto – è caposaldo indiscutibile del mestiere di giornalista. Di fronte alle attese di lettori sempre più esigenti, di fronte ai Diktat dell’audience o di chi investe palate di soldi, il problema mi sembra oggi essere più che mai quello di come presentare l’avvenimento sportivo, cioè in maniera tale che non sia vissuto, di regola, come una lotta drammatica, persa la quale non c’è più salvezza. E’ solo un esempio.

E’ giusto denunciare gli striscioni di violenza razzista, perché non si può far finta di niente, e perché il rispetto di chi è diverso da noi e la promozione dell’amicizia tra gli sportivi sono valori che lo sport deve difendere. Ma è anche giusto – visto dalla prospettiva di chi ha la responsabilità dell’educazione e della formazione dei giovani – rinunciare all’uso di un linguaggio che mira a scioccare la gente e può suscitare in chi legge o ascolta sentimenti di rivalsa o di violenza.

Circa quattro anni fa, il mio Dipartimento ha accolto nella sua denominazione l’elemento “sport”. Non si è trattato di un atto formale, tanto per copiare quello che in altri cantoni già si fa. Il cambiamento nasce dalla profonda convinzione che l’attività sportiva aiuta a crescere se aiuta a esplorare le proprie possibilità, a riconoscere i propri limiti, a cercare la sfida intesa come confronto con se stessi e altro ancora.

Abbiamo aperto strutture di formazione che permettono al giovane dotato di studiare e nel contempo di praticare una disciplina sportiva. E’ una soluzione che esige sacrifici, ma risponde alle attese di molti giovani.

So benissimo che lo sport a livello competitivo e internazionale persegue anche altri obiettivi, per esempio quello di vincere un campionato. Ma anche a tale proposito una riflessione sullo stato di salute attuale dello sport – dentro e fuori dei nostri confini – non è fuori luogo.

Per concludere. Bisogna ammettere che – a confronto con quanto capita altrove - i toni con cui si parla di sport sono da noi più moderati. C’è insomma la preoccupazione di riferire su quanto succede, suscitando in chi legge o ascolta la riflessione, smorzando così ogni voglia di critica a tutti i costi. E’ un riconoscimento di serietà professionale che sento di dover esprimere in tutta sincerità alle giornaliste e ai giornalisti di questa Associazione.

C’è chi asserisce che non c’è più una cultura dello sport, che essa non può nascere dal nulla e che va insegnata. Se per “cultura dello sport” s’intende la promozione dei valori dello sport, allora potrebbe essere un altro degli scopi della vostra Associazione da ancorare nello statuto. Il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport vi ringrazia del sostegno.

Rinnovo gli auguri all’Associazione e vi ringrazio dell’attenzione.