05 luglio 2007

Cerimonia di consegna diplomi ASP 2007



(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi ASP 2007 del 2 luglio 2007 a Locarno)



Caro direttore,
Signore e signori docenti,
Care diplomate e cari diplomati,
Signore e signori,

poiché l’uomo (comprese le donne) è curioso per natura, magari qualcuno si attende che dica subito qualcosa su quanto riferisce la stampa scritta e parlata di questi tempi a proposto della nostra Alta scuola pedagogica. Sull’argomento del riconoscimento a livello federale del titolo ASP per i docenti di scuola media – perché di questo si tratta - riferirò più avanti anche perché la tematica in discussione non riguarda il riconoscimento dei diplomi delle diplomate e dei diplomati qui presenti tanto per quel che concerne l’abilitazione a insegnare nelle scuole dell’infanzia ed elementare, quanto per i diplomi che abilitano a insegnare nelle scuole medie del cantone Ticino.

Mi preme, prima di tutto, a nome mio personale e del Consiglio di Stato, felicitarmi con le diplomate e i diplomati qui presenti per il traguardo raggiunto e per il successo ottenuto negli studi.

Care diplomate e cari diplomati,

Avete scelto una professione ogni giorno più complessa e difficile. Complessa perché la scuola opera in una realtà in cui le certezze di un tempo sono cadute, le autorità di una volta non sono più riconosciute, la convivenza si fa ogni giorno più problematica. Senza dimenticare la velocità con la quale avvengono i mutamenti che toccano anche il nostro modo di interpretare e di vivere la quotidianità.

Una professione difficile perché siete chiamati a riflettere e a far riflettere su quanto si insegna e si impara – è uno dei compiti principali della scuola - e la riflessione esige un tempo lento che spesso si scontra con la mentalità di oggi che vuole tutto subito, senza particolare fatica e che genera superficialità e tante illusioni.

Ma difficile anche perché capiterà di ritrovarvi soli di fronte a situazioni delicate perché riguardano i giovani, cioè la persona umana, che ha un’anima, fatta di desideri, di sentimenti e di emozioni, difficili da racchiudere entro confini ben definiti o da descrivere secondo norme fisse o formule matematiche. La scuola è sempre piú sola e deve assumersi responsabilità che un tempo non ha avuto, perché assunte da altri, per esempio dalla famiglia.

Nemmeno quattro anni fa, si è voluto definire il ruolo del docente sulla base di tesi ben confezionate, secondo cui voi dovete: avere funzioni di gestione e di orientamento sociale, favorire l’integrazione sociale, essere persona esperta negli ambiti dell’apprendimento e dell’insegnamento e un formatore cosciente del proprio ruolo e dei propri limiti, essere esperto nell’affrontare i cambiamenti e nel confronto con l’eterogeneità; assumere il ruolo di docente con convinzione, sapersi muovere all’interno di un team di lavoro, essere coscienti di prestare un servizio pubblico; assolvere un lavoro di formazione sostenuto e riconosciuto pubblicamente. A tale proposito magari qualcuno ha motivo di lamentarsi perché non sempre la professione docente gode nell’opinione pubblica l’appoggio e il riconoscimento che si merita.

Voi siete tutto questo e in più ognuno porta nella classe la propria personalità, la propria voglia di insegnare - che vuol dire anche voler bene ai propri allievi - la voglia di suscitare in loro la curiosità di conoscere nuove cose. Perché, in fin dei conti, il segreto sta tutto qui (sottintesa la presenza della competenza professionale): nello svegliare e mantenere sveglia la curiosità di chi si presenta davanti a voi. E siete voi, dentro le quattro pareti di un’aula, i primi attori della qualità della scuola.

Certamente è imperativo oggi parlare di qualità della scuola e di garanzia della qualità della scuola. Vuol dire offrire a tutti gli allievi pari opportunità di imparare indipendentemente dalla sede scolastica frequentata; vuol dire valorizzare le risorse umane, in primo luogo dei docenti che grazie al loro spirito d’iniziativa stimolano la creatività propria e quella degli allievi, assicurano la varietà del loro lavoro; vuol dire anche preparare adeguatamente i giovani ad affrontare le difficoltà che incontreranno sulla strada che li porterà a essere adolescenti prima e aduli dopo.

Non si tratta solo di nozioni e di contenuti di un programma scolastico, ma anche di carattere: bisogna – i giovani prima di tutto - essere capaci di superare i momenti difficili, nella consapevolezza che quella strada presenta anche degli ostacoli che si superano con la fatica e la costanza e che è illusorio aggirarli affidandosi alle lusinghe di un paradiso artificiale che non porta da nessuna parte.

Molti casi, detti oggi difficili, derivano proprio da questo mondo di illusioni cui si affidano giovani senza guida o che rifiutano ogni genere di guida. Si sa che l’insuccesso nell’età giovanile, se porta all’abbandono prematuro degli studi o esclude vie alternative di formazione, porta all’esclusione sociale e a eventi di devianza e di violenza di cui, purtroppo, sono piene le cronache. Molto dipende dal grado di equità del sistema scolastico.

A tale proposito è a vostra disposizione la pubblicazione recente dell’Ufficio studi e ricerche dal titolo “Equi non per caso”. E’ un’ulteriore strategia per verificare la qualità di una scuola che passa anche attraverso l’offerta delle stesse possibilità di apprendimento, dunque nella scelta di un tipo di sistema scolastico in cui la scelta integrativa non conduce necessariamente – come qualcuno asserisce e sbaglia – a un livellamento verso il basso, ma a una strategia pedagogico-didattica che vuol limitare le disparità sociali di partenza. A proposito dell’indagine internazionale PISA abbiamo preso atto delle pecche registrate del nostro sistema scolastico, ma anche dei riconoscimenti per quel che di buono stiamo facendo. L’integrazione degli allievi è uno di quelli.

A proposito dei così definiti “casi ingestibili” – che sono da noi una sessantina rispetto agli oltre 50'000 allievi che frequentano le nostre scuole e a monte dei quali spesso manca la famiglia – sono stati recentemente oggetto di approfondimento e di decisioni importanti da parte del mio Dipartimento. Ma anche in questa sede mi preme precisare che è assolutamente fuori luogo parlare di bronx nelle nostre scuole come qualcuno sentenzia. La spettacolarizzazione degli avvenimenti non giova mai alla verità. Magari la vuole l’opinione pubblica, amante di sensazioni forti e di scandali più o meno autentici, ma a chi deve affrontare il problema – e la scuola lo deve affrontare con conoscenza di causa – non serve assolutamente.

L’anno scolastico appena concluso è stato anche l’anno dell’approvazione dell’Accordo intercantonale sull’armonizzazione della scuola dell’obbligo, chiamato HarmoS. La scuola elementare e la scuola media ticinese rimangono immutate nella loro durata. La scuola dell’infanzia diventa obbligatoria da 4 anni in sú. In sostanza si protrae la situazione attuale. Già oggi praticamente la totalità dei bambini di 4 e 5 anni frequenta la scuola dell’infanzia.

A livello svizzero, dunque, i nostri desideri sono stati ascoltati. Avremmo voluto mantenere il 31 dicembre come data di riferimento per l’entrata nella scuola. Volevano il 30 giugno. Siamo arrivati al compromesso 31 luglio. Peccato che qualche centinaio di bambini ticinesi dovrà attendere un ulteriore anno per iniziare la scuola che comunque inizierà obbligatoriamente a 4 anni, a prescindere dalle famiglie che già ora considerano prematuro mandare a scuola il bambino nato di novembre o di dicembre e che saranno contente della decisione.

Veniamo ora al mancato riconoscimento federale del diploma “secondario 1”, cioè scuola media, rilasciato all’ASP da parte della Conferenza svizzera dei direttori della pubblica educazione.

Il Dipartimento, visto il rapporto della Commissione federale di riconoscimento, ha chiesto di sospendere la procedura di riconoscimento a livello nazionale dei diplomi del secondario 1. La Commissione riconosce che questo ciclo di studio – cito il rapporto - è in costruzione e si sta sviluppando nella giusta direzione pur precisando piú oltre che – cito – l’ASP non dispone di un concetto strategico relativo alla ricerca.

Di conseguenza e per quel che concerne in particolare i diplomi distribuiti oggi:

1. Per chi è assunto nella scuola ticinese il mancato riconoscimento non ha conseguenze.
2. I singoli cantoni sono liberi di considerare o no i diplomi di un’altra scuola pedagogica che non ha ancora ottenuto il riconoscimento (A titolo esemplificativo potrebbe essere il caso dei Grigioni nelle classi di lingua italiana).

Quello che dev’essere sottolineata è la necessità che l’ASP compia definitivamente il salto al livello di scuola universitaria. Si legge nel rapporto della Commissione federale: si dovrebbe approfittare delle sinergie con le scuole di livello universitario vicine alludendo all’USI e alla SUPSI.

Fra i vari scenari di sviluppo e di consolidamento dell’ASP vi è anche quello che considera il suo avvicinamento o alla sua integrazione nella SUPSI. Ricordo che la SUPSI è la scuola universitaria che maggiormente si è distinta sul piano federale nell’ambito della ricerca.

A livello di Dipartimento le opinioni sono ancora contrastanti. E’ tuttavia indispensabile trovare una soluzione che sia accettata dalla Commissione federale e che tenga in considerazione le riserve e le raccomandazioni che questa Commissione ha espresso.
In particolare le riserve espresse, sicuramente condivisibili, vanno prese sul serio, specie quelle che riguardano la ricerca e il sistema di controllo della qualità

Concludo questo capitolo sottolineando tuttavia che la Commissione ha pur riconosciuti i miglioramenti che l’ASP ha fatto dopo il suo preavviso del 2006 e, tra i lati positivi, considera un punto di forza dell’ASP la relazione tra la teoria e la pratica. Cito: Tanto i contatti istituzionalizzati tra le diverse persone coinvolte nella formazione teorica e pratica quanto la tematizzazione delle esperienze della pratica in occasione di corsi possono essere qualificati come molto buoni.

Signore e signori,

si tratta ora di lavorare con la serietà che ha sempre contraddistinto il lavoro delle persone che operano nel settore della scuola e di giungere a soluzioni che facciano prima di tutto l’interesse di chi ha scelto di frequentare una scuola perché lo condurrà a un obiettivo ben preciso.

Alle diplomate e ai diplomati di oggi auguro successo e prima di tutto di trovare un posto di lavoro. So anche che diplomati dell’ASP proseguono gli studi per l’ottenimento di un master per esempio un master professionalizzante in gestione della formazione. Auguri anche a loro che hanno avuto la soddisfazione di vedersi riconoscere la formazione triennale dell’ASP, corrispondente a un bachelor, da parte dell’università.

Sono stato forse troppo lungo e le ragioni sono almeno due:

- la prima concerne la figura del docente che rimane la figura centrale di ogni cambiamento nel settore della scuola e attorno alla quale si muovono tutti i meccanismi – per esempio quello che assicura la qualità – che la vogliono migliorare;

- quest’anno sono successe molte cose che hanno toccato la vita del sistema scolastico e le trasformazioni in atto potranno avere successo solo se rimane ferma l’attenzione e sveglio l’entusiasmo di chi ha la responsabilità, assieme con tutte le persone che lavorano al fronte o negli uffici del Dipartimento, della scuola dal gradino più basso a quello più alto. Al docente si chiede di lavorare con competenza, passione e pari dignità, alla società si chiede di veder riconoscere il ruolo essenziale che la figura del maestro rappresenta per la sua crescita morale ed intellettuale.

Vi ringrazio dell’attenzione.