14 novembre 2007

Giornate dell’Associazione svizzera di psicologia dell’età evolutiva

(Intervento di apertura di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - durante le Giornate dell’Associazione svizzera di psicologia dell’età evolutiva del 14 settembre 2007 a Locarno)

Gentili signore,
Egregi signori,

vi saluto a nome del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport e vi ringrazio per aver scelto il nostro Cantone per il vostro convegno.
Ci fa estremamente piacere accogliervi qui all’Alta scuola pedagogica di Locarno, importante istituto di formazione di base e continua per i docenti delle nostre scuole.
In questi anni stiamo rinnovando profondamente la formazione dei nostri docenti seguendo le direttive emanate dalla Conferenza dei direttori cantonali della pubblica educazione. Si tratta di un rinnovamento indispensabile se si vuole, da un lato, assicurare alla scuola personale adeguatamente formato e, dall’altro, permettere ai diplomati un riconoscimento valido non solo in Ticino, ma pure negli altri cantoni e all’estero.
E’ risaputo che la qualità della scuola è strettamente legata alla qualità e alla motivazione dei suoi docenti.

Per i vostri due giorni in Ticino avete scelto di approfondire il tema della prevenzione, dell’intervento e dell’integrazione.

E’ un tema importante e d’estrema attualità in tutta la Svizzera e all’estero. Per rendersene conto è sufficiente sfogliare i giornali e cogliere le preoccupazioni presenti in genitori, politici e autorità scolastiche.
Viviamo in una società multiculturale e la mobilità delle persone porta sempre più a nuovi confronti, a nuove esperienze di vita. In questo contesto le tematiche legate alla presenza di giovani e adulti che vivono con difficoltà il loro inserimento nella nostra società sono costantemente presenti e non riguardano esclusivamente il settore scolastico ed educativo. E’ oramai diventato un tema di stretta attualità politica che interessa anche gli ambiti sociali e sanitari, quelli del lavoro e della sicurezza.

Il dibattito legato alla presenza di persone diverse nel nostro paese è presente in ogni cantone e anche in questa vigilia di elezioni nazionali non mancano fra le forze politiche coloro che esprimono le loro preoccupazioni proponendo soluzioni un po’ sbrigative. Su un punto sono certo: non è escludendo dalla nostra società queste persone che rendiamo un servizio allo sviluppo del nostro paese, alle persone e al rispetto della diversità. Generalmente in questi casi si sposta il problema, ma non lo si risolve.

Invece è essenziale operare sulla prevenzione. Da noi si dice spesso che “prevenire è meglio che curare” ed è vero. Molte attività di prevenzione possono e devono essere svolte in ambito educativo, all’interno della famiglia, ecc. Si pensi solo per un istante a tutto quanto può essere fatto per favorire un clima favorevole all’interno degli istituti scolastici in modo che i diversi attori (allievi e docenti) vivano con serenità e con rispetto reciproco i loro rapporti relazionali. Oppure si potrebbero citare le numerose iniziative promosse per prevenire gli infortuni, le situazioni di dipendenza da alcool o droghe, la salute, e così di seguito.
La prevenzione è un’azione necessaria, costantemente presente in ogni atto educativo e formativo.

Accanto alle azioni preventive occorre essere consapevoli che degli interventi operativi s’impongono. Vorrei qui fare riferimento ad un tema che vi è particolarmente caro e che sarà oggetto di approfondimento nel corso delle due giornate. Si tratta della gestione nelle scuole degli allievi particolarmente difficili.

In Ticino, una delle misure che contraddistingue questo nuovo anno scolastico è legata alla sperimentazione relativa alla gestione dei cosiddetti “casi difficili”. Si tratta di un tema che è stato ampiamente dibattuto in questi ultimi anni anche perché la scuola si è trovata confrontata con un progressivo aumento del disagio giovanile. Il contesto sociale, economico, culturale e linguistico è mutato in modo significativo e la scuola, come agenzia educativa, ha dovuto assumere nuovi compiti che riflettono quanto osservato nel territorio e nell’ambiente sociale. Questi nuovi compiti non possono però essere affrontati dalla scuola unicamente con misure puntuali e mirate a una casistica specifica.

Le misure e gli interventi devono situarsi a più livelli ed essere interdipendenti, tenendo in debita considerazione l’allievo, il gruppo classe, l’istituto scolastico e l’istituzione e le collaborazioni esterne. A decorrere dall’anno scolastico 2002-03 il Dipartimento che dirigo ha approvato e adottato una serie di misure destinate a gestire e a contenere i cosiddetti “casi difficili”.

Dopo quattro anni di iniziative ed esperienze il Dipartimento ha ulteriormente precisato, affinato e integrato il quadro complessivo delle misure adottate. I risultati sono stati sostanzialmente positivi, anche se per alcuni di questi giovani s’impongono nuove misure.

Per questo motivo, ad esempio, a partire dall’anno scolastico 2007-08 nella scuola media sono state attivate due nuove forme d’intervento:

- La creazione di una zona cuscinetto temporanea all’interno di tre istituti scolastici.
Questa misura prevede la creazione di uno spazio nel quale possono essere inseriti per un determinato periodo (a tempo completo o parziale) gli allievi che si trovano in piena rottura con la scuola. L’obiettivo è quello di “creare” una certa distanza fisica e psicologica dalle situazioni più stressanti. La gestione di questa zona è stata affidata ad un educatore. L’introduzione di questa figura professionale rappresenta una grossa novità per il contesto scolastico. Questa nuova figura sarà tenuta ad interagire e a collaborare con tutti gli altri operatori attivi nell’istituto e con le famiglie.

- La creazione di una rete di collaborazioni con istanze esterne alla scuola.
Anche questa misure dovrebbe integrare e ampliare i molteplici interventi predisposti per le situazioni difficili da gestire. La sperimentazione si prefigge di stabilire una serie di accordi e definire delle modalità di collaborazione con degli enti esterni alla scuola, siano essi di carattere pubblico o privato, disposti ad accogliere per un lasso di tempo (potrebbero essere alcune ore, oppure giornate complete o addirittura settimane intere) degli allievi per svolgere un’esperienza lavorativa e personale in contesti diversi da quello scolastico. Tra la scuola e l’istanza esterna verrà stipulato un progetto educativo e l’allievo sarà seguito da un “tutor” che si occuperà di definire tutte le forme di collaborazione. Per i giovani che si apprestano a concludere la scuola media, queste esperienze assumeranno un ruolo importante e saranno finalizzate a preparare e a rendere operativo l’inserimento professionale. Saranno una decina gli allievi coinvolti in questa esperienza.

Quale il fine di tutto ciò? Sicuramente quello di consentire ad ogni allievo, ad ogni persona, indipendentemente dalle sue capacità e dalle sue doti, di essere parte integrante della nostra società. La vostra associazione fa bene a sottolineare il concetto d’integrazione. Si tratta per noi di una scelta politica irrinunciabile proprio perché siamo consapevoli che solo dando pari dignità ad ogni individuo la società può evitare di trovarsi a gestire fenomeni legati alla devianza,al disagio sociale, all’esclusione.

L’integrazione per noi non è solo un obiettivo voluto ma soprattutto praticato. Nelle nostre scuole accogliamo tutti gli allievi indipendentemente dal loro statuto,dalla loro lingua e nazionalità. Fino al termine dell’obbligo scolastico allievi di diverse capacità,appartenenti alle varie culture e di diverse origini socioculturali stanno assieme, frequentano la stessa scuola, crescono e si conoscono. La percentuale di allievi accolti nelle scuole speciali è molto contenuta (2%) in quanto il principio generale è quello di far frequentare ai bambini, nella misura massima del possibile, la scuola regolare. La scuola è un importante strumento di integrazione e per conseguire questo obiettivo sono necessarie risorse finanziare adeguate e personale preparato e consapevole delle proprie responsabilità.

Per favorire l’integrazione ai nostri giovani insegniamo le altre lingue nazionali e l’inglese. Vi assicuro che è uno sforzo non indifferente per gli allievi ticinesi, ma siamo consapevoli che per una minoranza come quella italofona la conoscenze delle lingue è una premessa essenziale per allacciare rapporti con le altre comunità linguistiche e per consentire ai nostri giovani di proseguire gli studi e di muoversi in un contesto lavorativo molto più ampio di quello cantonale.

Sfogliando il programma delle vostre due giornate mi sono reso conto di come i problemi siano comuni in tutta la Svizzera. Cambiano le modalità d’intervento e le esperienze in atto, ma l’obiettivo ultimo è pur sempre quello di fare in modo che giovani in difficoltà possano trovare un loro inserimento nella nostra società. E’ un obiettivo nobile ed è un bene che si possano confrontare soluzioni ed attività presenti nei diversi cantoni. La conoscenza reciproca e il confronto aiutano alla crescita anche di chi, per professione, é chiamato a svolgere un ruolo molto importante in questo settore.

Colgo l’occasione per ringraziarvi per l’impegno profuso a favore dei nostri giovani e vi auguro le migliori soddisfazioni durante questi due giorni in Ticino.