13 settembre 2007

Consegna diplomi cantonale giornalista 2007

(Intervento di Gabriele Gendotti - Consigliere di Stato e Direttore del DECS - in occasione della Cerimonia di consegna dei diplomi cantonale di giornalista 2007 del 13 settembre 2007 a Bellinzona)





Porgo il cordiale saluto mio personale e del Consiglio di Stato
al Direttore generale della RTSI e Direttore dei corsi (Dino Balestra),
al Presidente della Commissione dei corsi di giornalismo della Svizzera italiana (Maurizio Corti) e al Presidente della Commissione d’esame (Marco Blaser)
alle neodiplomate e ai neodiplomati
Gentili signore e signori,

durante una consegna dei diplomi è abitudine rivolgere ai convenuti due parole dai toni celebrativi e sottolineare il buon lavoro svolto dagli insegnanti e l'impegno degli studenti; lavoro e impegno che si traducono nei buoni risultati conseguiti dalle neodiplomate e dai neodiplomati, ormai pronti ad assumere nuovi compiti e nuove responsabilità nella cosi detta società dell'informazione e della comunicazione.

Mi complimento con coloro che hanno ottenuto il diploma cantonale di giornalista, e auguro loro successo e soddisfazioni. Sono persone, uomini e donne, che operano in un settore professionale - quello dell'informazione - centrale e prioritario per un Paese che si dice aperto e democratico.

In questa occasione non voglio però limitarmi alle sole parole di circostanza: di fronte a una bella squadra di persone attente, dinamiche e capaci desidero brevemente sottoporre alla vostra attenzione qualche riflessione sull'importanza di un lavoro al servizio della società dalla prospettiva di chi crede in un'informazione libera, corretta e oggettiva; un'informazione capace di assumere il ruolo di mediatrice delle idee, di aiutare il cittadino a capire il mondo e a costruirsi un'opinione su questo o su quell'argomento, di contribuire alla nostra crescita morale e intellettuale.

Lo vorrei fare - ispirato anche dall’aula in cui ci troviamo - dalla prospettiva dell'uomo politico che guarda al risultato del vostro lavoro con rispetto e che, di tanto in tanto, si pone qualche domanda. Lungi da me l’idea di affibbiarvi un’ulteriore lezione deontologica o tecnica, perché queste sono oramai passate e semmai ora sarà la vita professionale a darvele. L’intento è di rendervi partecipi di qualche interrogativo che ci poniamo nei confronti degli organi d’informazione nella nostra quotidiana attività di amministratori della cosa pubblica.

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Il primo interrogativo concerne la ragionevole discrezione che deve essere alla base del nostro agire di uomini, ancor prima di amministratori, di politici o di imprenditori. È una discrezione che troppo spesso viene letta in modo distorto come volontà di nascondere, di "insabbiare" chissà che cosa.

Un esempio: nelle scorse settimane siamo stati costretti ad aprire un’inchiesta disciplinare nei confronti di un nostro dipendente. La relativa risoluzione governativa è stata approvata il martedì mattina durante l’abituale riunione del governo. Il giorno seguente, il mercoledì mattina di buon ora, prima ancora che la risoluzione fosse firmata e men che meno intimata agli interessati, l‘ufficio competente dell’Amministrazione cantonale era già sollecitato da un organo d’informazione, munito di nomi e cognomi, per saperne di più.

Sia chiaro: il giornalista fa il suo mestiere e cerca di arrivare all’informazione prima di un altro. Non fa il suo mestiere chi trasmette un’informazione prima che il diretto interessato ne sia a conoscenza, violando così se non solo il segreto professionale, ma anche norme di comportamento che si ispirano alla discrezione. Ma nella fattispecie questo è un aspetto del problema – penserà qualcuno - che non concerne direttamente l’organo d’informazione. Semmai riguarda l’amministrazione dello Stato. Ciò che mi fa riflettere sono però le conseguenze che la notizia per così dire “rubata” e divulgata male, in toni esagerati o con imprecisioni clamorose sui fatti , ha su chi ne diventa "vittima" e sulla sua cerchia familiare o professionale. La discrezione dimenticata non ha nulla a che vedere con le libertà della democrazia. E questo è un problema che ci riguarda tutti

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Un mio secondo interrogativo si concentra sulla necessità di fare un chiaro distinguo fra la notizia - cioè i fatti - e il relativo commento, cioè l'interpretazione che si vuole dare ai fatti.

Un esempio: qualche mese fa, nell’ambito della campagna mediatica che era in atto in tutta la Svizzera e anche nel Cantone Ticino sulla violenza giovanile, abbiamo potuto leggere di docenti minacciati in una scuola professionale, situazione che ci era peraltro assolutamente sconosciuta. Questa è una notizia che riporta un determinato fatto; una notizia utile e importante che ci aiuta nello svolgimento del nostro lavoro come politici, come operatori scolastici o come genitori.

Ci aiuta un po' meno il corollario di interpretazioni dei fatti - una politica sorda che fa finta di non sentire che il problema esiste oppure una scuola cieca, impermeabile ai cambiamenti della società e che quindi non avrebbe riconosciuto per tempo una tendenza in atto. Ma quello che più di tutto ci deve far riflettere – noi responsabili della gestione della cosa pubblica e voi giornalisti responsabili dell’informazione – sono quei giudizi affrettati e sommari come se il mondo fosse diviso da una parte i buoni dall’altro i cattivi; diviso fra le pecore bianche e le pecore nere, tanto per rimanere aggiornati con le strumentalizzazioni preelettorali del momento, che nella scuola diventano le pecore nere da espellere per sempre, senza però porci alcune domande: ma poi dove vanno? Abbiamo veramente risolto i nostri problemi? "Troppo facile, amico" avrebbe probabilmente detto Giuseppe Buffi.

Alla fine tutto si riduce, da un lato, nel richiedere la massima professionalità nello svolgimento del servizio pubblico di informazione e di comunicazione da parte del giornalista, dall’altro lato, nel pretendere dall’utente, e qui la scuola deve giocare un ruolo fondamentale, la capacità di giudizio attraverso un atteggiamento critico di fronte all’informazione.

Oggi forse qualche mezzo di comunicazione deve riconquistare un po’ di fiducia perduta per strada agli occhi dell’utente. Credibilità che passa attraverso la verità dell’informazione e l’autenticità dell’immagine sullo schermo o delle parole di chi riferisce i fatti.

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Torniamo agli aspetti che ho chiamato più celebrativi di questo evento, per sottolineare che, per la prima volta, i diplomi sono il frutto di una nuova collaborazione tra le organizzazioni del mondo del lavoro – imprenditoriali e sindacali – e il Cantone. Per la prima volta la responsabilità dei corsi è infatti interamente passata a queste ultime e il Cantone svolge solo un ruolo di regolamentazione e di sostegno finanziario. La collaborazione credo sia stata proficua. Qualche rammarico resta per non aver potuto coinvolgere maggiormente, in questa operazione, l’Università della Svizzera italiana e in ciò siamo ormai stati sorpassati dalla Romandia, che questo accordo tra l’editoria, i giornalisti e l’università l’ha già concluso. Il titolo rilasciato a chi ha un formazione di base accademica è sicuramente più adeguato all’evoluzione in atto nel mondo della formazione.

Infine, per tornare anche alle neodiplomate e ai neodiplomati, un complimento per la formazione conclusa, in un corso che mi è stato detto di alto livello anche per la vostra presenza e per i lavori di diploma svolti, e i migliori auguri per un futuro in cui l’informazione, ma soprattutto la buona informazione, che non vuol dire l’informazione addomesticata, sia sempre presente.