29 gennaio 2007

Congresso cantonale PLRT

(Intervento di Gabriele Gendotti – Consigliere di Stato e Direttore del DECS - al Congresso cantonale del PLRT di sabato 26 gennaio 2007 a Lugano)

[fa stato il testo parlato]

Intervento sul Preambolo del programma di legislatura del PLRT 2007-2011

Presidente, amiche e amici liberali radicali,

intervengo sul preambolo per dire che mi piace perché esprime l’immagine di un liberalismo moderno e aperto; perché promuove non solo diritti e aspettative verso lo Stato, ma conferisce spazio a quella innata vocazione dell'individuo che è la vocazione al miglioramento della sua condizione attraverso l'iniziativa personale e la responsabilità individuale.

Il preambolo mi soddisfa perché cerca di dare risposte ad un problema nuovo che ha assunto in questi ultimi anni una dimensione sociale, politica e culturale imprevista: quello della presenza di uomini e donne di culture, religioni e costumi diversi. Sono risposte che passano dal richiamo alla tradizione illuministica con il riconoscimento e la garanzia di libertà, uguaglianza e solidarietà, nel rispetto dei nostri ordinamenti giuridici, dei nostri costumi e delle nostre tradizioni.

Mi soddisfa perché, di fronte ai fanatismi politici e religiosi che avanzano, il preambolo richiama l’importanza dello Stato laico e riafferma il valore del modello di scuola laica, gratuita e obbligatoria uscito dall’Illuminismo.

Ma il preambolo mi soddisfa anche perché ha il coraggio di mettere l’accento sulla necessità di un riscatto etico della politica per poter raggiungere uno dei suoi obiettivi prioritari: l'obiettivo di mantenere e rinsaldare la coesione sociale, contrastare i processi disgregativi, tenere assieme le persone, facendole sentire parte di una comunità nei confronti della quale tutti noi possiamo anche vantare dei diritti, ma soprattutto abbiamo dei doveri.

E le recenti tribolate vicende che hanno coinvolto troppi liberali non possono passare sotto silenzio in un congresso di un partito che si è sempre contraddistinto per essere il partito del rigore, della correttezza, della coerenza e della trasparenza; un partito rappresentato da donne e uomini ispirati da valori autentici di libertà che hanno fatto della rettitudine dei comportamenti la loro bandiera.

So che corro il rischio di farmi dare del facile moralista da chi dirige quello che una volta era un giornale indipendente, ma preferisco, come ha scritto recentemente lo storico Andrea Ghiringhelli, assumere il rischio di entrare nella categoria crociana degli imbecilli, per rivendicare l’imbecillità di chi ancora crede nell’onestà politica.

Anche perché la credibilità della politica passa attraverso la credibilità dei politici e delle istituzioni dello Stato, ragione per cui il problema della fiducia fra cittadini e la classe politica - cioè fra la società civile e i suoi rappresentanti - da un partito come il nostro va affrontato di petto, a costo di portare alla luce qualche verità scomoda ed imbarazzante.

Ma per chi si ispira ai nostri ideali la verità va detta. Sempre e comunque.

La classe politica risulta credibile e affidabile se è vista come un’élite della società e per la società, che tradotto in parole semplici significa farsi interprete credibile dell’interesse comune, non da ultimo attraverso la promozione di valori condivisi dalla società medesima.

Ancora una volta rischia di avere ragione il buon Tocqueville quando ammoniva che una società individualista e frammentata è maggiormente esposta a soccombere ai totalitarismi d'ogni genere, rispetto ad una società unita e pluralista basata sul senso di appartenenza ad una comunità.

Per dire che la politica e i politici devono essere portatori di un’etica pubblica della responsabilità che contempla l’obbligo di rispondere sempre delle conseguenze delle proprie azioni; e ciò in misura maggiore di ogni semplice cittadino.

Lo Stato che noi liberali radicali abbiamo costruito e plasmato è “lo Stato di diritto” che si riconduce all’antico concetto di Aristotele del governo delle leggi e non di semplice governo degli uomini.

Chi governa e amministra la cosa pubblica non può agire secondo i propri capricci, ma il suo potere è disciplinato da leggi alle quali deve sottomettersi come ogni altro cittadino. E se poi queste leggi si rivelassero inadeguate, la nostra democrazia ci dà semmai gli strumenti per cambiarle.

E il rispetto di questi principi citati prima non ammette cedimenti: deve valere per tutti, senza margini di tolleranza o distinguo di partito.

L’etica pubblica, signore e signori, o c’è o non c’é. Il diritto è l’attuazione della volontà dello Stato in quanto volontà dei cittadini. Per chi fa politica è pericoloso vivere e lavorare in un contesto dove la linea di demarcazione fra lecito ed illecito si fa sempre più sottile e tende pericolosamente a sfumare, correndo il rischio di avere la sensazione di essere nel giusto anche quando nel giusto non si è.

La politica non la si fa con la morale, ma, care amiche e cari amici, nemmeno senza.

Caro Presidente, capisco il tuo imbarazzo quando ti trovi davanti ai microfoni a dire che "il partito non c'entra". Purtroppo c'entra, eccome.

Un partito come il nostro, da sempre capace di affermare i valori di cui è storicamente portatore, deve reagire e soprattutto deve far capire a chi sbaglia - e sbagliando mette in difficoltà il partito - che deve farsi da parte, perché la mancanza di credibilità dei politici compromette la capacità di fare, di tradurre le idee in realizzazioni e di essere parte attiva nella costruzione del consenso come premessa della coesione sociale.

Ci possiamo ancora una volta appoggiare sulla concezione della politica e del senso dello Stato del Franscini, per il quale politica è missione, è dedizione assoluta al bene pubblico, è perseguimento dell’interesse collettivo che presuppone l’annullamento degli interessi personali nel servizio della cosa pubblica.

Per concludere permettetemi, amiche ed amici, di insistere su questo punto e di invitarvi a riflettere sul monito del grande Franscini che si scaglia con sdegno contro quella classe politica che è - cito -
"dominata dalle invidie e dagli odi e così povera di carità e di virtù; e che offre tanti brutti esempi di apostasìe, di guerra al merito e al vero, per cagion d’egoismo e di ambizione".

L’invettiva è del 1834 ma conserva, purtroppo, una bruciante attualità.

E’ questa strada, la strada del rigore morale e del ripristino del primato dell’etica pubblica, che noi dobbiamo percorrere con coraggio e determinazione se vogliamo rilegittimare la politica agli occhi dei nostri cittadini.